Una voce indipendente su economia, stili di vita, ambiente, cultura
Diritti / Attualità

La morte dentro la vita: quando la comunità dice “I care”

© Antonio Verdin - Unsplash

Nasce nel territorio delle Colline Matildiche, in provincia di Reggio Emilia, la prima “compassionate community” in Italia: il progetto “InVITA!”, coordinato dal Centro servizi per il volontariato Emilia e supportato dall’8xmille di Unione Buddhista Italiana si propone di ridurre la sofferenza legata a malattie inguaribili e nel fine vita grazie al supporto di tutta la comunità

Prendersi cura l’uno dell’altro e abbracciare la sofferenza di chi ci è vicino non solo migliora la qualità di vita dei cittadini ma è un fattore di coesione sociale nella comunità. Nei Comuni del territorio collinare a pochi chilometri dalla città di Reggio Emilia, ha preso il via il processo che porterà alla creazione della prima “compassionate community”, un’assoluta novità in Italia in tema di attenzione al fine vita e alle malattie incurabili.

“Le compassionate communities -spiega Silvia Bertolotti di Csv Emilia, coordinatrice del progetto- sono un nuovo modello di cura, una sorta di laboratorio civico a cielo aperto, un programma di ecologia sociale che coinvolge tutta la comunità, creando reti di supporto che affiancano chi deve convivere, nell’ultima parte della propria vita con una malattia oncologica, neuro-degenerativa o con altre forme di vulnerabilità tipiche della vecchiaia avanzata”. Una compassionate community mira a costruire reti di sostegno di “community based caregiving”, fondate sulla com-passione (il farsi prossimo in una situazione di sofferenza, contrapposto alla mera “pietà”), trovando proprio al suo interno risorse e competenze, che vanno da professionalità specifiche e servizi sanitari all’empatia e alla mutua solidarietà.

Il movimento nasce negli anni 2000 nel Kerala, in India e si diffonde in tutto il mondo, con oltre 60 esperienze attive, ampiamente descritte e documentate in articoli pubblicati su prestigiose riviste mediche. Il progetto trova infatti ulteriore fondamento teorico, scientifico e metodologico nel report 2022 della Commissione di Lancet sul valore della morte, che per “riportare la morte dentro la vita” propone di restituire a famiglia e comunità il giusto protagonismo nel sostegno ai morenti. Si valorizzano così le relazioni di cura e le reti informali, in affiancamento e a supporto dei professionisti della sanità. È evidente la delicatezza della tematica così come il suo addentellato con l’attualità: basti pensare alla legge 219 del 14 dicembre 2017 sulle Disposizioni anticipate di trattamento (Dat) e ai ripetuti solleciti della Corte costituzionale al legislatore per intervenire organicamente in materia di fine vita, finora rimasti inascoltati.

Il principale obiettivo del progetto, supportato dai fondi 8xmille di Unione Buddhista Italiana, è promuovere una migliore qualità della vita, rafforzando al contempo la coesione sociale e “attivare la cittadinanza nell’ottica della salute pubblica”. “Per realizzare questi intenti -continua Bertolotti- nei Comuni della zona collinare di Reggio Emilia abbiamo effettuato un’approfondita ricerca preliminare sui bisogni presenti nella comunità e sulle sue risorse, interviste a 28 cittadini volontari e non, a cui si sono aggiunti 14 caregivers, a cui è seguita la creazione di un network che comprende pubbliche amministrazioni, l’Unione di Comuni colline matildiche e Tresinaro Secchia, l’Azienda unità sanitaria locale di Reggio Emilia e le Case della comunità delle Unioni di Comuni, l’hospice della Fondazione Madonna dell’Uliveto Onlus di Montericco di Albinea, gestito da una cooperativa, l’hospice intraospedaliero di Guastalla e numerose realtà del Terzo settore e volontariato che si occupano di fragilità e patologie inguaribili.

“Una compagine che si sta ampliando -ribadisce Bertolotti- e riscuotendo anche l’interesse dei territori limitrofi”. Il passo successivo prevede la formazione di un’inedita figura di facilitatore, detto connector, che supporti le famiglie e i servizi socio-sanitari per trovare risposte ai bisogni causati dalla malattia. Una sorta di genius loci che si potrà occupare di cinque-sei famiglie, attivando risorse sul territorio e reti di prossimità, dal vicinato al tessuto associativo. Dalla ricerca e dalle interviste sono emersi infatti bisogni informativi e culturali, in primis la consapevolezza sulle tutele e i diritti nel fine vita; e poi i bisogni pratici, come quello di non rimanere soli -circostanza che spesso non riguarda solo gli ultimi giorni di vita-, oltre a quelli di specifici interventi socio-sanitari.

“Per questo -aggiunge Bertolotti- è necessario attivare le risorse sul territorio, che non sono solo professionisti della sanità e caregiver: questi attori essenziali possono essere affiancati anche da reti informali, come amici, vicini di casa, colleghi, volontari”. Il progetto si pone anche l’obiettivo di limitare la medicalizzazione di una condizione che non sempre è di breve durata, oltre che di rendere economicamente più efficienti le prestazioni socio-sanitarie, diminuendo gli interventi medici, limitando gli accessi al pronto soccorso e i relativi costi, come si è verificato, in particolare, nella compassionate community della Western Australia, che ha raccolto e analizzato dati anche relativamente a questi aspetti (un articolo scientifico sul tema è “Researching two compassionate cities: study protocol for a mixed-methods process and outcome evaluation. Palliative Care & Social Practice”, 2022, vol. 16).

La dottoressa Silvia Tanzi, responsabile dell’Unità di cure palliative del Core Irccs di Reggio Emilia e responsabile scientifica del progetto, spiega che “il progetto si chiama ‘InVITA!’ perché vuole valorizzare la vita quando ancora c’è. Il primo obiettivo è far partire la sperimentazione su alcune famiglie grazie alla figura del connector e lanciare una call per i cittadini che possono diventare caring helper. Il modello scientifico? È stato validato con il prestigioso invito a partecipare al Congresso mondiale delle cure palliative (a Helsinki, 2025 ndr)”. “Siamo alle soglie di un lungo lavoro che è anche sociale e culturale, perché la morte è ancora un tabù, sia per i cittadini sia per i professionisti e va riportata all’interno del discorso pubblico -continua Tanzi-. Per questo sono parte integrante del progetto spettacoli teatrali e incontri nelle scuole: si può partire fin dall’ultimo ciclo scolastico, perché va ricordato che dalla maggiore età è possibile fare le proprie Disposizioni anticipate di trattamento. L’aspirazione è creare un movimento che diventi un’onda lunga, perché un vicino di casa si può coinvolgere in poche settimane ma per fare cambiare mentalità a una collettività ci vogliono 30 anni”.
Non a caso il progetto porterà con sé anche la stesura di un “Manifesto dei diritti alla vita fino alla fine”, di cui Silvia Bertolotti ci anticipa alcuni punti chiave: “Il primo punto è la promozione del diritto ad autodeterminarsi delle persone in situazioni di vulnerabilità, seguìto dal diritto ad avere una corretta informazione sui trattamenti sanitari a cui la persona potrebbe essere sottoposta; ma anche in tema delle Dat, del testamento, del matrimonio come tutela e dell’amministrazione di sostegno. Così come non saranno trascurati i diritti dei caregiver. Non ultimo, si metterà in luce il diritto a un’alfabetizzazione sul tema del lutto e sulla morte che porti a una nuova postura emotiva collettiva e a un engagement tra i cittadini”.

Il portale web www.in-vita.netonline a partire dal 10 ottobre- sarà il punto di caduta di tutte le risorse e informazioni a disposizione della comunità raccolte, in particolare, nell’ultimo anno di lavoro del progetto, valorizzando in particolare le risorse presenti nella provincia reggiana, ma senza dimenticare che molte informazioni sono utili anche fuori dall’ambito territoriale.
L’evento di lancio del progetto -battezzato “InVITA vorrei”-, si terrà il 10, 11 e 12 ottobre presso le Officine creative reggiane-Ex Caffarri (in Via Flavio Gioia 4 a Reggio Emilia). Un fitto programma di appuntamenti, tra cui spicca venerdì 10 ottobre, dalle 15,00 l’incontro con decisori pubblici, operatori socio-sanitari e giornalisti, in cui sarà tra l’altro presentato il nuovo portale informativo. L’11 ottobre la cittadinanza sarà invitata a un tour negli spazi dell’ex Caffarri, attualmente sede del centro di riciclaggio creativo Re Mida, dove, attraverso l’allestimento di alcune “stazioni”, i cittadini che parteciperanno potranno conoscere meglio il progetto, anche grazie al dialogo e al confronto diretto con i volontari e gli operatori che fanno parte della cabina di regia. In particolare, sarà possibile dialogare con gli esperti dei diritti e delle tutele nel fine vita, per informarsi e prepararsi ad affrontare con serenità e consapevolezza anche le fasi in cui la vita è più fragile. L’11 e il 12 ottobre, debutta anche “Una specie di preghiera”, spettacolo teatrale della compagnia MaMiMò: lo spettacolo, creato appositamente per il progetto InVita, nasce dalla rielaborazione delle interviste fatte a persone scelte per i loro vissuti particolari, che il teatro ha trasformato da esperienze personali a patrimonio collettivo, per suscitare riflessioni su vita, morte, fragilità, cura. Il programma completo e le iscrizioni gratuite al sito www.csvemilia.it/invita-percorsi-e-azioni-per-la-creazione-di-caring-communities/invitavorrei/.

© riproduzione riservata

Newsletter

Iscriviti alla newsletter di Altreconomia per non perderti le nostre inchieste, le novità editoriali e gli eventi.


© 2025 Altra Economia soc. coop. impresa sociale Tutti i diritti riservati