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Opinioni

La demagogia sull’accoglienza

Non c’è differenza tra le Regioni che minacciano di tagliare i trasferimenti ai Comuni che dovessero ospitare richiedenti asilo, e il Governo che promette incentivi (rimozione dei vincoli del Patto di stabilità) per investire nelle riqualificazione delle strutture necessarie. Tanto i governatori quanto l’esecutivo caricano di responsabilità i sindaci, che non hanno però alcun poter d’intervento in materia 

Legare l’accoglienza dei migranti che chiedono asilo a una serie di incentivi, oppure provare a scoraggiarne l’arrivo con minacce di sanzioni costituiscono soluzioni ben poco convincenti. Anzi, simili ipotesi non sono affatto edificanti, soprattutto quando sono rivolte da istituzioni dello Stato nei confronti di altre istituzioni del medesimo Stato.
Quando accade che presidenti di Regioni importanti, come la Lombardia, la Liguria e il Veneto, da cui proviene una parte rilevante del Pil nazionale, concepiscono l’idea di subordinare una parte dei trasferimenti di risorse ai Comuni che ricadono nei loro confini amministrativi alla decisione dei sindaci di non accogliere i richiedenti asilo, allora si pongono le basi per due incomprensibili assurdità.
La prima è rappresentata dal fatto che si accende, appunto, un potenziale, duro scontro fra enti, dettato da un’impostazione gerarchica in aperto contrasto con i principi della sussidiarietà previsti dalla nostra Carta costituzionale. È davvero difficile infatti accettare la pretesa di una Regione di condizionare i trasferimenti ai Comuni sulla scorta di una “superiorità” istituzionale del tutto inesistente. Lungo una simile strada verrebbero meno i presupposti stessi di una visione comunitaria e si minerebbe alle radici l’idea della condivisione delle scelte e degli impegni pubblici, senza la quale l’autorità statuale finirebbe per frammentarsi e implodere.
La seconda assurdità è identificabile nell’altrettanto inconcepibile assegnazione ai Comuni di competenze che non possono in alcun modo svolgere. Come potrebbero i sindaci opporsi all’arrivo dei migranti? Con quali strumenti e con quali competenze? Dovrebbero ricorrere -in maniera del tutto impropria ed improvvida- ai poteri di ordinanza sindacale, magari appellandosi a pericoli “contingibili e urgenti” per l’ordine pubblico? Oppure, sempre attraverso ordinanze, dovrebbero invocare pericoli di carattere sanitario?
In entrambi i casi si tratterebbe di condizioni assai difficili da provare e destinate a produrre quale unico effetto quello di accrescere l’allarme sociale e l’intolleranza. Ma poi sarebbe ancora più difficile individuare i destinatari di simili ordinanze. Per impedire l’arrivo si dovrebbero colpire in qualche modo le strutture individuate dalle prefetture per l’accoglienza dei richiedenti asilo, dal momento che non è certo neppure pensabile introdurre, con poteri sindacali, limitazioni all’arrivo nel territorio comunale di persone protette dall’articolo 10 della Costituzione italiana. Quindi, come accennato, occorrerebbe immaginare immaginifiche misure volte a chiudere le strutture di accoglienza, qualificandole come luoghi insicuri e dove le stesse autorità si dichiarerebbero non in grado di garantire la sicurezza. In estrema sintesi, proposte siffatte rappresentano un vero e proprio pasticcio infarcito di demagogia e di non troppo velate strumentalità dimostrate dal fatto che i medesimi presidenti di Regione a cui sono venute in mente hanno prontamente dichiarato l’esigenza di compiere prima verifiche sulla loro fattibilità. Ma allora perché metterle in circolazione?

Assai poco praticabile e per molti versi assai poco convincente risulta anche l’idea, formulata dal governo, di offrire incentivi ai sindaci che invece si dichiarino contrari ad accogliere i richiedenti asilo. Due, pure in questo caso, le incongruenze. La prima è riconducile al contenuto della proposta: gli incentivi si tradurrebbero, secondo le ipotesi avanzate dall’esecutivo, non in nuove risorse aggiuntive ma nella possibilità di avere benefici in termini di Patto di stabilità.
In altre parole, i Comuni che hanno le risorse per investire possono utilizzarle per costruire o per ristrutturare luoghi di accoglienza o per porre in essere misure analoghe. Si tratta di un’operazione contabile che di fatto metterebbe però i sindaci nella condizione di poter spendere proprie risorse solo in una direzione, quella dei luoghi dell’accoglienza, sottraendo loro la possibilità di scegliere se indirizzarle piuttosto in interventi di messa in sicurezza del territorio, di manutenzione straordinaria o di altra natura. Il rischio è che una simile direzione obbligata finisca per alimentare un clima di intolleranza già molto pronunciato. La seconda assurdità riguarda ancora una volta la volontà di sovraccaricare il ruolo dei sindaci, peraltro non coinvolgendoli nella definizione degli strumenti per risolvere il problema ma solo nella loro applicazione. Non ci possono essere sindaci buoni o sindaci cattivi in base alla disponibilità o meno ad accettare direttive superiori. Bisognerebbe creare le condizioni perché i sindaci potessero partecipare alle scelte normative e gestionali che troppo spesso passano sopra le loro teste. Ma qui, purtroppo, si tornerebbe a parlare dello spinoso problema di una Camera delle autonomie.

* Università di Pisa

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