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Ambiente

La rete delle Università che riducono la loro “impronta”

Con una popolazione di almeno 1,6 milioni di persone, gli Atenei italiani sono una “città” che produce rifiuti e consuma energia, acqua e suolo. Viaggio tra le buone pratiche nei campus, da Verona a Palermo

 
Tratto da Altreconomia 182 — Maggio 2016

Con seimila borracce e sei erogatori di acqua potabile, l’Università di Milano-Bicocca ha evitato di consumare in soli dieci mesi oltre 188mila bottigliette di plastica. In un colpo solo ha ridotto il proprio impatto ambientale, formato studenti e dipendenti e segnato una strada al territorio che l’accoglie.  

Come fosse una città nelle città, viva almeno per 12 ore al giorno. Contando solo gli iscritti, tutte le Università italiane superano gli abitanti di Milano, con 1,6 milioni di studenti. Producono rifiuti, consumano suolo, acqua ed energia, muovono persone. E degli oltre novanta atenei italiani, in quarantasei -con una “popolazione” di poco inferiore a quella di Torino- hanno deciso di provare a ridurre il proprio impatto ambientale e non solo, stringendosi in una Rete nazionale che le tiene insieme, da Verona a Palermo, grazie al filo rosso della sostenibilità.

Una rete che mette al centro quelle buone pratiche magari già sviluppate anche se in maniera disomogena: in tema di mobilità, ad esempio, l’Università di Pavia fornisce da tempo l’abbonamento annuale dei mezzi gratis a tutti gli studenti che ne fanno richiesta, 10mila circa sui 22mila iscritti. “Il settore della mobilità è quello su cui l’Università ha lavorato di più”, racconta Andrea Zatti; oltre ad essere ricercatore di Scienza delle finanze presso la Facoltà di Scienze Politiche a Pavia è il referente pavese della “Rete delle università per la sostenibilità” (RUS), la piattaforma nata nel 2015 su iniziativa di nove atenei italiani, e poi “approvata” ufficialmente dalla Conferenza dei rettori delle università italiane (CRUI).

La RUS, che a maggio si darà un proprio statuto, verrà presentata a livello internazionale a giugno, a Siena, nell’ambito della decima conferenza dell’International Sustainable Campus Network (ISCN), una rete internazionale dei campus sostenibili che abbraccia 20 Paesi (vedi box). 

Ma la sostenibilità riguarda non soltanto la didattica -come ad esempio i dipartimenti istituiti, i corsi attivati o i moduli affrontati-.

All’Università di Verona, ad esempio, la figura del mobility manager è stata istituita nel 2003; incaricato di conoscere, coordinare e migliorare gli spostamenti degli abitanti dell’ateneo, l’ingegner Marco Passigato è il referente locale della RUS. Dodici anni fa somministrava il primo questionario al personale universitario (1.600 tra docenti e personale tecnico e amministrativo) per la redazione del “Piano spostamenti casa lavoro”, mentre nel 2005 contribuiva all’attivazione del telelavoro per colleghi residenti fino a 120 chilometri di distanza dall’Università. “La rete è molto utile -spiega-: dà visibilità e rafforza i singoli, magari attivi anche da più di dieci anni, agevolando il rapporto con la CRUI e mettendo in rete con gruppi di lavoro internazionali. L’auspicio, inoltre, è che la sostenibilità prima o poi diventi un criterio ragionato per la formazione delle ‘graduatorie’ degli atenei, mostrando agli studenti e alle persone le pratiche dell’Università in materia di sostenibilità ambientale, economica e sociale”.

È lo stesso spirito che si respira a Milano, al quinto piano dell’edificio U1 della Bicocca, nel centro di ricerca POLARIS. La professoressa Marina Camatini ne è l’anima. È lei la referente RUS e “delegata” alla sostenibilità di un ateneo che conta oltre 33mila studenti e 3mila tra docenti e personale sparsi sui 300mila metri quadrati dei 28 edifici complessivi. Accanto a lei siedono Giacomo Magatti e Massimiliano Rossetti, giovani ricercatori che negli ultimi anni hanno iniziato a studiare il comportamento dell’Università in tre macroaree, a partire da un accordo volontario con il ministero dell’Ambiente sul contenimento delle emissioni: consumi energetici, mobilità (interna e casa-lavoro) e rifiuti. “Il punto di partenza importante è che la sostenibilità non fosse un ‘progetto’ ma uno stile di vita quotidiano”, ragiona Magatti mentre elenca i risultati in tema di rifiuti. “Tra luglio 2013 e giugno 2014 abbiamo monitorato i quattro edifici di Piazza della Scienza, una sorta di area sperimentale dove si concentra il 15% della popolazione universitaria. Abbiamo fisicamente pesato, due volte alla settimana, i rifiuti messi in strada prima della raccolta della società pubblica che gestisce il servizio a Milano, AMSA”. Tra cestini non uniformi e scarsa organizzazione, la differenziata di Milano-Bicocca si “scopre” impiccata sotto al 25%. “A quel punto ci siamo mossi -proseguono i due ricercatori-: abbiamo fatto in modo che fossero tolti i cestini del rifiuto indifferenziato dagli uffici e dalle aule, lasciando soltanto i contenitori di carta negli uffici e predisponendo isole centralizzate per tre-quattro frazioni (il vetro è poco prodotto), eccetto per i laboratori di ricerca”. Nel giro di poco più di un anno e mezzo, il sistema -che non è ancora a regime e ha ampi margini di miglioramento- ha portato la differenziata al 70%, garantendo una contestuale riduzione di emissioni di gas serra del 45% . Un risultato raggiunto anche grazie all’aiuto della tecnologia, come dimostra Rossetti, puntando il suo smartphone su un codice (QR code) stampato sull’isola di raccolta vicino a un ascensore. Il sistema di georeferenziazione permette infatti di monitorare e inserire informazioni sullo stato di raccolta e riempimento dei singoli contenitori, mandando in rete il tutto con una app (PolApp, la radice viene da POLARIS). Tra cartoni, comunicazione e applicazione l’investimento a carico dell’Università non ha superato i 150mila euro. Il punto è che il nuovo sistema è in grado di garantire in un solo anno un risparmio di almeno 90mila euro. Stesso discorso per la bolletta: “Da un’analisi preliminare su uno dei 28 edifici dell’Università che registratava una spesa energetica di 600mila euro all’anno -spiega Magatti-, abbiamo stimato che un intervento non strutturale su illuminazione e condizionamenti avrebbe potuto garantire un risparmio compreso tra l’8 e il 10%, intervenendo semplicemente sui comportamenti degli ‘utenti’”. Se tutti gli atenei facessero lo stesso, il risparmio annuale complessivo potrebbe aggirarsi intorno a 82 milioni di euro. 

Bicocca, attraverso il suo punto di riferimento istituzionale per la sostenibilità che si chiama BASE (Bicocca Ambiente Società Economia), si è mossa anche sull’acqua. “Nel dicembre 2014 sono stati istallati sei erogatori di acqua potabile -racconta Magatti mentre ne indica uno vicino ai distributori di merendine-, dotati di un contatore che segnala il volume totale di acqua erogato agli utenti”. Nell’ultima analisi dei dati si legge che “Da gennaio a ottobre 2015 è stato prelevato un totale di 94.353 litri che corrispondono a un risparmio ipotetico di circa 188.706 bottigliette di plastica da mezzo litro”. 

Per sostenere il consumo, l’Università ha acquistato e sta distribuendo 6mila borracce (30mila euro di investimento) al personale. Rifiuti, energia, mobilità: l’esperienza maturata da Camatini e dal suo gruppo di ricerca ha fatto sì che Bicocca venisse individuata come coordinatore di un’indagine presso tutti gli atenei italiani in merito all’“Osservatorio sulla sharing mobility. A pochi chilometri da Bicocca si muove anche l’Università Statale di Milano (oltre 58mila studenti, 4.500 dipendenti), che è al lavoro insieme al Politecnico di Milano per istitutire una zona 30 in via Celoria, la cerniera tra i due atenei, come spiega il professor Riccardo Guidetti, del Dipartimento di Scienze agrarie e ambientali. Sui rifiuti è ancora un cantiere aperto, con l’obiettivo della raccolta differenziata della frazione organica. 

Come Milano-Bicocca, anche l’Università Ca’ Foscari di Venezia (20mila studenti, 30 sedi dislocate in aree diversissime tra loro) è tra i promotori della RUS. Fabio Pranovi -referente della Rete- è professore associato presso il Dipartimento di Scienze ambientali, informatica e statistica. “Abbiamo cominciato a ragionare sulla sostenibilità più o meno nel 2008 -racconta-. Nel 2010 siamo riusciti a inserirla nello statuto dell’ateneo e da lì è stato creato un ufficio che se ne occupa direttamente e gestisce il team ‘Ca’ Foscari Sostenibile’. Dal 2010 esiste la figura del delegato alla sostenibilità”. Dalla raccolta indifferenziata dei rifiuti si è passati a differenziare in tutte e 30 le sedi, con una filiera di recupero dei PC dismessi. Il prossimo obiettivo è riuscire a quantificare esattamente la produzione degli scarti. La sede centrale dell’Università -“Un edificio storico del ‘400”, come spiega Pranovi- è la struttura più antica del mondo ad aver ricevuto la certificazione LEED (che riguarda tra le altre cose efficientamento energetico, gestione rifiuti e acqua). 

“Tra le iniziative di coinvolgimento degli studenti offriamo anche un credito formativo extracurricolare in ‘competenze di sostenibilità’, dove lo studente può attivarsi nell’ambito che predilige (dallo scritto al video), sempre a proposito della sostenibilità”. 

È un cambio di mentalità che parte dall’Università e contamina ciò che la circonda. A Venezia lo sanno -la raccolta differenziata di ateneo ha infatti spronato il Comune-, così come all’Università di Genova, sempre in materia di rifiuti, dove a partire dal 2015 si fa la differenziata e si è raggiunta in breve quota 60%, come racconta la professoressa Adriana Del Borghi, referente RUS  del posto. Su fino all’Università di Trento, 16mila studenti e una piattaforma di car pooling (auto condivisa) messa a punto per centinaia di iscritti. 

E mentre Salerno e Palermo stanno cercando di strutturarsi e rafforzarsi sul versante mobilità, a Parma -che conta 24mila studenti- è avvenuta una piccola e grande rivoluzione. Ne è testimone il professor Alessio Malcevschi, che insegna al Dipartimento di Bioscienze all’Università ed è il delegato alla sostenibilità, dopo la nomina rettorale avvenuta nel 2015. “Insieme a Milano Statale, Ca’ Foscari e La Sapienza di Roma, l’Università di Parma ha aderito alla rete GUPES (Global Universities Partnership on Environment and Sustainability) in seno alle Nazioni Unite -spiega Malcevschi- a compimento di un percorso che ha raggiunto il proprio apice nell’inserimento della sostenibilità all’articolo 1 nel nuovo Statuto dell’ateneo, entrato in vigore dal primo gennaio 2016”. Un intervento formale che per Malcevschi è in realtà un passaggio fondamentale. Così come l’istituzione del “Dipartimento di scienze chimiche, della vita e della sostenibilità ambientale”, il primo in Italia e in Europa secondo il delegato RUS di Parma. Inoltre, dal prossimo anno partirà un nuovo corso a Economia centrato proprio sul sistema alimentare e la sostenibilità. “Sono convinto che non si possa essere sostenibili solamente nel proprio ufficio ma che si debba concepire l’università come un faro di progetti e processi sostenibili da portare all’esterno -ragiona Malcevschi-. “Il ‘mandato’ universitario non può essere limitato al preparare persone per un mercato, bensì creare quel mercato, sostenibile, e con grandi margini di sviluppo e di creazione di posti di lavoro”. L’Università italiana si sta muovendo. 

 

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