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Altre Economie

La minerale e le sue bolle

Le nuove pubblicità delle acque in bottiglia adottano la retorica della tutela ambientale. È il segnale di una possibile crisi delle vendite

Tratto da Altreconomia 98 — Ottobre 2008

“Il cambio di registro è epocale, in particolare nelle pubblicità delle acque Norda e San Benedetto”. Le vedete riprodotte in questa pagina: sono le campagne estive di alcuni imbottigliatori di minerale. Abbiamo chiesto di commentarle a Fiammetta Malagoli, genovese, un’avvocato civilista che dalla fine degli anni 80 si occupa di diritto della pubblicità: “Ciò che attira l’attenzione del consumatore, nel primo caso, è un albero. Nel secondo, invece, è un paesaggio montano sul quale si proietta il logo del brand. È strano che più aziende, contemporaneamente, abbiano abbandonato la strategia adottata fino a questo momento”.
Ovvero?
L’industria delle acque minerali non comunica più il contenuto, ma il contenitore. Non comparano più “leggerezza” e contenuto di calcio, anche perché in fin dei conti le acque sono tutte molto simili, le differenza sono minime. E probabilmente il consumatore non ci faceva più caso. Questo cambiamento è un campanello d’allarme e la scelta del tema ambientale può essere una soluzione di fronte a un periodo di crisi. Una soluzione che mira a un target diverso di persone: il focus delle campagna non è più “fa bene alla salute” ma è “fa bene all’ambiente”.
Mi chiedo, però, se questo sia pertinente per un’acqua. In fondo, i contenitori possono essere a basso impatto ambientale, ma esiste anche il vetro, e allora perché insistere tanto su imballaggi che non derivano dal petrolio.
La San Benedetto è un’acqua di falda, imbottigliata a Scorzé, nella pianura di Venezia. Lo sfondo della pubblicità, però, sono le montagne dell’arco alpino.
In questo caso l’inganno, se c’è, è molto sottile. L’azienda non scrive che l’acqua è di sorgente, ma vedendo un’immagine di montagne penso senz’altro che San Benedetto sia imbottigliata in quota. Anche il claim mi aiuta a pensarlo: “Quando scegli un’acqua scegli la natura”. Certamente anche la pianura è natura, ma oggi la parola natura fa pensare a paesaggi incontaminati.
Ferrarelle punta sui sali minerali necessari “per il benessere quotidiano”. La durezza dell’acqua Ferrarelle  è più che doppia rispetto al limite richiesto dall’Oms per la acque potabili. Una pubblicità ingannevole? 
Chi legge quel messaggio pensa che una delle prerogative dell’acqua Ferrarelle sia proprio nella concentrazione di sali minerali. Leggendo il claim, suppongo che lì, in quell’acqua, ce ne siano in quantità ottimale. Se la quantità è superiore a quella indicata dalla Oms, si fornisce occultamente un messaggio distorto al consumatore. Ma nessuno l’ha contestata.
Se le pubblicità parlano di ambiente e non di acqua sarà più difficile sanzionare i messaggi ingannevoli?
Non credo. Come spiega l’articolo 2 del Codice di autodisciplina della comunicazione commerciale: “La comunicazione commerciale deve evitare ogni dichiarazione o rappresentazione che sia tale da indurre in errore i consumatori”, e pongo l’accento sulla parola “ogni”.

E Sant’Anna cerca di riciclarsi
“Sant’Anna bio bottle rinasce da Sant’Anna bio bottle, non dal petrolio”. L’azienda di Sant’Anna di Vinadio, nel cuneese, non usa il vetro e imbottiglia il 100% della propria acqua nella plastica. La bio bottle, in plastica vegetale, è una grossa operazione di marketing ottenuta dalla fermentazione degli amidi e degli zuccheri: “Una scelta decisa in favore della sostenibilità dell’ambiente”, secondo Sant’Anna, che punta ad attrarre il target dei consumatori attenti al futuro del pianeta. La plastica vegetale della bio bottle è Ingeo, un brevetto di Nature Works, azienda del gruppo Cargill. Il messaggio, però, è ambiguo: la bio bottle, che si biodegrada completamente in 80 giorni, non può essere riciclata. Non rinasce da se stessa, come nessuna bottiglia: anche le normali bottiglie in Pet non usano la plastica riciclata. Altre info sul nostro sito www.altreconomia.it/acqua

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