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La politica miope e l’opzione militante

Caro Tonino, ti ringrazio per aver approfittato dell’intervento del papa per richiamare l’attenzione sul tema della sobrietà e porre una serie di interrogativi. Un tempo pensavamo che per fare giustizia su questa Terra bastasse battersi per regole più eque in…

Caro Tonino, ti ringrazio per aver approfittato dell’intervento del papa per richiamare l’attenzione sul tema della sobrietà e porre una serie di interrogativi. Un tempo pensavamo che per fare giustizia su questa Terra bastasse battersi per regole più eque in ambito commerciale e finanziario. Oggi abbiamo capito che contemporaneamente dobbiamo impegnarci per traghettare le nostre economie dall’opulenza alla sobrietà, perché il pianeta non ha risorse e spazi ambientali sufficienti per garantire a tutte le famiglie del mondo il nostro stesso tenore di vita.
Il clima è impazzito, il petrolio è agli sgoccioli, l’acqua scarseggia, le foreste sono decimate, i mari si stanno svuotando: tutto questo ci ricorda che le mammelle della Terra si stanno avvizzendo e solo se gli opulenti accettano di sottoporsi a cura dimagrante gli impoveriti potranno disporre delle risorse necessarie per vivere più dignitosamente. Per questo la sobrietà non è più un optional, ma una scelta obbligata se vogliamo salvare questo pianeta e questa umanità. L’alternativa è la guerra, il ritorno al colonialismo vecchia maniera, un ecologismo razzista che rivendica un pianeta pulito al servizio di una minoranza che vive nel privilegio.

Sono certo che la storia dell’umanità prossima ventura ruoterà tutta attorno alla gestione delle risorse che si fanno sempre più scarse ed è deprimente constatare quanto questo tema sia ancora lontano dall’agenda dei partiti. Gli scienziati lanciano grida di allarme sul clima, i generali fanno tuonare i cannoni sugli ultimi pozzi rimasti, la Fao denuncia l’insostenibilità dei biocarburanti, ma i nostri partiti si occupano solo di dispute provinciali in perfetto stile capital-liberista in ambedue gli schieramenti. Come dice Giorgio Ruffolo, i mali del pianeta affondano le loro radici nella cortomiranza della politica, e ancora una volta solo la militanza potrà salvarci. Ma, sono d’accordo con te, deve giocare bene il suo ruolo. Di sicuro deve avere chiaro che non basta limitarsi né alle analisi, né agli stili di vita, né alle lotte locali per opporsi alla Tav o altri progetti scellerati. Tutto ciò è fondamentale, perché consapevolezza, coerenza e resistenza sono tre ingredienti imprescindibili della politica, ma tutto ciò deve essere associato a un altro passaggio che se non viene assunto fa perdere significato anche agli altri livelli di impegno. Questo passaggio si chiama progettazione politica, rispetto alla quale siamo terribilmente indietro, perché non abbiamo ancora capito che la sobrietà -o decrescita, come altri la chiamano- fa saltare molti meccanismi di funzionamento di questa economia compresi quelli di rilevanza sociale come la piena occupazione e la garanzia dei servizi pubblici.

Nel mio libro Sobrietà mi sforzo di fare capire queste implicazioni e mi sforzo di richiamare l’urgenza di cominciare a pensare come può funzionare un’economia che sappia coniugare sobrietà, piena occupazione e servizi fondamentali per tutti, tanto per usare un vocabolario condiviso, ben sapendo che la nostra rivoluzione dovrà cominciare dalle parole e dalle categorie concettuali.

Come creare occupazione senza stimolare il consumo? Come chiudere i settori inutili senza mandare gente a spasso? Come ottenere dallo Stato molti servizi senza obbligare l’economia a crescere? Come razionare le risorse scarse e a favore di chi e per che cosa? Come conciliare programmazione e partecipazione? Come regolamentare il mercato affinché non entri in rotta di collisione con l’interesse comune? La gente valuterà la nostra credibilità in base alla nostra capacità di dare risposte a questi e altri quesiti estremamente concreti. Per questo nel mio libro chiedo di compiere un grande sforzo progettuale e, per non rimanere nel vago, avanzo anche delle proposte.

Ma a distanza di tre anni devo constatare che non si è innescato alcun dibattito e mi chiedo perché. Incapacità di sognare? Pigrizia? O più semplicemente mancanza di idee? Qualunque sia la risposta, una cosa è certa: non possiamo perdere altro tempo perché il collasso è alle porte. Dobbiamo rimboccarci le maniche e darci da fare su tutti i piani, con il rinnovamento dei comportamenti individuali, con la lotta per resistere ai progetti più scellerati, con la presenza negli enti locali per spingere verso scelte innovative di transizione, con la partecipazione in tutte le aggregazioni possibili per fare crescere un nuovo modello di organizzazione economica pensato per servire la gente nel rispetto dell’equità e del pianeta, e non gli interessi dei mercanti.

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