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La detenzione dei migranti per conto terzi in Bosnia ed Erzegovina

© Sandor Csudai

Il piano del governo del Regno Unito di realizzare nei Balcani degli hub di rimpatrio dei richiedenti asilo che hanno visto respinta la propria domanda di protezione ha sollevato anche le critiche di Human rights watch. “L’esternalizzazione delle responsabilità pone le persone migranti e richiedenti asilo in una situazione di grave rischio”, spiega Michael Garcia Bochenek, consulente della divisione dei diritti dell’infanzia dell’organizzazione

Nel marzo di quest’anno il governo del Regno Unito ha proposto di istituire in Bosnia ed Erzegovina -oltre che in Serbia, Albania e Macedonia del Nord- un centro per il rimpatrio in cui detenere i richiedenti asilo che hanno visto respinta la propria domanda di protezione in territorio britannico.

Secondo il piano avanzato dalla ministra dell’Interno Yvette Cooper, le persone verrebbero inviate in queste strutture in attesa di essere rimpatriate nei loro Paesi di origine o in altri Paesi terzi. La proposta del Regno Unito si allinea alla visione della Commissione europea, che vorrebbe introdurre un Sistema europeo comune di rimpatrio con la possibilità, tra le altre cose, “di rimpatriare in un Paese terzo persone il cui soggiorno nell’Ue è irregolare che sono destinatarie di una decisione definitiva di rimpatrio”.

Facendo riferimento ai Balcani a prendere posizione contro questo progetto è anche Human rights watch (Hrw), che ad aprile ha trascorso due settimane proprio in Bosnia per indagare la condizione delle persone migranti e richiedenti asilo.

Secondo Michael Garcia Bochenek, consulente senior della divisione dei diritti dell’infanzia dell’organizzazione, “è una pessima strategia, anche solo considerando che si tratta di un Paese che già fatica a gestire il fenomeno migratorio già presente sul suo territorio”. Bochenek ha partecipato all’ispezione del centro di detenzione di Lukavica, nei pressi della capitale Sarajevo, rilevando “ritardi nell’esecuzione dei rimpatri dei richiedenti asilo respinti, oltre a coloro detenuti per motivi di sicurezza nazionale o penali, che in alcuni casi portano a reclusioni prolungate, fino a un massimo di 18 mesi”.

Inoltre in occasione del monitoraggio i membri di Hrw non hanno potuto parlare in privato con le persone detenute a causa della presenza costante del personale della struttura. Tuttavia, spiega Bochenek ad Altreconomia, “Vaša Prava BiH -organizzazione bosniaca che ha il mandato di fornire consulenza legale gratuita alle persone trattenute- ha registrato diverse denunce da parte dei detenuti circa le condizioni di vita all’interno della struttura detentiva”.

L’organizzazione che si occupa di diritti civili in Bosnia ed Erzegovina ha riferito che il servizio per gli Affari stranieri è solito non comunicare i dettagli delle accuse né ai detenuti né ai loro avvocati, soprattutto nei casi che riguardano minacce alla sicurezza nazionale. “Nel centro poi non sono previsti nemmeno servizi di supporto psicologico per le persone che presentano problematiche di salute mentale”, aggiunge Bochenek. Secondo quanto riportato da Hrw, l’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (Unhcr) in Bosnia avrebbe esplicitato le proprie preoccupazioni circa la trasparenza e la responsabilità nei centri di detenzione presso l’ufficio del Difensore civico del Paese, sollecitandolo a produrre un rapporto ufficiale sulle loro condizioni. Ad oggi però non è stata ancora pubblicata alcuna indagine.

Volgendo poi l’attenzione al sistema di asilo della Bosnia ed Erzegovina nel suo complesso, il consulente senior di Human Rights Watch denuncia “l’assenza di un’adeguata protezione dei richiedenti asilo, tempi lunghissimi per lo svolgimento delle procedure, accesso limitato alla consulenza legale e preoccupazioni per le condizioni e l’accesso ai servizi”. Secondo i dati del ministero della Sicurezza del Paese, nel 2023 -ultimo anno per cui sono stati resi disponibili dati completi- la Bosnia ha registrato appena 147 domande di asilo. Di queste, solo quattro persone hanno ottenuto il riconoscimento dello status di rifugiato e 63 la protezione sussidiaria.

Nel report del dicembre 2024 dedicato alla Bosnia ed Erzegovina, l’Unhcr ha rilevato poi che i tempi per l’esame della richiesta di protezione sono estremamente lunghi: sebbene la legge preveda la valutazione delle domande entro sei mesi, infatti, spesso ne trascorrono altrettanti solo per la prima audizione e fino a 344 giorni per la notifica della decisione. Bochenek precisa che “in questo lasso di tempo, i richiedenti asilo sono essenzialmente privi di diritti e possono legalmente cercare lavoro solo dopo nove mesi dalla registrazione”.

Va detto poi che per le persone in cerca di protezione la Bosnia resta principalmente un Paese di transito verso l’Unione europea. Nel 2023 oltre quattromila cittadini di Paesi terzi sono stati riammessi in Bosnia dagli Stati membri dell’Ue in base ad accordi di riammissione. A loro volta, sulla base di questi accordi, le autorità bosniache hanno trasferito 298 persone, principalmente verso la Serbia. Sono stati invece 683 i provvedimenti di detenzione e 79 quelli di espulsione. A questo proposito però Bochenek puntualizza che “a causa della formulazione vaga del rapporto annuale sulle migrazioni del ministero della Sicurezza, non è chiaro quante di queste decisioni siano state effettivamente eseguite”. È bene ricordare, come fa il rappresentante di Hrw, che “la mancanza di accesso alla protezione e i rischi di una detenzione prolungata senza adeguate garanzie di tutela portano molti cittadini di Paesi terzi riammessi in Bosnia a tentare di varcare nuovamente i confini dell’Unione europea, principalmente attraverso la Croazia”.

Di fronte a questa realtà fatta di ritardi nelle procedure, accesso limitato all’assistenza legale e gravi carenze circa le condizioni e l’accesso ai servizi delle persone migranti, Human rights watch non ha dubbi sui percorsi che Ue e Regno Unito dovrebbero intraprendere in collaborazione con la Bosnia ed Erzegovina e gli altri Paesi della regione. “Bisognerebbe smettere di puntare sull’esternalizzazione delle frontiere e ora anche dei rimpatri -conclude Michael Garcia Bochenek-. I partner internazionali dovrebbero dare il loro contributo per rafforzare i sistemi di protezione per richiedenti asilo e migranti in Bosnia e non solo. Cambiare strada è ancora possibile, si tratta ‛solo’ di una questione di volontà politica”.

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