Una voce indipendente su economia, stili di vita, ambiente, cultura
Terra e cibo / Attualità

La crisi accelera le trasformazioni del mercato del cacao. L’impatto sulla Costa d’Avorio

Una cabozza mostrata da Etienne Konan Kouakou, della cooperativa Société Coopérative Equitable du Bandama (Sceb), che opera nella Regione dell'Agnéby-Tiassa in Costa d'Avorio © Luca Rondi

Il 7 luglio è la Giornata internazionale del cacao. L’attenzione è assorbita dall’aumento del prezzo di vendita, che ha superato i 12mila dollari a tonnellata nel 2024, ma il settore è colpito da altri scossoni come la crisi climatica e le difficoltà nella coltivazione. Il tutto mentre le multinazionali investono in maxi piantagioni in Brasile. Intervista ad Andrea Mecozzi, fondatore di ChocoFair, sulla situazione attuale e sui progetti di agro-forestazione in cantiere con la Ong Mani Tese

Crescita dei prezzi sul mercato internazionale, impatto della crisi climatica, cambiamenti nei metodi di coltivazione e concentrazione del settore nelle mani di alcune multinazionali che stanno investendo nella produzione diretta. Sono solo alcune delle trasformazioni che stanno attraversando la filiera del cacao, di cui però risalta spesso a livello mediatico l’aumento del costo a cui viene commercializzato, passato nella Borsa di New York dai circa 4mila dollari a tonnellata dell’ottobre 2023 agli oltre 12mila superati nell’estate 2024, attestatosi poi sopra gli 8mila dollari nel giugno di quest’anno.

“Ritengo che ci sia un problema di comunicazione mediatica sulle quotazioni del cacao, poiché il prezzo riflette la situazione del raccolto precedente e non di quello che sta succedendo nella filiera, ma invece ci si concentra sulle quotazioni dei future– riflette Andrea Mecozzi, consulente di filiera con vent’anni di lavoro in Costa d’Avorio-. Il prezzo di cui si parla non si riferisce al costo del ‘prodotto cacao’ ma a quello delle licenze di esportazione dell’anno successivo al raccolto. In pratica si vendono dei future, ovvero delle assicurazioni sulla produzione, che danno il diritto di poter acquistare una quantità specifica di fave di cacao tra un anno”.

In vista della giornata internazionale del cacao del 7 luglio abbiamo intervistato Mecozzi, fondatore di ChocoFair, una rete di produttori, cooperative e trasformatori volta a garantire un approvvigionamento sicuro e tracciabile di cacao “sostenibile”, per approfondire le dinamiche di questo settore.

Mecozzi, quali sono state le cause dell’impennata del prezzo del cacao nel 2024?
AM Quella principale è stata il drastico calo nella capacità produttiva del Ghana che ormai si trova in una crisi sistemica. Rappresentava il secondo produttore mondiale con circa 800mila tonnellate, da un paio d’anni ha perso il 20% della sua produzione e non è in grado di ripristinarla. Il primo motivo è legato all’impennata nel prezzo dell’oro che ha fatto crescere le miniere informali, spesso collocate nei pressi delle coltivazioni di cacao, che vengono eradicate per fare spazio all’estrazione mineraria, che poi causa una dispersione di metalli pesanti come il mercurio. A questo si aggiunge il cambiamento climatico, che nel Paese ha fatto aumentare i patogeni che hanno causato la moria delle piantagioni, soprattutto il virus swollen shoot che ha poi contagiato la vicina Costa d’Avorio, primo produttore mondiale. Nonostante ciò sul territorio ivoriano tra il 2013 e il 2023 il raccolto è aumentato del 60%, passando da un 1,4 milioni di tonnellate a oltre 2,2 milioni. Una crescita esponenziale resa possibile però dalla deforestazione di terre vergini per creare piantagioni, un incremento della produzione assoluta avvenuto senza un aumento nella produttività per ettaro, che si attesta sui 400 chilogrammi per ettaro, mentre in Sud America varia tra i 600 e gli 800 chilogrammi. Va sottolineato che l’aumento globale dei prezzi non è andato a beneficio delle comunità locali nei due Paesi africani, poiché il mercato del cacao è composto da diversi sistemi nazionali anche se ci si concentra sul prezzo finale. In Costa d’Avorio e Ghana, da dove proviene il 60% del cacao mondiale, esiste un mercato regolato dallo Stato, in cui ogni operatore, dal contadino fino all’esportatore, deve essere presente nei registri statali, un sistema deciso per stabilizzare i prezzi e per evitare degli shock lungo la filiera.

Quali evoluzioni stanno avvenendo nel mercato globale?
AM In generale nel resto del mondo la produzione di cacao si è mantenuta costante, poiché in altri Paesi africani, come Nigeria, Camerun, Togo, il cacao è una delle coltivazioni, mentre invece Costa d’Avorio e Ghana hanno investito fortemente in questo settore. Infatti hanno creato estese coltivazioni e nelle ultime due stagioni c’è stata una grande variabilità climatica, con piogge intense in periodi secchi alternati a precipitazioni scarse, perciò le piante hanno perso la loro ciclicità andando in stress. Sono state attaccate da alcuni patogeni, che si sono diffusi con facilità perché non esistono barriere naturali rappresentate da altre piante. Inoltre nelle aree più deforestate i patogeni si sono diffusi ancora più facilmente, distruggendo parte dei raccolti, mentre se esistono delle barriere, come alberi di caffè o di tek, il virus rallenta. In Sud America invece la produzione è rimasta costante per due motivi. Questi Paesi non sono esportatori netti, ovvero i raccolti di cacao finiscono principalmente sul mercato interno. Per esempio il Brasile esporta una parte di semilavorati, mentre la Colombia consuma l’80% del cacao che coltiva. Inoltre non hanno mai avuto la necessità di incentivare la produzione, poiché il costo-opportunità di coltivare il cacao era meno conveniente rispetto ad altre materie prime dedicate all’export. Invece con l’aumento dei prezzi il cacao in Sud America è ritornato ad essere competitivo, poiché, per come è strutturato il mercato, un contadino incassa quasi l’80% del prezzo di vendita, mentre un produttore ivoriano o ghaneano il 15%, che inoltre viene pagato su un prezzo stabilito l’anno precedente secondo il sistema nazionale. In Sud America è presente un meccanismo di libero mercato, i produttori grazie ai guadagni hanno la possibilità di reinvestire nel cacao, per rendere più sostenibile ed efficiente la filiera. Fino a pochi anni fa nel continente venivano tagliate le piantagioni di fare per ampliare gli allevamenti estensivi, invece nell’ultimo anno i grandi operatori internazionali hanno iniziato ad investire in Brasile, per creare grandi piantagioni da 10mila o anche 20mila ettari, con la partecipazione delle grandi multinazionali del settore che hanno difficoltà ad acquistare grandi quantità di cacao. Va tenuto conto che al momento la grandezza media di una piantagione è di tre-quattro ettari, una coltivazione familiare, mentre adesso si sta inserendo l’agrobusiness industriale a causa del prezzo elevato della materia prima.

Andrea Mecozzi durante una formazione sulla cucina delle fave di cacao in un villaggio del Centro della Costa d’Avorio © Luca Rondi

È da vent’anni che lavori in Costa d’Avorio, quali misure si stanno realizzando per contrastare le difficoltà del settore?
AM La crisi sta dando un’accelerata alle trasformazioni del mercato, si inizia ad investire nell’implementazione di progetti di agro-forestazione che portano dei benefici diffusi, come l’aumento della produttività e la diminuzione nell’erosione del suolo. In questi progetti vengono inserite piante di altre specie, come di caffè o di tek che possono venir coltivate insieme al cacao, all’interno di una piantagione per diminuire la diffusione dei patogeni. I piccoli progetti pilota di agro-forestazione stanno dando dei risultati positivi, ma va tenuto conto che si tratta di decine di migliaia di ettari da convertire. Infatti nel Paese quasi il 15% dei contadini ha abbandonato le coltivazioni a causa dell’incremento dei costi e delle malattie. Quest’anno sono ritornato a vedere la piantagione visitata nel 2023 in questo reportage di Altreconomia ed è stata abbandonata dopo esser stata attaccata dal patogeno poiché non ci sono i fondi per debellarlo e ripristinare la coltivazione, infatti in Costa d’Avorio non esistono piani di recupero ma solo politiche per rallentare la diffusione delle malattie. Andrebbero affrontate anche varie questioni nella riconversione delle piantagioni, come i fondi da stanziare per l’acquisto di nuove piante, la formazione nella coltivazione di diverse specie, la creazione di nuove filiere per vendere i raccolti di caffè. In questo contesto operano alcune Ong, come Mani Tese, che sta lavorando per creare un coordinamento di filiera, collegando i vari soggetti dalla produzione alla trasformazione fino alla logistica. Un progetto che partirà a settembre si concentra su una regione specifica, dove esistono già i vari step della filiera e sarà in collaborazione con Chocoplus del gruppo Abele, Agrimagni di Ayamé dell’Ong Appa di Pavia e con l’azienda Domori, che fa parte del gruppo Illy.

Si sta investendo su altri aspetti della filiera in Costa d’Avorio?
AM A livello sociale si sta lavorando sulla remunerazione delle attività associate alla produzione del cacao. In alcuni progetti si stanno creando delle filiere connesse, come la raccolta e la vendita del succo della polpa di cacao, che di solito non viene utilizzato oppure viene usato come compost. Ci sono progetti che hanno iniziato a realizzare delle centrali per la raccolta del succo, che viene pastorizzato o disidratato prima della vendita, che inoltre non rientra all’interno del sistema statale controllato. Hanno un ruolo centrale le donne, che si occupano già della raccolta della fava di cacao e che possono aumentare i loro guadagni tramite nuove opportunità. Per esempio, la parte esterna del frutto, la cabossa, oggi viene mandata al macero, ma si sta lavorando a dei sistemi per realizzare biomassa per l’energia dagli scarti della produzione di cacao. In Costa d’Avorio la maggior parte dell’energia deriva da centrali idroelettriche, che limitano l’apporto d’acqua per l’agricoltura. Creare nuovi fonti di produzione energetica aumenterebbe la disponibilità d’acqua, in un Paese che sta avendo problemi di siccità, oltre al fatto che i coltivatori che vanno più in difficoltà sono quelli che si trovano a monte delle dighe idroelettriche. Lo scorso giugno è stato inaugurato il primo grande impianto statale per la trasformazione del cacao in Costa d’Avorio, all’interno del progetto Transcao, che si è posta l’obiettivo di lavorare il 50% del proprio raccolto, ovvero realizzare la prima fase di semi lavorazione per ottenere la massa di cacao.

© riproduzione riservata

Newsletter

Iscriviti alla newsletter di Altreconomia per non perderti le nostre inchieste, le novità editoriali e gli eventi.


© 2025 Altra Economia soc. coop. impresa sociale Tutti i diritti riservati