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Opinioni

La crisi scarica le donne

Le scelte adottate per ridurre la spesa pubblica si riflettono pesantemente sul genere femminile. In Europa, ad esempio, il tasso di occupazione è ritornato al 2005 _ _ _
 

Tratto da Altreconomia 147 — Marzo 2013

Da cinque anni il mondo occidentale è in crisi economica, si parla di disoccupazione, di perdita di potere di acquisto, di deficit, di debito pubblico, ma sono pochi gli studi che analizzano come sono cambiate le cose per le donne.
Il 15 marzo, alla sede del Parlamento europeo di Milano, la European Women’s Lobby (Ewl), associazione ombrello che raccoglie molte associazioni europee di donne, presenta il rapporto The Price of Austerity, the Impact on Women’s rights and Gender Equality in Europe.
La Ewl ha come obbiettivo ambizioso quello di analizzare l’impatto della crisi economica sui diritti delle donne e il progresso verso la parità di genere negli Stati della Comunità europea. I risultati che presentano sono coerenti con le previsioni di molte economiste e analiste finanziarie:  la crisi che è stata causata da un settore a prevalenza maschile, ha inizialmente colpito soprattutto l’occupazione maschile, ma la risposta alla crisi è stata quella di tagliare la spesa pubblica per i servizi, scelta che impatta sproporzionatamente sulla popolazione femminile.
 

La riduzione della spesa pubblica è indispensabile, ma la scelta dei settori nei quali tale riduzione avviene è fondamentale, come lo è la scelta di modificare o meno le regole che hanno consentito il verificarsi della crisi. Si assiste a scelte di politica economica che continuano a concedere aiuti alle banche, pensiamo alla recente vicenda in Italia del Monte dei Paschi di Siena e lasciano agire indisturbate grandi istituzioni finanziarie, mentre vengono proposte come indispensabili i tagli indiscriminati sui servizi pubblici.
Il rapporto evidenzia come il tasso di occupazione femminile sia sceso in ben 12 Paesi allo stesso livello o addirittura sotto quello del 2005 e evidenzia come i tagli di servizi pubblici sanitari, di educazione e di cura stiano lentamente riportando tali mansioni nello spazio privato e quindi sulle spalle delle donne. In Europa sono, infatti, donne la maggioranza degli impiegati pubblici, il 69,2% del totale e si concentrano soprattutto nel settore sanitario e dei servizi sociali, dove le donne rappresentano il 78,4% della forza lavoro e nella scuola, dove sono il 71,5%. In Italia, al netto delle Forze Armate e dei corpi di polizia, le donne rappresentano il 62% del totale degli impiegati. Le donne rappresentano la stragrande maggioranza nei settori dell’educazione e della sanità, mentre sono una minoranza nelle aziende autonome, nella università e gli enti di ricerca, in magistratura, in diplomazia e prefetture. Alcuni Paesi europei hanno focalizzato i tagli proprio in quei settori a maggioranza femminile: in Italia, ad esempio, solo nel settore educativo si stimano più di 100mila tagli.
 

Il principale impatto sulle donne è, come per gli uomini, la perdita del lavoro. Ma la disoccupazione ha effetti diversi su uomini e donne, a causa delle differenze relative alle modalità occupazionali. In primo luogo il carico di lavoro domestico implica che siano meno le donne che cercano lavoro; in Italia il tasso di inattività delle donne alla fine del 2012 ha raggiunto il 46,6%, a fronte di un tasso di disoccupazione del 12,1%, mentre per gli uomini l’inattività è il 26% e la disoccupazione il 10%.
Le donne, poi, devono affrontare differenze di trattamento in caso di perdita di impiego, come in Italia, dove il 30% svolge un lavoro part-time. Accade in tutta Europa: secondo il report della Ewl in Francia il 57% delle donne disoccupate riceve sostegno al reddito, a fronte del 64% degli uomini.
La differenza fondamentale dell’impatto sul taglio dei servizi pubblici è l’aumento del lavoro non pagato che le donne devono svolgere quotidianamente. La ricerca dimostra come in molti Paesi europei, tra i quali l’Italia, la riduzione dei servizi di cura per bambini e anziani, o l’aumento del prezzo di tali servizi, abbia fatto crescere la quantità di lavoro non pagato svolto dalle donne.
Tra i dati che evidenziano questo peggioramento c’è il differenziale tra il tasso di occupazione delle donne con e senza figli. In Europa la forbice si è allargata tra il 2008 e oggi, salendo dall’11,5% al 12,7%. Nel 2012, secondo l’Istat, dopo due anni dalla nascita del figlio, una madre su quattro (22,7%) che era occupata non ha più lavoro, rispetto al 18,4% del 2005. La metà dichiara di avere perso il lavoro, il 23% dichiara di essere stata licenziata. Purtroppo i tentativi di riforma sono ancora pochissimi. Le donne fanno quello che sanno fare da sempre, reggono il mondo (gratuitamente). Forse dovrebbero smettere di farlo, ci vorrebbe uno sciopero di un paio di giorni, perché il mondo capisca quanto vale il loro lavoro. —

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