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Ambiente

La privatizzazione “forzata” dell’acqua in Lombardia

A fine novembre la riforma regionale del servizio idrico integrato. Oltre il decreto Ronchi: sarà impossibile salvare le gestioni pubbliche virtuose

“L’acqua è e rimane un bene pubblico, le tariffe non aumentano, le Province assumono le competenze delle ex AATO (Autorità di Ambito territoriale ottimale) e i Comuni vanno ad acquisire un ruolo di fondamentale importanza all’interno della Consulta nella quale saranno inseriti”.
Almeno sulla carta, la legge che riforma il servizio idrico integrato in Regione Lombardia, approvata in giunta regionale il 26 ottobre 2010, è un trionfo del principio “acqua bene comune”. La realtà è ben diversa da quella descritta nel comunicato dell’amministrazione regionale: se la legge (che trovate in allegato) passerà “intonsa” anche il vaglio del consiglio regionale, previsto entro fine novembre, in Lombardia, a differenza del resto del Paese, sarà impossibile salvaguardare le gestioni pubbliche degli acquedotti, come quelle di Bergamo, Lodi e Milano.  
Ecco perché 7mila attivisti avevano indirizzato al presidente della Giunta regionale Roberto Formigoni e a tutti gli assessori una e-mail in cui chiedevano di non “privatizzare l’acqua in Lombardia”. Datata 25 ottobre 2010, è rimasta inascoltata.
Tra i promotori del mail-bombing c’è Roberto Fumagalli, vice-presidente del Comitato italiano per un contratto mondiale sull’acqua e referente in Lombardia del Comitato promotore dei tre referendum contro la privatizzazione degli acquedotti: “Le modifiche apportate dalla nuova legge riguardano, essenzialmente, due aspetti -spiega-: da un punto di vista del ‘governo’ del servizio idrico integrato, le competenze che fino ad oggi erano esercitate dalle Autorità d’Ambito passano alle Provincie. Le prime erano assemblee formate dai sindaci di tutti i Comuni di ogni provincia. Adesso, a decidere saranno le amministrazioni provinciali, che potranno farlo anche attraverso aziende speciali, enti di diritto pubblico. Le Province potranno eventualmente nominare alcuni sindaci nei consigli d’amministrazione di queste strutture, ma il processo decisionale, però, ‘apparterrà’ totalmente alle amministrazioni provinciali. Possono essere costituite, come ricorda il comunicato della Regione, le Consulte, formate dai sindaci, ma queste avranno il potere di esprimere un parere, che è ‘obbligatorio’, ma non si capisce fine a che punto ‘vincolante’”.
Gli atti che sfuggono al controllo democratico degli eletti sono l’approvazione del Piano d’ambito, che è il piano d’investimenti su acquedotti, fognature e depurazione, l’approvazione di eventuali modifiche del Piano stesse e delle politiche tariffarie.
“Per quanto riguarda invece la gestione -continua Fumagalli-, si afferma che verrà affidata ai sensi dei comma a e b dell’articolo 23 bis (della legge 135/2008, come modificata dalle l. 166/2009, ndr). Significa, in pratica, che in Lombardia saranno possibili la gara aperta a società di capitali e l’affidamento a  società mista, partecipata da un soggetto privato almeno al 40 per cento”.
Il decreto attuativo della legge Ronchi (Dpr 168/2010, del 7 settembre scorso) individua, in particolare, tre criteri: la “chiusura dei bilanci in utile, escludendosi a tal fine qualsiasi trasferimento non riferito a spese per investimenti da parte dell’ente affidante o altro ente pubblico”; il “reinvestimento nel servizio almeno dell’80 per cento degli utili per l’intera durata dell’affidamento”; “l’applicazione di una tariffa media inferiore alla media di settore”. Secondo Fumagalli, la Regione vuole rendere impossibile il “salvataggio” delle esperienze in house e virtuose di Bergamo, Lodi e del Comune di Milano, dove l’affidamento è attualmente a favore di società per azioni a totale capitale pubblico che presentano le condizioni di salvaguardia.
“Non capiamo perché la Regione Lombardia manifesti tutta questa fretta nell’andare a scrivere una nuova legge regionale. È vero che una legge impone la ‘scadenza’ degli Ambiti territoriali ottimali, ma non sembra che le altre Regioni si stiano attrezzando. È da scoprire, poi, in che modo hanno convinto i Comuni a svolgere un ruolo meramente consultivo. Ci sembrano poche, in cambio, le concessioni agli enti locali, che potranno solo recuperare finanziamenti, ad esempio attraverso Finlombarda, da ‘devolvere’ poi al soggetto gestore”.
L’iter legislativo è destinato a concludersi il prossimo 23 novembre. Intanto, la discussione continuerà all’interno della ottava commissione “Agricoltura, parchi e risorse idriche”, che il 10 novembre ha ascoltato le proposte dei Comitati regionale per l’acqua pubblica e ricevuto anche i sindaci lombardi, che hanno espresso il loro malumore per una legge che annulla il ruolo degli enti locali.
Il 13 novembre, invece, dieci giorni prima della probabile approvazione delle legge, che interviene a modificare la legge regionale 26/2003, a Milano è convocata una manifestazione davanti al Pirellone (sede della Regione Lombardia). Lo slogan: “Alt alla legge regionale”.   

(aggiornato il 10 novembre 2010)

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