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Opinioni

La “farmacia dei poveri” è a rischio

L’India potrebbe riconoscere brevetti su vaccini e terapie che curano malattie diffuse nel Sud del mondo. Il pericolo è che i prezzi si impennino  

Tratto da Altreconomia 183 — Giugno 2016

Benedetta sia l’India, che si è guadagnata il titolo di “farmacia dei poveri” per aver prodotto i primi farmaci anti-HIV a basso costo. Erano i primi anni del Duemila e Paesi come il Sudafrica riuscirono a curare i loro malati di AIDS al prezzo di 120 dollari l’anno, contro i 10mila necessari altrove, grazie ai farmaci indiani. Il merito va al “Patent Act”, la legge che dal 1970 ha regolato i brevetti in India, impedendo di depositarne sui farmaci. Il governo, guidato allora da Indira Gandhi, stabilì che il diritto alla salute venisse prima degli interessi economici e permise di produrre liberamente versioni generiche più convenienti dei medicinali brevettati altrove. Dal 2005, con l’entrata in funzione dei TRIPS (Trade-Related Aspects of Intellectual Property Rights), le clausole sui brevetti previste dagli accordi sottoscritti nel 1995 con l’Organizzazione mondiale del commercio, l’India ha dovuto concedere brevetti anche per i farmaci, riservandosi però di rifiutare la registrazione dei cosiddetti “evergreen”, i sempreverdi. Alcune compagnie farmaceutiche, nel tentativo di estendere all’infinito la durata del brevetto di un farmaco, apportano infatti una lieve modifica alla sua struttura chimica, priva di significativi effetti clinici, e lo ripresentano come un farmaco nuovo per poterlo brevettare una seconda volta: “Evergreen”, appunto. L’India non accetta gli “evergreen” e solo i farmaci che dimostrano una maggiore efficacia clinica rispetto a quelli già esistenti, meritano un brevetto. 

Qualche anno fa Novartis ci provò con il Glivec, un antitumorale, ma incontrò l’opposizione del governo indiano, che aveva fiutato il trucco. Si aprì una guerra giudiziaria che impegnò anche di Medici Senza Frontiere. Nel 2013 la Corte Suprema dichiarò la vittoria del governo, creando un precedente storico. Un’altra azienda farmaceutica, la Pfizer, sta provando in questi mesi a brevettare anche in India la nuova versione del vaccino antipneumococcico che vende a 21 dollari. Il prezzo più basso sino a ora concesso per un numero ristretto di Paesi a risorse limitate è di 10 dollari. Un’azienda indiana si è resa disponibile a fornire il vaccino a 6 dollari, ma incontra l’opposizione di Pfizer. MSF si è schierata contro il brevetto, per facilitare la copertura vaccinale per milioni di bambini a rischio di polmonite.
La Gilead vende il sofosbuvir, farmaco che guarisce dall’epatite C, a mille dollari a compressa. La terapia completa è di 84 compresse. Mentre 49 milioni di persone che vivono con l’epatite C in Paesi poveri (il 40% dei malati) non possono avere accesso a questo farmaco, Gilead ha incassato -con il solo sofosbuvir- 18 miliardi di dollari in un anno. Peccato che Gilead stia per ottenere il brevetto del sofosbuvir anche in India, dove le industrie sono oggi in grado di fornire la terapia completa per eradicare l’epatite C a 335 dollari.

L’industria farmaceutica produce medicinali e deve poter recuperare i costi sostenuti, pagare i dipendenti, distribuire utili agli azionisti e, soprattutto, investire fondi nella ricerca. Se Gilead decidesse di utilizzare parte dei suoi ingenti guadagni per trovare una nuova cura per il Chagas o per la cistocercosi, malattie dei poveri, dimostrerebbe di non badare solo al profitto. Temo però che anche lei segua la filosofia di Marijn Dekkers, CEO della Bayer, che nel 2014 dichiarò: “Non abbiamo sviluppato il sorefenib (un antitumorale, dnr) per gli indiani, ma per i pazienti occidentali che possono permetterselo”. Chiaro.

 

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