Una voce indipendente su economia, stili di vita, ambiente, cultura
Diritti / Attualità

La pandemia e la violenza sulle lavoratrici della filiera tessile

© Abiti Puliti

Sono le donne a subire le conseguenze della fast fashion: percepiscono salari più bassi, subiscono violenze sessuali in fabbrica e non hanno supporto legale. Se denunciano, sono licenziate. E il Covid-19 ha peggiorato la situazione. L’allarme della Clean Clothes Campaign

“Le lavoratrici sono ridotte al silenzio. Nelle fabbriche subiscono aggressioni sessuali da parte dei superiori e se fanno resistenza vengono licenziate. In poche denunciano”. Le parole di un’attivista dell’associazione per i diritti sul lavoro Kalpona Akter di base in Bangladesh sono una delle testimonianze raccolte dalle organizzazioni aderenti alla Clean Clothes Campaign (Ccc), tra cui l’italiana Abiti Puliti, che denuncia lo sfruttamento nella filiera della fast fashion. In occasione della giornata internazionale contro la violenza sulle donne, gli aderenti all’iniziativa hanno pubblicato un position paper per sottolineare la necessità di agire contro le violenze sul luogo di lavoro a partire dalle condizioni economiche che le determinano come il divario salariale. Il settore della moda nei Paesi di produzione, si legge nel documento elaborato dalla Ccc, facilita strutturalmente gli abusi e le molestie contro le lavoratrici. La maggioranza della forza lavoro è femminile e comprende spesso donne molto giovani e migranti; i salari sono estremamente bassi, la pressione sulla produzione è alta e le lavoratrici non sono rappresentate nei sindacati. Questo richiede, secondo la campagna, un diretto intervento dell’Unione europea che deve sviluppare una normativa per rendere trasparente la filiera, soprattutto nelle fasi finali, garantire un salario minimo e l’applicazione della Convenzione contro la violenza e le molestie sul luogo di lavoro definita dall’Organizzazione internazionale del lavoro (Ilo).

Un esempio. Secondo una ricerca condotta dal Bangladesh Center for Workers e dall’organizzazione Femnet sui casi di violenza sessuale e molestie nelle fabbriche del Bangladesh, circa il 75% dei 642 lavoratori intervistati (484 donne e 158 uomini) ha affermato di avere subito violenze legate al genere. L’indagine ha denunciato che le vittime non hanno un supporto legale cui rivolgersi e che i casi non sono perseguiti. “Le donne in Bangladesh non parlano di violenza e abusi perché sono sentiti come un tabù. È il motivo per cui non è possibile avere stime esatte della violenza nelle fabbriche, ancora percepita come la normalità”, spiega un’attivista della Bangladesh Center for Workers.

La situazione è peggiorata durante la pandemia da Covid-19 che si è tradotta, nei Paesi in cui è delocalizzata la produzione, in commesse cancellate, licenziamenti e diminuzioni dei salari. Secondo il rapporto “Stipendi negati in pandemia” realizzato dalla Clean Clothes Campaign nei sei Paesi analizzati -Sri Lanka, Pakistan, Myanmar, Indonesia, India (Bangalore), India (Tirupur), India, Cambogia, Bangladesh- tra marzo e maggio 2020 12,98 milioni di lavoratori non hanno ricevuto salari per 1,82 miliardi di dollari. Nello stesso periodo a livello globale Ccc stima che i 50 milioni di lavoratori impiegati nell’industria tessile, delle calzature e dell’abbigliamento hanno subito una perdita salariale paria 5,79 miliardi di dollari. Sono state le donne, si legge nel rapporto, a subire gli effetti peggiori della crisi, accentuati dalla struttura stessa della filiera tessile. Il basso salario spinge le lavoratrici agli straordinari oppure ad avere più impieghi insieme, che si aggiungono ai lavori di cura e domestici. La disparità economica determina bassi livelli di istruzione e questo aumenta le difficoltà nell’avviare percorsi di emancipazione. La precarietà sul lavoro, inoltre, ha affetti nocivi sulla salute delle madri e dei figli.

“I marchi committenti per decenni essi hanno beneficiato del lavoro sottopagato di milioni di lavoratrici che hanno reso possibili ingenti profitti e dividendi per gli azionisti, in molti casi anche durante la crisi”, ha affermato Deborah Lucchetti, coordinatrice della Campagna Abiti Puliti. “Oggi nel pieno della seconda ondata di restrizioni dovute alla pandemia, portiamo la voce di quelle operaie confinate alle periferie delle filiere che rischiano di scivolare nella miseria più nera, se non riceveranno almeno i salari di legge e le indennità necessarie a fare fronte, in molti casi, alla perdita del lavoro”.

© riproduzione riservata

Newsletter

Iscriviti alla newsletter di Altreconomia per non perderti le nostre inchieste, le novità editoriali e gli eventi.


© 2024 Altra Economia soc. coop. impresa sociale Tutti i diritti riservati