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Economia

La grande balena che si mangia i Toys – Ae 56

Numero 56, dicembre 2004Pesce grande mangia pesce piccolo: anche nel mondo dei giocattoli la legge è questa. È successo con il gigante Toys ‘R’ Us, che negli anni ha sbaragliato la concorrenza. E che oggi rischia di fare la stessa…

Tratto da Altreconomia 56 — Dicembre 2004

Numero 56, dicembre 2004

Pesce grande mangia pesce piccolo: anche nel mondo dei giocattoli la legge è questa. È successo con il gigante Toys ‘R’ Us, che negli anni ha sbaragliato la concorrenza. E che oggi rischia di fare la stessa fine

Le chiamavano “categorie killer”: grandi catene specializzate che facevano fuori la concorrenza dei piccoli negozi al dettaglio e li costringevano a chiudere. È successo un po’ ovunque nei Paesi industrializzati a partire dagli anni Ottanta.

Non è una bella storia da raccontare a Natale, ma questa volta riguarda i giocattoli ed è proprio in questo periodo, negli ultimi due mesi dell’anno, che si concentra oltre il 60 per cento di vendite di giocattoli; quindi quale periodo migliore?

E poi la conclusione di questa storia assomiglia alla morale delle favole di un tempo: chi la fa l’aspetti.

In realtà, come vedremo, è la conferma di una storia di cui non si vede ancora la fine: pesce grande mangia pesce piccolo.

Sta succedendo negli Stati Uniti: Toys ‘R’ Us, colosso della grande distribuzione specializzato in giocattoli con 1.100 negozi negli Usa e 500 nel resto del mondo, è in difficoltà e rischia di chiudere (o, come è più probabile, di doversi drasticamente ridimensionare). Il fatturato di 11 miliardi di dollari e la politica di espansione in tutto il mondo non sono più sufficienti a garantire un futuro all’azienda leader nel mondo. E che non si tratti di un gioco lo ricordano i 113 mila dipendenti (la maggior parte negli Stati Uniti) che sono preoccupati per le scelte della multinazionale del giocattolo.

Toys ‘R’ Us vende giocattoli per bimbi da zero a 11 anni, compresi prodotti sportivi, elettronici, software fino ad arrivare all’abbigliamento, più o meno con la stessa formula in una trentina di Paesi oltre gli States.

Nella seconda metà degli anni Novanta Toys ‘R’ Us era arrivato anche in Italia, aprendo poco meno di una ventina di superstore di giocattoli, al Nord e al Sud della penisola. Ma l’avventura italiana è durata poco più di 3 anni: abbastanza per mettere in difficoltà i dettaglianti specializzati, per i quali è stato quasi sempre impossibile far fronte alla concorrenza dei prezzi più bassi e dell’offerta esorbitante di assortimento.

Nel 2000 i grandi negozi vengono comperati da Giochi Preziosi che apre nuove grandi superfici specializzate con il proprio marchio “Toys” (oggi sono 84 con una superficie attorno ai 1.500 metri quadrati) che non ha niente a che fare con l’azienda americana.

La concorrenza della grande distribuzione è spietata. I medi dettaglianti che sopravvivono sono quelli che riescono a specializzarsi in segmenti di mercato. Catene come Toys ‘R’ Us possono però contare su economie di scala enormi e grandi investimenti in comunicazione e pubblicità: per i piccoli è difficile restare a galla e competere con margini operativi sempre più esigui e innovazioni di prodotto sempre più veloci. La definizione di “categorie killer” non è usurpata.

Ma, appunto, chi la fa se l’aspetti: in questi ultimi anni è proprio Toys ‘R’ Us a subire la concorrenza, sul suo stesso terreno, della maggiore catena di grande distribuzione degli Stati Uniti e del mondo, Wal Mart (vedi Altreconomia n.47). Pochi anni fa ha deciso di allargare le superfici che i megastore dedicano al giocattolo e ha riempito i suoi immensi scaffali di giocattoli a prezzi stracciati: il risultato è stato quello di soffiare la leadership a Toys ‘R’ Us e di costringerla a ripensare la propria strategia aziendale.

La chiamano “wal-martizzazione”: è la maggiore multinazionale degli Stati Uniti, con fatturati superiori anche alle industrie petrolifere e interessi in tutto il mondo. Per il 2005 Wal Mart ha annunciato l’apertura di 40-45 nuovi grandi magazzini negli Stati Uniti e circa altri 250 supermercati oltre che di alcuni centri commerciali di importanza regionale. Il fatturato è previsto in crescita di oltre il 10 per cento. Chiaro che dove arriva un colosso di questo genere agli altri resta poco spazio: come un grosso cetaceo che attrae e raccoglie tutte le risorse disponibili. Oltretutto Wal Mart è sotto accusa per le pessime condizioni contrattuali riservate alla maggioranza dei suoi dipendenti, assunti ai minimi salariali e senza garanzie. Alcuni studi dimostrano che dove arriva Wal Mart peggiorano le condizioni del mercato del lavoro.

Toys “R” Us ha poco da recriminare da questo punto di vista: la storia del suo successo ha molti punti di contatto con quello che sta accadendo in questi ultimi anni. La storia di quello che sarebbe diventato il leader mondiale nella distribuzione al dettaglio di giocattoli inizia subito dopo la seconda guerra mondiale a Washington con un semplice negozio di arredamento per le camere dei bambini. Ma chi entrava cominciava a chiedere sempre più spesso anche giocattoli e il proprietario, Charles Lazarus, incominciò a pensare che fosse una buona idea produrli e venderli in proprio. Ma il progetto vincente è di una decina di anni dopo, quando Lazarus inaugura il primo supermercato specializzato in giocattoli: si apre la stagione delle grandi superfici specializzate e il giocattolo -in un Paese in espansione demografica- fa da apripista. Da allora le aperture si moltiplicano e nel 1966 Lazarus vende per la prima volta l’azienda ottenendo, all’epoca, 7,5 milioni di dollari. Come spesso succede però, lontana dalle intuizioni del fondatore l’impresa perde slancio e incomincia ad accumulare difficoltà operative e debiti. Nel 1978 Lazarus torna alla guida del piccolo impero dei giocattoli e l’espansione riprende. Fino alle difficoltà di questi ultimi due anni.

Può essere che, per salvarsi la pelle, Toys “R” Us debba seguire la strada di tanti altri medi dettaglianti di giocattoli, lasciando la grande massa del mercato a Wal Mart e concentrandosi sui settori dove continua ad avere bilanci in nero e profitti (per esempio la divisione arredamento e accessori per bambini, e sarebbe davvero un ritorno alle origini). Resta da capire fin dove può arrivare la voracità di Wal Mart. !!pagebreak!!


Il gigante dello scaffale
Wal-Mart Stores, Inc. (www.walmartstores.com) è la più grande catena di supermercati-ipermercati-discount del pianeta. Conta più di 4.500 punti vendita nel mondo, ha attività in Sud America, Asia e Europa e quasi 1 milione e 500 mila dipendenti (erano 1 milione 383 mila nel 2002).

Dimensioni per noi inimmaginabili: la capitalizzazione di Borsa di Wal Mart è di oltre 241 miliardi di dollari, il che vuol dire oltre 4 volte la capitalizzazione del maggiore titolo italiano, l’Eni.

Wal Mart vende di tutto, dall’abbigliamento, agli apparecchi elettronici, all’hardware, ai libri, alla musica e, come si racconta in queste pagine, ai giocattoli. Da alcuni mesi si rincorrono le voci di un possibile sbarco anche in Italia del gigante americano attraverso l’acquisto di Esselunga.


La grande distribuzione made in usa vale tre trilioni
Sono 22 milioni gli addetti della grande distribuzione negli Stati Uniti: significa il 18 per cento dell’occupazione negli States e un comparto che genera più di tre trilioni di dollari di fatturato (http://www.bls.gov/). La competizione è spietata e il settore è in continua evoluzione con acquisizioni, fusioni ma anche fallimenti; una delle ultime vittime illustri è stata Kmart, seconda grande catena discount commerciale degli Stati Uniti (275.000 dipendenti e 2.100 punti vendita), che ha prima chiesto di entrare nel Chapter 11 (la procedura Usa di amministrazione controllata) e successivamente ha dichiarato fallimento.

Ma anche le formule commerciali sono in continua evoluzione; due i modelli di riferimento: o le grandi superfici di vendita (mass merchandisers) oppure le catene specializzate (specialty retailers) che restringono considerevolmente gli spazi di mercato disponibili per il piccolo dettaglio generalista (mom and pop stores) e i grandi magazzini tradizionali.

A fare concorrenza alla grande distribuzione c’è però la costante crescita delle vendite via internet, che hanno raggiunto 40 miliardi di dollari a fine 2002 grazie alle campagne di marketing di “giganti della rete” come Amazon, Dell (personal computer) e Ftd (articoli da regalo). Il commercio tradizionale si è a sua volta attrezzato per l’e-commerce (Wal Mart ancora in prima fila) ma stanno avendo anche un certo successo i siti dove è possibile acquistare prodotti freschi e deperibili: frutta, verdura, latticini e carni (per esempio http://www.freshdirect.com/).

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