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Opinioni

La riduzione del debito non passa per una cartolarizzazione

Utilizzare le risorse della Cassa depositi e prestiti per ridurre il debito pubblico, trasferendo a questo soggetto asset pubblici, come pensa di fare il governo Monti, non rappresenta una risposta efficace nella situazione economica del Paese. Secondo Alessandro Volpi, autore per Ae del libro "Sommersi dal debito", rischia di essere solo l’ennesima cartolarizzazione, che nel medio periodo potrebbe anche causare un aumento dello stock del debito stesso   

Il parziale raffreddamento degli spread fornisce qualche barlume di speranza per i conti pubblici italiani, e le stime recenti della Ragioneria generale dello Stato alimentano le ipotesi di un miglioramento del quadro: lo stock di debito scenderebbe dal 119,5 al 112,6% tra il 2012 e il 2014, in presenza di un Pil in crescita da 1.612.279 a 1.693.748 milioni di euro. 
Si tratta di previsioni che forse sopravvalutano proprio la riduzione del conto interessi e l’effetto dell’avanzo primario, trascurando invece le ricadute negative della pesante manovra fiscale.

Anche accettando le valutazioni della Ragioneria dello Stato, tuttavia, è evidente che il peso del debito pubblico resterebbe molto alto ancora nel 2014 se non interverranno misure specifiche volte a ridurlo, contraendo il bisogno di tornare sul mercato dopo il pagamento dei titoli in scadenza nel 2012. 
C’è poi il tema decisivo dei 70-80 miliardi di euro di pagamenti che le amministrazioni pubbliche devono liquidare ai propri fornitori: attualmente sono considerati debiti “commerciali”, e molto spesso quasi interamente sottoposti ai vincoli del Patto di stabilità, in quanto finanziati al titolo secondo dei bilanci pubblici.
Ciò significa che qualora venissero saldati con titoli di debito pubblico rischierebbero di far esplodere il rapporto debito/Pil.

L’Italia pare dunque destinata a restare sommersa dal debito, e per evitare ciò il governo Monti sta immaginando alcune soluzioni che in gran parte riprendono vari elementi dell’armamentario tremontiano. Il perno di tali operazioni è costituito dalla Cassa depositi e prestiti, che con i suoi 130 miliardi di euro di liquidità provenienti dal risparmio postale e con la sua “comprovata” esperienza in iniziative di equity pare essere il veicolo finanziario più adatto anche perché, in maniera assai anomala, non ricade nel perimetro della pubblica amministrazione. 
In altre parole, nonostante le pressioni di Eurostat, il debito della Cassa depositi e prestiti non viene contabilizzato come debito pubblico e quindi un eventuale trasferimento di stock di debito a tale istituto, magari in un fondo specifico, accompagnato dalla cessione di partecipazioni e di immobili dello Stato, pagati subito dalla Cassa depositi e poi messi sul mercato cartolarizzati, avrebbe il duplice beneficio di iniettare liquidità al Tesoro e di ridurre in maniera immediata l’ammontare del debito stesso. 


Peraltro, dopo la modificazione statutaria conseguente all’apertura ai privati -le fondazioni bancarie che detengono il 30% del capitale, a fronte del 70% nelle mani del Tesoro- la Cassa è rientrata tra gli intermediari finanziari ex articolo 107, cioè quelli iscritti negli albi speciali, che sottostanno a vincoli assai meno pesanti di quelli previsti per le banche in senso stretto. In quest’ottica, i margini di manovra dell’istituto guidato da Bassanini sarebbero agevolati nell’operazione di acquisto e di collocamento dei titoli da una disciplina porosa e di interpretazione quantomeno “variabile”. 
Il rischio che si prospetta rispetto alla eventualità di individuare nella Cassa depositi e prestiti lo strumento cardine per ridurre il debito è allora duplice.
Da un lato, la Cassa, dove hanno un ruolo rilevante, come ricordato, le fondazioni bancarie, potrebbe diventare la pressoché unica cassaforte delle partecipazioni pubbliche; dopo aver già ricevuto il 26,4% dell’Eni e il 29,9% di Terna, otterrebbe anche il 31,24% di Enel e altre partecipazioni strategiche come quelle in Finmeccanica, diventando un colosso più grande dell’Iri dell’era democristiana e acquisendo quindi una decisiva capacità di condizionamento della politica economica del Paese, rafforzata ulteriormente dalla possibilità di utilizzare la propria liquidità per operare come un Fondo sovrano. 

Dall’altro, la sua prerogativa di avere un debito non contabilizzato nel perimetro del debito pubblico e di disporre di una vigilanza da parte di Bankitalia meno rigida consentirebbe alla Cassa stessa di svolgere funzioni di veicolo degli asset statali in maniera decisamente “disinvolta”, con potenziali rischi di ulteriore crescita del debito medesimo. 
Del resto di meri espedienti contabili e di cartolarizzazioni fin troppo facili l’Italia ha già una discreta esperienza che sarebbe opportuno interrompere definitivamente.

* docente di Storia contemporanea e di Geografia politica ed economica della Facoltà di Scienze politiche dell’università di Pisa, dal 2008 è assessore al Bilancio, alle Finanze e al Patrimonio del Comune di Massa

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