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La morte di Joseph è già dimenticata. Nuovi ricambi per le milizie libiche

Un fermoimmagine della missione di soccorso 78 nel Mediterraneo condotta da Open Arms ed Emergency nel novembre 2020 © Open Arms

L’Italia continua a equipaggiare le cosiddette “guardie costiere” libiche cui delega il compito illegale di respingere le persone in fuga nel Mediterraneo. Lo ha fatto anche poco prima della missione 78 di Open Arms ed Emergency di inizio novembre. Perché dobbiamo ricordare quella missione. L’editoriale del direttore, Duccio Facchini

Tratto da Altreconomia 232 — Dicembre 2020

Per diverse settimane il ceto politico (e giornalistico) italiano ha discusso della necessità di “salvare” il cenone di Natale. Proprio così, “salvare”. Chiusure sì, chiusure no, quello che volete, ma nessuno tocchi il Natale (e i fatturati). Lo spettacolo si è tenuto anche nei giorni di novembre in cui nelle acque del Mediterraneo veniva condotta la missione di soccorso numero 78 da parte di Open Arms ed Emergency. Quella del piccolo Joseph, per intendersi, morto a sei mesi per un arresto respiratorio dopo disperati tentativi di rianimazione. Ad alcuni la circostanza dirà poco già oggi, tra qualche mese figuriamoci, tra qualche anno il 2020 sarà solo “il maledetto anno della pandemia” (e di Trump che ha cambiato il colore dei capelli dopo la sconfitta elettorale, tripudio sui social). Eppure quella missione di soccorso va ricordata. Non per dire “mai più”, che di solito è sulla bocca degli inconcludenti e degli ipocriti, ma per non rassegnarsi al disumano.

Dal 4 novembre e per i dieci giorni successivi Open Arms ed Emergency hanno soccorso 265 persone in tre operazioni distinte in acque internazionali. Mentre l’Unione europea si voltava dall’altra parte, questi hanno salvato il mondo: donne, uomini, bambini da Eritrea, Togo, Camerun, Sudan, Guinea, Burkina Faso, Egitto, Senegal, Guinea Conakry, Mali, Somalia, Burundi, Chad, Nigeria, Sud Sudan, Liberia, Ghana, Sudan, Tunisia, Costa D’Avorio ed Etiopia. I ragazzi che viaggiavano da soli erano 71. Le imbarcazioni dei naufraghi si trovavano tutte in pessime condizioni. Il 10 novembre i soccorritori hanno intercettato una barca con un fianco rotto che tirava dentro acqua con fuoriuscite di gasolio. Il giorno successivo, invece, la Open Arms ha intercettato 113 persone su un gommone parzialmente sgonfio il cui fondo ha ceduto poco dopo l’inizio delle operazioni di recupero. Sono morte cinque persone. “In un luogo di disumanità si può morire solo in modo disumano”, direbbe Pierluigi Di Piazza, prete dal 1975 e fondatore nel 1988 del centro di accoglienza per stranieri e di promozione culturale “Ernesto Balducci” di Zugliano (Udine).

Sconvolge però una circostanza, sottolineata da nessuno. Il giorno prima dell’inizio della missione 78, il 3 novembre, il Centro navale della Guardia di Finanza pubblicava un “avviso di aggiudicazione” per la fornitura di “ricambi per tutti i motori e della manutenzione preventiva e correttiva dei motori in dotazione alle unità navali classe ‘Bigliani’ e ‘Corrubia’ cedute e/o da cedere alla guardia costiera libica”. Nella determina di gara è indicata una “necessità”, quella di “affidare la commessa in argomento al fine di assicurare la fornitura di ricambi e l’esecuzione delle manutenzioni preventive e/o correttive in territorio nazionale per gli apparati motore delle unità succitate al fine di ottimizzare l’attività di gestione esercitata dal Corpo e fornire una stabile funzione di assistenza tecnica finalizzata al mantenimento in efficienza delle stesse”. Tradotto dal burocratese: è l’ennesimo appalto governativo tramite il quale il nostro Paese equipaggia, assiste o addestra le corsare milizie libiche delegando loro il compito illegale di respingere persone in fuga, proprio come quei 265 naufraghi della missione 78. Importo a base d’asta: due milioni di euro. Offerte ricevute: una, quella della Mtu Srl di Arcola (SP). Appalto aggiudicato. Quante “missioni 78” si potevano sostenere con due milioni di euro e quante vite si potevano “salvare”?

Ci si chiede retoricamente chi incalzi, detti o modifichi agenda e necessità della politica italiana ed europea. Forse la “drammaticità delle condizioni delle persone”, come ha gridato con tutte le sue forze Di Piazza in un discorso memorabile di fine settembre in piazza Primo maggio a Udine? Purtroppo no, la politica è altrove -noi siamo altrove- e nel Mediterraneo si continua a morire ogni giorno. Ecco perché va ricordata quella missione 78. Anche un po’ per salvare noi stessi, altro che il cenone.

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