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Ambiente

La prossima guerra commerciale? Le Terre Rare

Lo dice la parola stessa, sono la fonte primaria di materie prime per l’alta tecnologia ma la sua disponibilità sul pianeta è molto limitata. Stiamo parlando di elementi chimici come il Lantanio, l’Ittrio, il Terbio, nomi mai sentiti nominare ma…

Lo dice la parola stessa, sono la fonte primaria di materie prime per l’alta tecnologia ma la sua disponibilità sul pianeta è molto limitata. Stiamo parlando di elementi chimici come il Lantanio, l’Ittrio, il Terbio, nomi mai sentiti nominare ma che ci accompagnano quotidianamente, inseriti all’interno dei nostri principali dispositivi elettronici come i telefonini o come le future macchine ibride.
La Cina ne controlla il 97% della produzione globale, una situazione ritenuta strategicamente molto delicata dai Paesi avanzati in particolar modo dopo che la Cina nell’ottobre scorso ha deciso, autonomamente, di tagliarne l’esportazione di oltre il 70%, facendo vacillare la produzione in Giappone, negli Stati Uniti ed in Europa. Una scelta che, come impatto immediato, ha aumentato improvvisamente il costo delle materie prime sul mercato di oltre il 40%, dopo annate di prezzi particolarmente bassi.
E’ quindi giunto il momento di cercare alternative come la riapertura di una produzione interna, una scelta che stanno compiendo soprattutto Giappone e Stati Uniti, come ha dichiarato a Washington in un recente seminario David Sandalow, vicesegretario all’energia per gli affari internazionali.
E se consideriamo che la domanda globale per le Terre Rare raggiungerà molto probabilmente le 205mila tonnellate, è chiaro che una ristrutturazione della filiera produttiva potrebbe risultare conveniente anche per gli stessi Paesi occidentali. Una scelta che può avere conseguenze non indifferenti per l’impatto ambientale, l’apertura di miniere a cielo aperto  per l’estrazione può avere come risvolto negativo un inquinamento ambientale e di falda molto importante, addirittura radioattivo. Uno dei motivi per cui la Cina ha scelto di ridimensionare il proprio ruolo di principale produttore ed esportatore.
Secondo Gareth Hatch, analista al Technology Metal Research, in un’intervista al quotidiano britannico Guardian, la Cina non ha intenzione di mettere in ginocchio la produzione occidentale, ma "ha un mercato interno in costante crescita che sta orientando la domanda". "Questo" continua Hatch, "riduce la quantità che hanno intenzione di esportare".
Per questo la multinazionale Molycorp ha intenzione di buttarsi nell’affare, prevedendo di produrre enro metà 2012 da fonti "domestiche" circa il 25% dell’attuale importazione occidentale dalla Cina (cioè 20mila tonnellate all’anno per nove dei 17 elementi). Una produzione che potrebbe salire a 40mila tonnellate nei 18 mesi successivi e se si considera che in questo momento sono sfruttati solo 55 acri dei 2200 disponibili, si capisce quale può essere la posta in gioco. Una prospettiva che ha mosso persino il Sol levante, se si considera che la giapponese Sumitomo Corp ha deciso di investire oltre 130 milioni di dollari per garantirsi un approvvigionamento di Terre Rare per i prossimi sette anni. Ma il futuro appare tutto fuorchè promettente. Se consideriamo l’utilizzo di questi elementi (il Lantanio per le batterie ibride, il Neodimio per i magneti degli impianti eolici offshore, l’Europio per l’illuminazione a basso consumo) tra le varie domande una rimane irrisolta: basta una riconversione ecologica della pproduzione energetica ed industriale per risolvere il problema dell’insostenibilità di un modello di sviluppo? Considerata la limitata disponibilità di Terre Rare ed il pesante impatto della loro estrazione, c’è veramente da auspicare energia pulita per tutti, ma senza intaccare la logica della crescita infinita?
 

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