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Opinioni

La ricetta di Draghi

La strategia concepita dalla BCE prevede prestiti per 400 miliardi di euro, che dovrebbero alimentare l’economia reale con l’intermediazione delle banche.
Una strategia che potrebbe nascondere un ossimoro, quello di una rivoluzione che passa per gli istituti di credito. Un commento di Alessandro Volpi 

Ci sono due aspetti molto importanti nella linea di politica monetaria intrapresa da Mario Draghi. Due aspetti che, in maniera quasi paradossale, rischiano di scontrarsi e annullarsi reciprocamente.
Il primo è costituito dall’ormai evidente volontà di combattere la deflazione e di aggredire i ritardi della ripresa economica, utilizzando un set di strumenti ben poco ortodossi. La Banca centrale europea rompe ogni indugio e si adopera per pompare liquidità vera nel sistema economico, abbattendo il costo del denaro -che precipita nel caso italiano a livelli mai raggiunti dai tempi dell’Unità, quando esistevano ancora più banche di emissione- e definendo tassi negativi per i depositi operati dagli istituti di credito presso la stessa Bce.

La strategia di Draghi, inoltre, ha innescato un vero e proprio bazooka, concependo prestiti all’economia reale per circa 400 miliardi di euro in due tranche nel corso del 2014 e annunciando l’acquisto di titoli cartolarizzati basati su prestiti al settore privato. In estrema sintesi, la Bce punta ad indurre le banche a intensificare la loro attività creditizia comprando da esse pacchetti di crediti alle imprese nell’ambito di un mercato da 800 miliardi di euro nel Vecchio Continente. Il governatore intende mobilitare una montagna di risorse che configura di fatto, come accennato in apertura, una compiuta politica monetaria. Non si tratta più di gestire l’offerta di moneta ma si profila chiara l’ambizione della Bce di svolgere un ruolo determinante in una prospettiva apertamente anticiclica, dove sono cambiati i pericoli da sconfiggere. Draghi mostra di avere compreso in pieno che l’obiettivo da perseguire non è più quello di ricondurre l’inflazione al di sotto del 2% ma di creare le condizioni perché possa risalire fino a quella soglia. Perché questo accada occorre una ripresa dei consumi e degli investimenti, che costituiscono la sostanza dell’economia reale, e serve il superamento della sindrome di Maastricht, basata sull’incubo dell’euro debole. Oggi l’euro è, di fatto, la moneta più forte del mondo, ben oltre la forza vera delle economie europee. Gli unici rischi rispetto ad una sua assai poco probabile caduta potrebbero derivare dalla crisi dei debiti nazionali di qualche Paese che fa parte dell’Eurozona. Ma per eliminare anche questa eventualità Draghi ha introdotto un’altra significativa innovazione, utilizzando ampiamente il veicolo della comunicazione: quando il goveratore della Bce, in aperto contrasto con una tradizione improntata al religioso silenzio, mostra un’estrema loquacità e un’altrettanto pronunciata tendenza agli annunci, non lo fa certo per caso. Dichiarare che l’azione monetaria “non è finita qui”, subordinando ulteriori interventi all’emergere di future necessità, significa mettere in fuga chiunque avesse intenzione di scommettere sulla debolezza dell’Europa.
Le risposte di Draghi alla crisi rappresentano quindi un cambio di paradigma che ha un peso enorme: per l’Italia, l’erogazione potenziale di liquidità è pari a 75 miliardi di euro, una cifra che potrebbe segnare una svolta importante, forse decisiva.

Perché questa trasformazione prenda corpo è necessaria però una condizione che si lega al secondo aspetto a cui si faceva riferimento e che rappresenta l’elemento di continuità con il passato. L’intera strategia della Bce dovrà realizzarsi attraverso la mediazione delle banche, perché l’istituto centrale europeo continua ad essere un prestatore di seconda istanza per le banche: sono gli istituti di credito, infatti, che possono attingere alla liquidità della Bce e che decidono come impiegarla. La montagna di risorse disponibili potrebbe servire alle banche per consolidare i propri bilanci, par fare pericolosi shopping finanziari, per comprare titoli di Stato o per finanziare la ripresa del sistema produttivo. In altri termini, sono le banche che hanno la responsabilità e la prerogativa di attuare la linea innovativa ed interventista della Bce, che non può “creare il credito” ma solo “facilitarlo”. Fino ad ora questo schema ha funzionato poco; adesso la tangibile modificazione della costituzione materiale della Bce sembra voler dare un segnale deciso di inversione di rotta.
Draghi ha avviato una rivoluzione, ma la rivoluzione passa dalle banche. Si tratta di capire se una rivoluzione bancaria rappresenti un ossimoro.

* Università di Pisa

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