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Ambiente

La repressione di Copenhagen

Perquisiti, ammanettati, costretti a sedere per terra nella gelida notte danese in attesa di essere tradotti nel carcere…

Copenhagen, 16 dicembre 2009

Perquisiti, ammanettati, costretti a sedere per terra nella gelida notte danese in attesa di essere tradotti nel carcere, dove avrebbero passato la notte: è stata questa la conclusione della serata a Christiania per 210 attivisti del Climate Justice Action, tra cui 84 italiani, che si trovavano nel quartiere occupato di Copenhagen per ascoltare il dibattito tra Naomi Klein e Michael Hardt.

 

Uno di loro, Luca Tornatore, portavoce triestino del movimento, è tuttora in carcere in attesa di processo, mentre gli altri sono stati rilasciati alle 5.30. Nessuna accusa o sospetto per i fermati: la legge speciale, varata dal Governo danese per controllare le proteste previste durante il Cop15, prevede che si possa passare in carcere fino a 12 ore senza alcun motivo; c’è scritto perfino nel foglio di diritti che viene consegnato prima di entrare in cella.

 

Ieri sera, a scatenare la violenta e generalizzata "repressione preventiva" (questo il termine usato dal ministero degli interni locale) è stata l’ennesima azione scellerata del Blocco Nero: uno sciame di ombre, a un certo punto della serata, ha scelto lo storico quartiere libero della città per far esplodere una guerriglia a tutto campo, con lanci di molotov, bombe carta e barricate in fiamme.

 

A chi era in zona per concludere la serata con una birra dopo il dibattito, non è rimasto altro da fare che cercare riparo nei bar.

 

La reazione delle forze dell’ordine è arrivata dopo un paio d’ore; il ripetuto lancio di lacrimogeni urticanti sgombera il campo a un plotone di caschi blu che invade le strade di Christiania: ogni via viene battuta ripetutamente da squadre di 10 uomini accompagnati da pastori tedeschi, che annusano ogni possibile nascondiglio davanti agli occhi increduli della folla asserragliata nei locali. Una situazione surreale: basta girare lo sguardo per vedere prima un black bloc trascinato via ma dietro l’angolo altri quattro che, agilmente, si tolgono i vestiti neri e si confondono tra la gente.

 

E’ proprio questa dinamica infame che ha provocato gli arresti di massa di ieri, ma non solo.

 

Dopo essere state terrorizzate, perquisite, ammanettate e costrette al freddo per quasi un’ora, sono finite in carcere persone che non potevano aver partecipato ad una guerriglia urbana fino a pochi minuti prima (se non altro per età) ma che commettono, davanti al governo danese, il grave reato di essere attivisti, di manifestare pacificamente tutti i giorni in città dall’inizio del Cop15 e, soprattutto, che si stanno preparando alla grande manifestazione di domani.

Infatti, l’attivista italiano in arresto è un volto noto della protesta, rilascia interviste a livello internazionale, oltre ad essere un ricercatore ed un padre di famiglia: non era certo sulle  barricate contro la politia ma, probabilmente, non riuscirà a partecipare al corteo di domani, quando il movimento cercherà di incontrare i rappresentanti dell’ONU riuniti nella roccaforte del Bella Center, dove si svolge il summit.

Oggi, molti esponenti dell’attivismo internazionale, da Via Campesina alla rete di protesta CJA hanno condannato l’operato repressivo del governo danese, non solo ieri ma dall’inizio del vertice, e hanno chiesto l’immediato rilascio dell’italiano.

 

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