Una voce indipendente su economia, stili di vita, ambiente, cultura
Diritti / Approfondimento

“La famiglia giusta”, il podcast su come le destre mondiali convergano contro “gender” e aborto

© Elyssa DeDios - Unsplash

Tra il 2019 e il 2023, 275 organizzazioni internazionali hanno investito 1,18 miliardi di dollari per esercitare pressioni contro le leggi a favore della parità di genere in Europa. Un modello in continua crescita che strumentalizza i corpi, i diritti sessuali e il concetto di “famiglia” per promuovere il proprio autoritarismo. Anche l’Ungheria, principale finanziatrice delle politiche pro-life, non ha visto un aumento delle nascite

Quando Linda si reca in un ospedale di Napoli per abortire, il medico che la visita accompagna l’ecografia con commenti spiacevoli sulla sua presunta vita disinvolta. Le viene detto che può abortire ma solo chirurgicamente e non con il meno invasivo metodo farmacologico, nonostante in Italia questa pratica sia consentita fino alla nona settimana di gestazione. Linda viene quindi operata. Quando si sveglia chiede all’infermiera un aiuto per andare in bagno ma la sola risposta che riceve è “non posso, sono obiettrice”. 

Eva vive alle Canarie. Le è servito del tempo per comprendere e accettare la condizione transgender del suo primogenito David, che da sempre si identifica come maschio. Finché non è lui stesso a incitarla a smettere di parlare pubblicamente del suo essere trans, dicendole “mamma, se non vuoi che mi picchino è meglio così”. 

Per Alessia invece l’essere madre è stato per anni legato a documenti della questura, deleghe della ex compagna e copie di testamento: fino a quando il percorso di adozione per casi particolari non è terminato, non era legalmente riconosciuta come genitore del bambino avuto con la precedente compagna. “A livello pratico -spiega- significava vivere con la paura che se mio figlio cadeva, io non potevo neppure firmare per farlo curare”.

Le vite di queste donne sono legate a una politica che strumentalizza i corpi, i diritti sessuali e riproduttivi e il concetto di “famiglia” per guadagnare sempre più potere e promuovere il proprio autoritarismo. A denunciarlo sono quattro giornaliste, Francesca Berardi, Claudia Torrisi, Elisa Cabria e Lili Rutai, provenienti da Italia, Spagna e Ungheria e ideatrici del podcast “La famiglia giusta”, pubblicato lo scorso giugno da Chora Media in collaborazione con El Pais, 444 e Europod. In sei puntate le autrici raccontano la rete creata dalle forze conservatrici che trova nel concetto di “ordine naturale” -che include il modo di vivere la sessualità, la famiglia e la divisione di ruoli tra uomini e donne- un punto di coesione. Non si tratta di una “guerra culturale” ma dell’effetto di una concreta strategia politica, alimentata da finanziamenti milionari.

“Questo macrotema è solitamente affrontato da media e politica come una questione interna. Superando i confini nazionali però ci si rende conto che ciò che succede in un luogo ha un riverbero anche altrove -racconta ad Altreconomia Francesca Berardi-. Al summit di Madrid del 2024 organizzato dal Political network for values (un network nato nel 2014 su iniziativa di governi di Qatar, Bielorussia, Ungheria e Vaticano per promuovere e difendere i valori conservatori, ndr) questo ci è apparso particolarmente chiaro. Lì, di fronte a una platea costituita da rappresentanti politici provenienti da 40 Paesi, deputati europei ed esponenti delle più potenti lobby americane, una politica austriaca incitava: ‘non focalizzatevi sul secondo figlio, è il terzo che ci interessa. Non sottovalutate anche solo la più piccola conquista in campo del diritto all’aborto perché anche questa è problematica’”.

Per le autrici in quella sala si stavano definendo delle agende politiche e un vocabolario comune da seguire, adattandolo alle peculiarità dei singoli contesti: in Polonia contro i diritti anti Lgbtq+, negli Stati Uniti contro l’aborto e nel Regno Unito in opposizione all’educazione alla diversità, anche di genere. Il tutto sorretto da un impegno politico ed economico. Secondo il rapporto “The next wave: how religious extremism is reclaiming power” (2025), scritto dal direttore del Forum parlamentare europeo per i diritti sessuali e riproduttivi Neil Datta, tra il 2019 e 2023 sono stati investiti 1,18 miliardi di dollari da 275 organizzazioni, per esercitare pressioni contro le leggi a favore della parità di genere in Europa. Il 73% di questi finanziamenti proveniva da Paesi europei, il 18% dalla Federazione russa, mentre il 9% da organizzazioni statunitensi. 

Investimenti che crescono di anno in anno: dal  2019 al 2022 sono aumentati del 23%. L’Ungheria di Orbán è il Paese che ha contribuito maggiormente: 172,2 milioni di dollari, destinati a piattaforme anti-gender locali e transnazionali e a sostenere alcuni specifici partiti europei, inclusi lo spagnolo Vox e il francese Rassemblement national. 

“Questa agenda politica -spiega Claudia Torrisi- funge da perfetto collante per tutta una galassia di partiti di destra che magari per questioni di politica economica o estera hanno delle differenze, ma che su questo punto trovano una perfetta convergenza. Orbán è riuscito a fare di questo suo essere un baluardo della difesa della famiglia un grossissimo strumento di politica estera, divenendo un punto di riferimento nel contesto internazionale. Il tutto alimentando sentimenti di paura e anti-immigrazione”. 

Paura che secondo la giornalista e attivista Sian Norris, ospite del podcast, è fomentata dalla crescente ossessione dei partiti di destra per il declino demografico e la teoria della “grande sostituzione”, che suppone che la popolazione caucasica europea possa essere rimpiazzata dai nuovi migranti musulmani. A questo timore si aggiunge quello dell’ideologia gender, percepita come una minaccia per la natura stessa dell’essere umano. Teorie sostenute in diverse occasioni anche dalla premier Giorgia Meloni e dal ministro dell’Agricoltura Francesco Lollobrigida

Da qui, la retorica di una politica che incoraggia le famiglie ad avere figli. Ma restano solo parole: i livelli di natalità in Europa rimangono bassi, anche in Ungheria dove il governo ha investito più che in altri Paesi in misure per incoraggiare le nascite. “Scegliere di fare un figlio o no non rappresenta solo una questione economica -precisa Berardi- in aggiunta ai sussidi per la casa o alle misure economiche per aiutare i genitori previste dal Governo ungherese, non abbiamo sentito di politiche riguardanti l’occupazione o la presenza di donne nello spazio pubblico. L’intero sistema incoraggia e sostiene un solo tipo di famiglia, mentre frange di popolazione più vulnerabili, come rom o con background migratorio, che statisticamente hanno più figli, sono escluse da una serie di prerequisiti per l’accesso ai sussidi”. 

Il sostegno alla famiglie in Ungheria è garantito infatti solo a determinate condizioni, una delle quali è essere sposati. Nel momento in cui si divorzia si perde quel sostegno. Questa misura rischia di diventare un’arma a doppio taglio per tutte le donne vittime di compagni violenti, rendendo ancora più difficile l’interruzione della relazione in un Paese in cui  una donna ogni cinque è colpita da violenza domestica. 

Diverse intervistate nel podcast hanno detto di sentirsi come quelle rane che vengono cotte gradualmente in acqua tiepida e, senza rendersene conto, rimangono nella pentola fino alla morte. Il pericolo denunciato dalle giornaliste è che diritti dati per scontati vengano progressivamente intaccati senza che la popolazione se ne accorga: Orbán non ha mai esplicitamente detto di voler vietare l’aborto ma, nei fatti, rende questa pratica il più inaccessibile possibile. Lo stesso avviene in Italia in cui, secondo l’ultimo report del Ministero della Salute, oltre il 60% dei ginecologi si dichiara obiettore e in alcune Regioni la quota raggiunge l’80%.

“Negli Stati Uniti nel giugno 2022 la Corte suprema ha ribaltato la storica sentenza “Roe v. Wade” che per mezzo secolo ha difeso il diritto all’aborto a livello federale: un esempio lampante di come i diritti alla salute sessuale e riproduttiva possano cambiare in un attimo. Come possiamo essere certe che in Europa non accada lo stesso?”, chiede provocatoriamente Torrisi. 

Per le autrici la speranza arriva dal basso, da gruppi transnazionali come quello dell’organizzazione Women help women che sostiene le donne ad abortire nei Paesi dove questo diritto è ostacolato. Secondo i dati forniti dalle organizzazioni, i numeri europei sugli aborti non coincidono con la severità delle politiche anti-abortiste “questo perché -conclude Berardi- le donne che vogliono abortire trovano comunque e sempre il modo di farlo. Negare o limitare questo diritto serve solo a metterle in pericolo”.

© riproduzione riservata

Newsletter

Iscriviti alla newsletter di Altreconomia per non perderti le nostre inchieste, le novità editoriali e gli eventi.


© 2025 Altra Economia soc. coop. impresa sociale Tutti i diritti riservati