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La presa per fame della Striscia di Gaza passa ancora per l’intenzionale “distruzione agricola”

Oltre l’80% dei terreni coltivabili è stato danneggiato dai bombardamenti e reso inaccessibile, in particolare a Rafah, a Sud, e nel Nord. Campi, serre e alberi vengono spianati da ruspe e carri armati, in una strategia brutale di Tel Aviv volta a sfinire una popolazione già privata degli aiuti ed esposta a una crisi catastrofica. La quale, comunque, si ingegna, tra orti improvvisati e semine in cassoni trasportabili. La testimonianza di Sami Abu Omar
“I progetti agricoli nella Striscia di Gaza sono cancellati e le perdite sono enormi e inimmaginabili. Tutte le infrastrutture di questo settore, comprese le reti di irrigazione e i pozzi, sono state distrutte, così come tutti i fienili e le fattorie”.
Sami Abu Omar, cooperante della Ong italiana Associazione di cooperazione e solidarietà (Acs) a Gaza e da settembre scorso anche operatore di Emergency, ne è testimone. “Ruspe e carri armati distruggono e spianano intenzionalmente colture e terreni agricoli, le serre e gli alberi vengono sradicati e sepolti fino a non lasciarne traccia”.
A fine maggio l’Organizzazione delle Nazioni unite per l’alimentazione e l’agricoltura (Fao) ha misurato il livello di devastazione in un report per il quale ormai nella Striscia meno del 5% della superficie agricola è disponibile per la coltivazione.
L’analisi è stata condotta ad aprile tramite una valutazione geo-spaziale eseguita dal Centro satellitare delle Nazioni Unite (Unosat), che ha utilizzato delle immagini satellitari ad alta risoluzione e le ha confrontate con le fotografie di riferimento precedenti al conflitto. Dalle rilevazioni emerge che più dell’80% dell’area coltivabile a Gaza è stata danneggiata, equivalente a 12.537 ettari su un totale di 15.053, e che il 78% dei terreni non è più accessibile agli agricoltori.

Nell’intera Striscia rimangono perciò “utilizzabili” solo 688 ettari, per lo più nelle zone centrali di Deir Al-Balah e Khan Younis (10,6% e 8,8% dei terreni), una superficie che finora non è stata distrutta e che non è stata oggetto dei divieti di accesso da parte dell’esercito israeliano. Invece nei governatorati della parte Nord oltre il 90% delle aree agricole sono state danneggiate, quota che tocca invece il 100% nella città di Rafah, a Sud, dove i terreni sono inaccessibili per gli abitanti a causa dell’invasione delle truppe di Israele.
“La situazione è più che drammatica, considerando che lo era già un paio d’anni fa e non è mai migliorata. L’area prettamente agricola di Gaza era la fascia Est lungo tutta la Striscia fino al muro di delimitazione, anche dentro la buffer zone controllata da Israele -prosegue Abu Omar-. Palmeti, serre idroponiche, pozzi e desalinizzatori costruiti anche dalla cooperazione internazionale sono stati tra i primi bersagli dei bombardamenti, poi è stato vietato l’accesso alla popolazione per ripristinarli. Da ormai un anno queste aree sono divenute dei corridoi per i carri armati o aree destinate alla logistica dell’esercito”.

Il report della Fao ha misurato anche il livello di distruzione delle infrastrutture agricole, rilevando che il 71% delle serre nella Striscia è stato rovinato dal conflitto; in particolare tutte le strutture del governatorato di Gaza sono state ormai danneggiate, mentre a Rafah si è registrato un importante aumento delle serre distrutte, passate dal 57% del totale a dicembre 2024 all’86% nell’aprile 2025. Una situazione simile si riscontra anche per i pozzi agricoli, dei quali ad oggi l’83% risulta distrutto rispetto al 67% dello scorso dicembre.
“Le zone adatte all’agricoltura nella Striscia erano Rafah e Khan Younis ma sono state totalmente distrutte dai bombardamenti aerei e dalle operazioni di terra, soprattutto quelle di maggio 2024 a Rafah che hanno danneggiato tutte le serre,- evidenzia Abu Omar-. A Khan Younis era rimasta intatta solo una zona nei pressi del mare, però dopo il primo cessate il fuoco i soldati israeliani sono entrati nell’area per distruggerla poiché i residenti avevano iniziato a sistemare le serre per coltivare degli ortaggi. Le pochissime che rimangono sono nei pressi di Deir Al-Balah e Al-Mawasi”.

Il settore agricolo costituiva un importante mezzo di sussistenza e una risorsa economica per i residenti, rappresentando almeno il 10% dell’economia di Gaza con oltre 550mila persone che vi si affidavano per il proprio sostentamento. All’inizio di quest’anno la Fao ha stimato per il solo 2023 il valore dei danni e delle perdite subite dal settore agricolo a Gaza: una cifra che supera i due miliardi di dollari con un fabbisogno per la ricostruzione stimabile in almeno 4,2 miliardi. E mancano gli effetti del 2024 e dei primi cinque mesi del 2025.
“Le aree agricole sono ormai scarsissime e si coltivano principalmente prodotti da consumare freschi e a ciclo breve, vista l’urgenza di produrre e l’instabilità data dai continui sfollamenti interni. Va ricordato che ormai il 90% della popolazione di Gaza ha abbandonato la propria casa e l’80% vive negli accampamenti, anche se nelle ultime settimane molti sfollamenti sono stati talmente improvvisi e brutali che tante famiglie hanno dormito per strada senza tende -racconta Sami Abu Omar-. Per questi stessi motivi gli orti improvvisati vengono abbandonati prima del raccolto, e molti provano a coltivare fuori dalla terra, in vasi o cassoni trasportabili, ma anche questo sistema non è efficace né fattibile perché le evacuazioni vengono ordinate improvvisamente e le persone devono trasportare quel poco che possono, innanzitutto i figli o i parenti anziani o feriti, e non possono permettersi di spostare i vasi”.

Un livello di distruzione che ha un impatto concreto e drammatico sulla vita della popolazione, che fatica terribilmente ad accedere al cibo soprattutto a causa del blocco attuato da Israele all’ingresso degli aiuti umanitari nella Striscia. Una recente analisi dell’iniziativa per la Classificazione integrata delle fasi della sicurezza alimentare (Ipc), che coinvolge alcune agenzie delle Nazioni Unite, ha evidenziato che l’intera popolazione della Striscia (circa 2,1 milioni di persone) sta affrontando un rischio critico di carestia dopo quasi 20 mesi di bombardamenti, di continui sfollamenti e di gravi restrizioni all’ingresso degli aiuti umanitari. Più nel dettaglio, nel mese di aprile il 93% delle persone (1,9 milioni di persone) ha vissuto un periodo di crisi alimentare, dei quali il 44% (almeno 925mila gazawi) si trovava in una situazione di emergenza e oltre 240mila persone in una fase considerata dall’Ipc come “catastrofica”, in cui la popolazione vive una persistente condizione di insicurezza alimentare e rischia di morire di fame.
“Negli ultimi giorni di maggio sono entrati un centinaio di camion delle Nazioni Unite carichi principalmente di farina, quasi tutti sono stati assaltati e dopo pochi giorni la farina era in vendita al mercato nero ad oltre 40 euro al chilogrammo. Anche questo è un effetto della disgregazione sociale causata dall’invasione, un obiettivo dichiarato di Israele già nelle prime fasi della guerra oltre alla deprivazione medica e alla presa per fame della popolazione”, conclude Abu Omar. In questo contesto lunedì 26 maggio è iniziata la contestata distribuzione di alcuni aiuti alimentari dalla Gaza humanitarian foundation voluta dagli Stati Uniti con l’esplicito obiettivo di sostituire l’Agenzia delle Nazioni unite per il soccorso e l’occupazione dei rifugiati palestinesi (Unrwa) e di lavorare alle dipendenze dell’esercito israeliano.
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