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Ambiente / Approfondimento

La rete degli agricoltori per un riso diverso. Biologico e resiliente

I campi di “Una Garlanda”. L’azienda con sede a Rovasenda (Vercelli) opera in regime biologico dal 2002 e custodisce otto antiche varietà di riso da conservazione: Bertone, Originario chinese, Lencino, Chinese ostiglia, Nano, Dellarole, Precoce Gallina, Precoce 6 © Una Garlanda

In Piemonte e Lombardia aziende collaborano per rafforzare l’agricoltura biologica del cereale. Sono sostenute da università ed enti di ricerca. Rete Semi Rurali le aiuta a ottenere sementi in grado di adattarsi al cambiamento climatico

Tratto da Altreconomia 244 — Gennaio 2022

I campi dell’azienda “Una Garlanda” sono un laboratorio a cielo aperto. Nei terreni a Rovasenda, in provincia di Vercelli, si produce riso biologico dalla fine degli anni Novanta. Chi li ha coltivati è stato un pioniere nel superamento dell’uso dei fitofarmaci in un periodo in cui sembrava impossibile potervi rinunciare. L’azienda è diventata un modello da seguire: ha sperimentato nuove tecniche di coltivazione trasmettendole a chi non voleva usare prodotti chimici di sintesi in campo. “Sono passati almeno 200 agricoltori”, dice ad Altreconomia Manuele Mussa di “Una Garlanda”. In Piemonte -la Regione con la maggiore superficie investita a riso, pari al 50% del totale nazionale- “Una Garlanda” non è più la sola azienda ad aver rinunciato ai prodotti chimici. Aziende biologiche e biodinamiche hanno fatto rete mettendo in comune strumenti, tecniche e conoscenze con il supporto di università e istituti di ricerca. La collaborazione ha portato alla nascita, nel marzo 2021, del Biodistretto del riso piemontese, e i rapporti si sono estesi fino alle aziende della Lomellina in Lombardia, altro importante distretto produttivo con oltre 904mila ettari a riso.

Nei campi di “Una Garlanda” si coltiva soprattutto la varietà Bertone, una delle più antiche prodotte in Italia, ricorrendo alla tecnica della pacciamatura verde, una procedura riscoperta e rivisitata dalla famiglia Stocchi (che ha fondato l’azienda) per limitare le erbe infestanti. Consiste nella creazione di un letto di erbe miste sul quale avviene la semina primaverile del riso. In una fase successiva il prato è trinciato, l’acqua viene immessa nelle camere della risaia e lasciata lì per tutto il periodo di crescita delle piantine. L’ambiente umido crea le condizioni per consentire al riso di germogliare e svilupparsi; i possibili interventi contro le erbe infestanti sono solo meccanici.

L’azienda agricola “Una Garlanda” custodisce otto antiche varietà di riso da conservazione: Bertone, Originario chinese, Lencino, Chinese ostiglia, Nano, Dellarole, Precoce Gallina, Precoce 6 © Una Garlanda

“Non l’abbiamo mai brevettata. L’abbiamo insegnata a tutti gli agricoltori interessati perché il nostro obiettivo è invertire la rotta a favore dell’ambiente e della biodiversità”, prosegue Mussa. Per questo nei campi sono stati piantati alberi e arbusti di specie diverse, sia da produzione sia da alto fusto, suddividendoli in filari. Il riso è coltivato a rotazione con colture da asciutta all’interno di una filiera che “Una Garlanda” è riuscita a chiudere. “Riproduciamo i nostri semi che sono biologici e li vendiamo. Abbiamo creato una nostra ditta sementiera per risolvere una nota criticità: per il riso in Italia si vendono solo semi che provengono da coltivazione convenzionale -spiega Mussa-. Abbiamo deciso di cambiare”. Nel 2021 sono stati raccolti 2.500 quintali di risone (il riso grezzo che possiede ancora la crusca, ndr): è lavorato e confezionato sempre nell’azienda per essere venduto a ristoranti, privati e Gruppi di acquisto solidale.

I campi di “Una Garlanda” sono stati tra i terreni utilizzati dalla Rete Semi Rurali per il progetto “Riso resiliente” nato con l’obiettivo di selezionare una semente adatta al biologico in grado di rispondere ai cambiamenti climatici. Avviato nel 2017, ha coinvolto sette aziende agricole biologiche e biodinamiche tra la provincia di Vercelli, la Lomellina e il Parco agricolo Sud Milano. Rete Semi Rurali ha chiesto alla Banca del germoplasma del Centro di ricerca cerealicoltura e colture industriali (Crea) di Vercelli di accedere ad alcune vecchie varietà italiane per riportarle in campo, ottenendone 16. Nel 2018 sono stati allestiti quattro campi sperimentali nei terreni delle aziende in collaborazione con Salvatore Ceccarelli, ricercatore, consulente e già professore di Genetica agraria presso l’Istituto di miglioramento genetico dell’Università di Perugia.

Alcune delle varietà di riso utilizzate nel progetto “Riso resiliente”, finanziato da Fondazione Cariplo. La ricerca si è svolta secondo il modello della ricerca partecipata. Oltre al Crea di Vercelli, Rete Semi Rurali si è rivolta alla Banca del germoplasma internazionale del riso e ha richiesto materiale genetico di riso italiano, allestendo presso “Una Garlanda” un campo-catalogo © Riso Resiliente

“Abbiamo studiato le varietà e confrontato le caratteristiche della pianta come la capacità di contrastare le malattie e le infestanti, la maturazione, l’altezza, la produttività. Gli agricoltori hanno valutato le parcelle assegnando un voto da uno a cinque per indicare la qualità migliore -spiega Daniela Ponzini, coordinatrice del progetto-. Dopo i primi tre anni di sperimentazione, ci siamo accorti che non esiste una varietà migliore delle altre perché molto dipende dalla tecnica colturale adottata, che nel riso è poco standardizzata rispetto ad altre colture come frumento o orzo”. Una possibile strategia potrebbe essere offerta dall’utilizzo di materiale eterogeneo: a tale scopo si stanno sperimentando i primi “miscugli”, che si ottengono unendo diverse varietà di riso per vedere se hanno una migliore capacità di adattamento anche ai cambiamenti climatici, fino ad arrivare alla degustazione del prodotto. “È importante sottolineare come ci sia stato uno scambio di tecniche fra gli agricoltori che è continuato nel tempo”, conclude.

“Su un ettaro di terreno, senza l’uso dei fitofarmaci spendiamo circa 700 euro. Con il convenzionale sarebbero stati almeno 1.700” – Giuseppe Goio

L’unione di idee ha portato alla nascita del Biodistretto del riso piemontese: ne fanno parte sette aziende (tra cui “Una Garlanda”) che producono solo in modo biologico nella Baraggia, tra le province di Vercelli e Biella. L’obiettivo è valorizzare l’agricoltura biologica, tutelare il paesaggio e diffondere il patrimonio di conoscenze agrarie nate nell’area. I soci prevedono l’organizzazione di incontri per sensibilizzare la popolazione. “Questi agricoltori sono diventati un punto di riferimento per chi vuole commercializzare riso bio certificato. Prima si pensava che non fosse possibile coltivare senza fitofarmaci e stiamo mostrando che non è vero”, spiega Gianpaolo Andrissi, presidente del Biodistretto e agronomo. “Lo studio ‘Riso Biosystems’ delle Università di Torino e Milano, insieme all’Ente nazionale risi, ha mostrato gli effetti della produzione biologica sui territori. Nei campi la biodiversità è aumentata: sono tornati gli insetti impollinatori ed è migliorata la qualità delle acque”. È quello che Giuseppe Goio ha osservato direttamente nei suoi terreni dove dal 2014 coltiva in modo biologico il Rosa Marchetti.

“Facciamo la piantumazione sugli argini e ricreiamo un ambiente forestale. Sono tornati gli animali: lepri, uccelli, insetti -racconta-. Con il convenzionale questo non c’era più. Usando i fitofarmaci e la monocoltura il terreno era diventato sempre più ‘stanco’. Il passaggio al biologico è stato determinante, anche a livello emotivo: prima avevo perso amore per il mio lavoro”. Oggi su 40 ettari il riso bio è coltivato ruotandolo alla soia e al grano saraceno che arricchiscono il terreno di azoto. Nel 2021 sono stati raccolti 900 quintali di risone. Se la quantità è inferiore rispetto a quella che si otteneva con il convenzionale, sono però diminuiti i costi di produzione. “Usiamo il 40% in meno di carburante. Su un ettaro di terreno, senza l’uso dei fitofarmaci spendiamo circa 700 euro. Con il convenzionale sarebbero stati almeno 1.700”, aggiunge.

Goio è uno dei membri dell’associazione “Noi amici della terra” formata da sette aziende tra Pavia, Vercelli e Biella che si sono unite per valorizzare i loro prodotti secondo una logica di collaborazione e non competizione. “Siamo nati da un desiderio di aggregarci e lavorare insieme dal basso”, spiega Rosalia Caimo Duc dell’azienda “Terre di Lomellina” a Candia Lomellina (PV). Si può entrare a fare parte dell’associazione solo se si coltiva con metodo biologico: le aziende mettono in comune macchinari, attrezzature e organizzano acquisti collettivi per abbattere i costi. “Le tecniche del biologico non sono ancora standardizzate e queste collaborazioni permettono di continuare a sperimentare”, prosegue Caimo Duc. Nei suoi 86 ettari coltiva Baldo, Carnaroli, Rosa Marchetti e Ribe. Nel 2021 ha raccolto 1.600 quintali di risone venduti a privati, alla catena Naturasì e ai Gas: “Quando sono passata dal convenzionale al biologico, ho sentito che era la strada giusta da intraprendere”.

È successo lo stesso per Marco Cuneo che produce riso biologico nella sua azienda “Società agricola Del Parcoad Abbiategrasso (MI) nel Parco del Ticino. “Siamo partiti quasi per caso, con molti dubbi che poi si sono dipanati. Siamo riusciti a riportare la biodiversità nei nostri campi: è un punto centrale perché la salvaguardia del territorio passa per un’agricoltura di qualità.

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