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Ambiente

La lotta alla fame? Tranquilli, la fa la Nestlé

In questi giorni si discute di fame e di diritto al cibo. Ne parlano centinaia di rappresentanti di movimenti e organizzazioni indigene e contadine, riunite a Roma nel forum parallelo a quello ufficiale della Fao (Food and Agriculture Organization), in…

In questi giorni si discute di fame e di diritto al cibo. Ne parlano centinaia di rappresentanti di movimenti e organizzazioni indigene e contadine, riunite a Roma nel forum parallelo a quello ufficiale della Fao (Food and Agriculture Organization), in programma fino al 17 novembre nella capitale.
A World Food Summit non ci sono, nonostante le attese, i capi di Stato dei Paesi più arricchiti, e chissà come la stanno prendendo i leader dei 60 Stati "minori" che sono arrivati a Roma. L’appuntamento, infatti, è chiamato a dare risposte concrete, capaci di andare oltre le promesse fatte al G8 dell’Aquila, ad una situazione grave, che gli ultimi dati Fao descrivono in modo chiaro: oltre 1 miliardo di persone (una su sei) è affamata.
Nonostante le forti premesse per un’azione globale contro la fame, il vertice Fao non interessa i grandi leader, e il rischio è duplice: vedere fallire la possibilità di un’azione forte contro la fame e assistere una volta di più al declino del sistema delle Nazioni Unite e di meccanismo di governo del mondo multilaterali.
Rischi reali e confermati dalle singolari azioni del direttore generale della Fao, Jacques Diouf, che si è lanciato in un inedito digiuno dimostrativo per svegliare l’attenzione mondiale su questi temi. Diouf ha chiesto 44 miliardi in tre anni, all’Aquila se ne era promessi 20, ma non è dato sapere quante risorse effettive ci saranno e soprattutto chi le gestirà e in che modo.
Di fame a pancia piena si è parlato anche a Milano nei giorni scorsi: le imprese, la Fao stessa, l’Expo 2015 e il Comune di Milano si sono riuniti per trovare strategie d’azione per ridurre la fame del Pianeta. Fra i relatori di spicco il Ceo di Nestlé Peter Brabreck-Letmathe e il presidente della Barilla, Guido Barilla. Mister Mulino Bianco, patron della più importante azienda alimentare del Bel Paese, ha criticato fortemente la speculazione finanziaria sui prodotti agricoli e la politica da Barilla definita "scellerata" di produzione degli agro-carburanti, che tanto peso stanno assumendo nelle crisi alimentari. Ma nessuno ha posto il problema di quanto le multinazionali del cibo stanno contribuendo ad affamare e impoverire il Pianeta.
Brabeck-Letmathe, capo della più grande e discussa azienda alimentare del mondo e fervente sostenitore degli organismi geneticamente modificati, ha addirittura attaccato gli "attivisti ben nutriti la cui ostilità nei confronti delle nuove tecnologie nel cibo sta esacerbando una crisi alimentare globale tramite il rallentamento della produttività alimentare” (si veda www.finfacts.ie/irishfinancenews/article_1018440.shtml).
Fra gli ospiti del Forum di Milano con il settore privato anche Paul Naar, vicepresidente di Cargill, la contestatissima azienda trader di grani e leader a livello mondiale che dalla crisi alimentare dello scorso anno è uscita ancora più grassa. Nessuno degli illuminati imprenditori ha ricordato però le parole del presidente dell’assemblea generale delle Nazioni Unite, Miguel D’Escoto Brockmann, il quale ha ricordato che "lo scopo essenziale del cibo sia stato subordinato agli obiettivi economici di una manciata di corporation multinazionali che monopolizzano tutti gli aspetti della produzione alimentare e che hanno visto, come la Cargill e la Monsanto, crescere i propri profitti durante la crisi alimentare che affamava i poveri e causava rivolte, del 45 e 60% rispettivamente".
Forse si dovrebbe parlare non di crescita della fame ma di crescita degli affamatori. Nella bozza di dichiarazione finale che verrà discussa al World Food Summit dai rappresentanti dei governi, non si accenna al ruolo della speculazione finanziaria e dell’accaparramento di terre (su cui si stanno lanciando pubblico e privato di paesi ricchi ed emergenti). Solo si richiede, al punto 24, "alle organizzazioni internazionali rilevanti di esaminare possibili collegamenti fra la speculazione e la volatilità dei prezzi agricoli”.
Numerosi rapporti internazionali (si veda il sito www.grain.org) mostrano come, in nome della sicurezza alimentare le principali istituzioni internazionali, tra cui la Banca mondiale, abbiano promosso negli ultimi anni gli investimenti privati in agricoltura che poi si sono rivelati predatori della stessa risorsa terra contro i poveri contadini dei Sud del mondo. Al centro di questa ennesima rapina sotto gli occhi di tutti vi sono ancora fondi privati, talvolta sostenuti da fondi pubblici, fuori di ogni controllo, il cui operato ha dato il via alla drammatica crisi finanziaria mondiale che viviamo. La crescita della fame coincide con la crescita degli appetiti finanziari su terra e cibo. Si sta diffondendo un nuovo tipo di colonialismo, si chiama il land grab, ovvero l’affitto di terre. Un business agricolo nato a seguito della crisi alimentare e ambientale, che garantisce alti tassi di guadagno per gli investitori (solitamente Paesi del Nord del mondo), ma toglie terre coltivabili alle popolazioni che ne hanno più bisogno.
Non esiste un’ipotesi di controllo su questo fenomeno. Tali fondi promettono ritorni di investimento dell’ordine del 20-30%. Nulla di strano se non generasse contraddizioni enormi. Come nel caso del Sudan che ha ceduto per 99 anni 1,5 milioni di ettari agli Stati del Golfo Persico, all’Egitto e alla Corea del Sud. In Sudan ci sono 5,6 milioni di affamati, che dipendono dagli aiuti alimentari internazionali. La maggiore disponibilità di terre si concentra in Paesi molto poveri come il Sudan, dove è presente la più alta percentuale di affamati, costituita prevalentemente da piccoli contadini senza terra e pastori, che vedranno destinati, per decine di anni, ad un altro Paese enormi estensioni di terreni.
Per battere la fame bisogna prima di tutto fermare gli affamatori e chi specula sul cibo (anche su quello delle nostre tavole). La priorità deve essere applicare e seguire i principi della sovranità alimentare, partendo non dai soldi o dagli aiuti, ma dal protagonismo dei contadini. Il cibo e la terra devono tornare al centro dell’attenzione delle politiche pubbliche e il lavoro nei campi riassumere la dignità che gli è propria. Dal cibo passano le sorti della democrazia che è questione di sovranità dei popoli e non di pochi.

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Mani Tese

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