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La democrazia non è decidere in pochi e promettere tutto a tutti

Il rapporto tra partiti ed elettori è cambiato. Così come il ruolo del Parlamento. E mentre il trasformismo di nuova generazione svilisce il significato delle elezioni, si definisce un nuovo sovranismo che riduce la democrazia al mero voto. Che cosa succede alla nostra democrazia? L’analisi del prof. Alessandro Volpi

© Dominik Martin - Unsplash

Esistono alcuni elementi che sembrano ormai tipici della società italiana e paiono destinati a cambiare in profondità i caratteri della nostra democrazia, tanto da far ipotizzare che, pur in presenza di una piena continuità delle regole costituzionali, stia prendendo corpo una forma democratica quantomeno “alterata”. È evidente che è mutato il rapporto tra partiti ed elettori: si sono ridotte ormai da tempo le iscrizioni, la militanza è diventata un fenomeno residuale; nonostante questo, “gli apparati”, intesi in senso lato, risultano ancora più decisivi. Le sorti delle candidature e le decisioni programmatiche sono in genere avallate da qualche migliaio di iscritti a una piattaforma o dai poco più numerosi tesserati attivi, magari integrati dal “popolino” delle primarie. In altri casi, nei partiti “personali”, sono i leader, in genere investiti per acclamazione mediatica, a battezzare più o meno credibili cerchi magici in cui sono definiti poi, a cascata, i baciati dalla fortuna. In questo senso la volontà di rafforzare la partecipazione alla democrazia rappresentativa ha generato una democrazia diretta per pochi, che ha finito per indebolire la natura stessa della democrazia in quanto tale.
In altre parole la comparsa di forme di partecipazione che dovrebbero migliorare o cambiare la natura del rapporto democratico tra partiti e istituzioni ha creato formule destinate a favorire una ulteriore restrizione dei confini delle scelte politiche collettive.

È cambiato profondamente il ruolo del Parlamento, oggetto di un duplice paradosso. Con le varie modifiche delle leggi elettorali, i parlamentari sono diventati sempre più dei nominati che hanno di fatto perso la necessità di un rapporto personale con l’elettorato; o meglio l’elettorato è diventato per la loro sopravvivenza politica assai meno rilevante rispetto alla fedeltà nei confronti dei vertici del partito. Una volta entrati nelle solenni aule delle Camere, però, tali parlamentari, deboli in termini elettorali, hanno assunto un rilievo assoluto perché l’assenza di vincolo di mandato, prevista dalla Costituzione, accompagnata dalla molto più prosaica pretesa fine delle ideologie li hanno resi arbitri assoluti del loro e del destino del paese, due aspetti purtroppo spesso coincidenti.

Così la democrazia parlamentare, con la centralità delle Camere, è stata sequestrata dal monopolio dei parlamentari per i quali il quinquennio della legislatura è divenuto il tempo degli infiniti e continui accordi parlamentari, ormai sempre in contrasto con le posizioni originarie con cui erano stati eletti; non è certo caso che la composizione delle Camere in termini di gruppi parlamentari e di partiti presenti risulti alla fine della legislatura profondamente mutata. La democrazia parlamentare è diventata l’oligarchia dei parlamentari.

In contrapposizione a questo trasformismo di nuova generazione, dove il significato delle elezioni appare assai marginale, si è definito un sovranismo che, al contrario, riduce la democrazia al mero voto, non ammette l’esistenza di poteri neutri, non eletti e modifica la nozione di rappresentanza in quella di rappresentazione per cui l’eletto, forte del voto popolare, deve essere identico al proprio elettore. Nell’ordinamento italiano, senza alcuna vera riforma costituzionale, si sta profilando lo scontro tra un iperparlamentarismo guidato dai vertici dei partiti e un sovranismo che non accetta i limiti dei principi liberali.

In questo contesto il vero luogo del dibattito pubblico è diventata la Rete, e in particolare i social, dove sono praticabili la rappresentazione quotidiana della politica, la sua narrazione istantanea, la costante produzione degli slogan, la celebrazione della rabbia e l’enfasi della promessa ma dove mancano molti degli elementi della democrazia, dalla capacità di esprimere opinioni consapevoli, alla possibilità di articolare la complessità dei temi, alla disponibilità dei tempi necessaria per uscire dalla costante propaganda elettorale.
Il combinato disposto della gerarchizzazione delle scelte politiche di fondo, affidata a cerchie diversamente ristrette a seconda delle varie formazioni partitiche, e della centralità delle generalizzazioni istintive di una massa crescente di follower social sta creando un circuito vizioso alimentato dall’artificio e dalla finzione, nel quale si costruiscono i temi piuttosto che comprendere la realtà e le sue grandi problematiche.

C’è poi in corso ormai da tempo un processo di adulterazione della democrazia economica che avviene attraverso la finanziarizzazione, la smaterializzazione dei processi produttivi, il nodo del collocamento del debito pubblico, unica vera fonte di alimentazione del racconto della politica delle promesse, e i vincoli europei; un insieme di elementi che rendono assai qualsiasi condizione di giustizia sociale e che la duplice politica iperparlamentare e sovranista preferisce, in modi diversi, non affrontare perché immaginare soluzioni in grado di basarsi su scelte chiare in materia di entrate –dove prevelare le risorse– e di uscite –dove impiegarle– non risulta percorribile nel mondo dell’artificio. La democrazia non è decidere in pochi e promettere tutto a tutti.

Università di Pisa

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