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La rinnovata incertezza dei rifugiati siriani in Austria e la minaccia delle deportazioni

© adrian susec - Unsplash

Il governo di Vienna ha proposto in maniera populista un “incentivo” di mille euro a ogni rifugiato siriano disposto a tornare volontariamente nel Paese di origine. Un annuncio che ha prodotto un pesante contraccolpo psicologico su migliaia di persone, bloccato ricongiungimenti familiari e fatto incagliare i colloqui con le autorità competenti in materia di asilo. La denuncia delle Ong in campo per i diritti umani

In Austria la situazione di circa 40mila rifugiati e richiedenti asilo -quasi un terzo del totale- è molto incerta. Dopo la caduta del regime di Bashar al-Assad in Siria, l’annuncio dell’ex cancelliere austriaco Nehammer in cui vengono offerti mille euro a ogni rifugiato siriano disposto a tornare volontariamente nel Paese di origine ha creato molto caos.

“Le autorità che in media impiegano due anni per valutare le richieste di asilo ora (dopo l’annuncio del governo, ndr) emettono decisioni in un solo giorno”. Lo ha denunciato Lukas Gahleitner-Gertz, esperto legale e portavoce della Ong Asylkoordination, durante una conferenza stampa organizzata a inizio gennaio a Vienna, sottolineando i timori per potenziali deportazioni e la mancanza di informazioni chiare.

Inoltre “la minaccia di perdere il permesso di soggiorno ha causato un panico diffuso ed è giuridicamente discutibile, se non arbitraria”, ha aggiunto Gahleitner-Gertz, criticando anche la sospensione dei ricongiungimenti familiari e sostenendo che un miglioramento “significativo e permanente” della situazione in Siria è legalmente necessario per giustificare la revoca dello status di protezione. Tuttavia, le autorità austriache non sono ancora riuscite a fornire prove di tale miglioramento.

Molti uomini siriani hanno ottenuto asilo in Austria perché non volevano prestare servizio nell’esercito di Assad, che in passato ha effettuato attacchi con gas chimici contro la popolazione. Ora che l’esercito ufficiale si è dissolto la ragione stessa dell’asilo sarebbe venuta meno. Gli oppositori politici, d’altra parte, potrebbero essere esposti a pericoli in caso di ritorno, ad esempio da parte del Partito Ba’ath di Assad, che potrebbe riorganizzarsi e tornare politicamente attivo in Siria. Secondo i dati più recenti dell’Organizzazione internazionale per le migrazioni, però, oltre il 90 % della popolazione vive al di sotto della soglia di povertà, mentre 16 milioni di persone hanno tuttora bisogno di assistenza umanitaria.

L’associazione Comunità siriana libera in Austria ha invitato ad abbandonare la “dubbia politica da titoli di prima pagina” e a tornare a concentrarsi su processi legali e oggettivi per i diritti dei rifugiati. Si oppongono fermamente agli attuali “dibattiti populisti sulla deportazione”.

“Molte persone sono devastate”, dice Abdulhkeem Alshater, portavoce dell’associazione che ha partecipato attivamente ai soccorsi durante le alluvioni nella Bassa Austria nell’estate del 2024. “Molte persone non riescono a dormire, studiare o lavorare. Vivono nella costante incertezza “.

I ricongiungimenti familiari sono stati bloccati e i colloqui con le autorità competenti in materia di asilo sono stati improvvisamente cancellati o i responsi delle interviste ritardati ingiustificatamente.

È il caso di quanto successo ad Ahmed, 28enne richiedente asilo di Idlib, che ancora aspetta dopo quasi quattro mesi una risposta alla sua seconda intervista per la richiesta di asilo. “Durante la guerra civile sono stato arrestato dal regime di Assad”, racconta Ahmed ad Altreconomia, spiegando che l’offerta di mille euro per rientrare nel Paese “non è realistica” perché “la situazione è ancora molto incerta, il Paese devastato e la casa della mia famiglia distrutta”.

L’annuncio del governo austriaco ha lasciato i numerosi siriani già integrati nella società e che contribuiscono a settori come l’assistenza sanitaria, la distribuzione alimentare e il turismo, di fronte a un futuro incerto. La psichiatra Selma Nassan-Agha ritiene che gli annunci del governo rappresentino un grande peso psicologico per le persone già traumatizzate dalla guerra civile in Siria. I progressi faticosamente ottenuti in anni di terapia e risorse spese “sono stati distrutti in brevissimo tempo”.

La ricercatrice sulle politiche di asilo della Business University di Vienna, Judith Kohlberger, sottolinea inoltre la necessità di un “processo rimpatri sostenibile, volontario e ben preparato” piuttosto che di “dibattiti populisti sulla deportazione”. Secondo Kohlberger il dibattito sulla ricostruzione della Siria dovrebbe avere un approccio più costruttivo “i rimpatriati che hanno sperimentato la vita in società democratiche possono riportare valori preziosi in patria”.

Il portavoce dell’agenzia austriaca per il Welfare ha spiegato ad Altreconomia che nei giorni immediatamente successivi alla caduta di Assad ci sono stati tante richieste di contatto, ma ha anche ammesso che i rimpatri “sono logisticamente complicati perché i voli fanno scalo in Giordania”. I 77 rimpatri eseguiti al 10 dicembre 2024 (solo 44 nei due giorni immediatamente successivi alla fine del regime) sono in linea con i 101 del 2023.

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