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Diritti / Opinioni

La fine della protezione umanitaria, un anno dopo

L’istituto abrogato in nome della “sicurezza” era un diritto fondamentale. Cancellarlo ha prodotto marginalità e abbandono. La rubrica a cura dell’Associazione per gli studi giuridici sull’immigrazione

Tratto da Altreconomia 220 — Novembre 2019

A un anno dall’abrogazione della protezione umanitaria disposta dal decreto legge 113/2018 possiamo fare un primo bilancio di questa scelta. La protezione umanitaria non era affatto una recente novità bensì un istituto giuridico consolidato, presente nell’ordinamento da esattamente vent’anni (fu introdotta con il Testo unico immigrazione del 1998). Per molti anni ha rappresentato l’unica forma di protezione complementare allo status di rifugiato assicurando una protezione a coloro che, non essendo rifugiati, fuggivano da un conflitto armato interno o internazionale. Con il decreto legislativo 251/2007 questa funzione è venuta meno ma ben lungi dal ridursi a ipotesi marginale. Nell’ultimo decennio la protezione umanitaria si è irrobustita in quanto si è consolidata una giurisprudenza che ha riconosciuto che essa è parte integrante e ineliminabile della nozione di diritto d’asilo sancito dall’art. 10 comma 3 della Costituzione italiana.

113/2018: il primo “decreto SalvinI” in materia di immigrazione e sicurezza è entrato in vigore il 5 ottobre 2018 ed è stato convertito in legge con modificazioni dal Parlamento nel dicembre dello stesso anno (L. 132/2018)

La protezione umanitaria non è quindi una concessione o un regalo di qualche “buonista” bensì un diritto fondamentale costituzionalmente tutelato che va riconosciuto alla persona che, in caso di rientro nel suo Paese, non potrebbe godere di quei diritti fondamentali che lo Stato italiano è tenuto a tutelare in virtù dei suoi obblighi costituzionali o internazionali. Non deve quindi stupire che la protezione umanitaria sia stata la forma di protezione maggiormente riconosciuta negli anni precedenti l’ondata ideologica salviniana. Di quali situazioni di protezione parliamo in concreto? Con acutezza la norma abrogata non prevedeva tipizzazioni astratte, sempre incomplete, bensì utilizzava una formulazione generale alla quale ricondurre l’esame di ogni singolo caso. Qualche esempio: uno straniero con seri problemi di salute che non può rientrare nel Paese di origine per mancanza di cure disponibili, un migrante che ha abbandonato il Paese di origine da molti anni vivendo a lungo in un Paese terzo (caso della Libia per molti) e che non ha più legami con la terra d’origine; un minore non accompagnato che è fuggito da una situazione di precarietà e violenza, un migrante in condizioni di grave vulnerabilità psico-fisica per violenze estreme e torture subite nei Paesi di transito (di nuovo il caso della Libia), un migrante che durante il procedimento di esame della sua domanda di asilo, successivamente rigettata, (un periodo che può durare anche anni tra fase amministrativa e giurisdizionale) si è nel frattempo positivamente inserito nella società italiana nella quale vive contribuendo alla sua crescita economica e sociale e che, in caso di rientro in patria verrebbe invece esposto a situazioni di totale abbandono e grave mortificazione della sua dignità. Con l’abrogazione della protezione umanitaria un numero elevato di domande che prima della riforma trovavano un accoglimento, senza questo istituto si concludono ora in dinieghi secchi. È la condizione di molte migliaia di persone che ogni anno, con assoluta probabilità, non verranno rimpatriate forzosamente, come pur declama la propaganda, né lasceranno da soli il nostro Paese perché non hanno scelta: la loro vita (o ciò che rimane) è ormai in Italia anche se senza un futuro; abbandonati e clandestinizzati, un numero imponente di persone che potevano condurre una vita normale confluiscono così nel grande alveo della marginalità sociale, in parte della microcriminalità, nello sfruttamento lavorativo e sessuale. Un illimitato serbatoio che è fonte di arricchimento per la criminalità organizzata con rischi concreti per la sicurezza pubblica. Tutto ciò grazie al decreto beffardamente chiamato “sicurezza”.

Gianfranco Schiavone è studioso di migrazioni nonché vice-presidente dell’Asgi e presidente del Consorzio italiano di solidarietà-Ufficio rifugiati onlus di Trieste

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