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Opinioni

La democrazia della natura

La partecipazione alla vita civile è l’antidoto migliore all’antipolitica e al predominio delle lobby. La ricetta è semplice: delegare meno imitando l’ecosistema
 

Tratto da Altreconomia 145 — Gennaio 2013

Mentre scrivo i campi attorno a me riposano in silenzio, il paesaggio è meraviglioso, innevato, splendente e i miei occhi sono appagati. Scorgo un trattore in mezzo ad un campo; è un vicino che è venuto dal paese a godersi questa meraviglia, si ferma e mi chiede: “Cusa ne penset”-cosa ne pensi- “dobbiamo andare a votare! Ma perché? E per chi o cosa voto?”.  Dopo qualche scambio di battute, ci salutiamo facendoci gli auguri; ma il mio pensiero continua a cercare risposte a quelle domande. La politica, la tanto citata guida della “polis” dei Greci, era in origine  intesa come gestione della vita comunitaria, partecipazione alle scelte e alle decisioni comuni. Invece cos’è oggi la politica?
È un insieme di organizzazioni e di partiti che, in funzione di una delega, decidono le regole di convivenza della società, determinando anche la qualità della vita di tutti i cittadini, spesso non rispettando gli impegni presi con i propri elettori e svuotando di valore il voto e la delega data.
Se gli esseri umani hanno bisogno di uno strumento per trovare delle regole comuni, questo strumento può ancora essere la politica? E il voto?
Credo ci sia bisogno di tornare al concetto originale di polis e di agorà, un luogo pubblico dove portare i nostri problemi, trovare le soluzioni, dando dei mandati vincolanti ai cittadini eletti e alle comunità locali, chiamate a organizzare e gestire l’applicazione concreta delle decisioni prese e proposte dalla base votante.
Provo a immaginare una società dove il Parlamento sia una sorta di consiglio d’amministrazione che mette in opera i progetti comuni, proposti dai cittadini ,e  non un organo che, una volta insediato, decide e applica regole solo di una parte della cittadinanza, cercando di far sopravvivere chi non ha interessi forti, cercando di  accontentarli  per farli tirare avanti senza la prospettiva di vivere una comunità partecipata. Come si può costruire un modello dove i cittadini siano realmente rappresentati e  possano democraticamente decidere le scelte da farsi senza che gli interessi di pochi, dettati in maggior parte dal potere economico, superino le necessità e le esigenze della maggioranza? In questo periodo storico la democrazia è ancora uno strumento valido di espressione della volontà della popolazione, ma solo se vincolata e delegata alle comunità locali e a un  automatico e immediato cambio di rappresentanza, qualora il rispetto di queste regole venisse a mancare.
Tutto questo però è realizzabile solo se torniamo a partecipare direttamente alle decisioni e alla gestione delle problematiche territoriali sottoscrivendo una “Costituzione” dove si condividano l’importanza dei beni comuni come il rispetto di terra, acqua, aria e di tutte quelle risorse naturali che non hanno padroni.
E poi il sapere, che deve essere messo a disposizione di tutti. Il sapere diffuso aiuta la convivenza delle comunità e aiuta a fare scelte più consapevoli sull’utilizzo dei beni indispensabili per la vita della natura e dell’essere umano.
Non possiamo più nasconderci, dobbiamo tornare a partecipare in modo attivo alla vita civile. La partecipazione è il cuore della democrazia. Troppe volte sento dire: ”Sono tutti uguali quelli che sono al governo!”, ma di questa condizione siamo tutti responsabili. Votare è un diritto e un dovere ci insegnano, ed è un gesto davvero importante, ma è solo l’inizio dell’impegno che ognuno di noi si prende nei confronti dell’altro, non abbiamo già dato, anzi, inizia solo ora la nostra adesione alla vita democratica. Senza partecipazione diffusa si creano lobby, i piccoli e grandi interessi di parte si aggregano fra loro. La democrazia è condivisione! Murray Bookchin, scrittore, pensatore e militante libertario statunitense, tra i fondatori della “ecologia sociale”, nel 1956 scriveva: “L’uomo non ha bisogno di inventare regole per convivere, basta osservare il funzionamento della natura ed estrapolarne i comportamenti, se applicati correttamente è facile trovare un equilibrio democratico”.
Faccio un esempio da contadino biologico: la crescita di un albero. La terra dov’è piantato contiene gli alimenti nutritivi che i microrganismi trasformano secondo le esigenze dell’albero, la linfa li porta in circolo, le foglie con l’aiuto del sole e dell’aria metabolizzano le risorse e la pianta cresce. Tutti gli attori contribuiscono all’obiettivo comune di utilizzo delle risorse per poter far sviluppare la pianta e nel frattempo vivere bene anche loro. Così come i contadini biologici coltivano la terra in un reciproco dare e avere, i cittadini devono votare -senza delegare all’infinito- e partecipare ognuno all’utilizzo e al mantenimento dei beni comuni attraverso il sapere e la mutualità. —
 

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