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La corsa è ripartita – Ae 68

Un terzo del territorio dato in concessione: Honduras, da “repubblica delle banane” a “repubblica delle miniere”. La storia della San Martin, miniera a cielo aperto: il pericolo è il cianuro, che inquina terra e acque. Ma il dramma è la…

Tratto da Altreconomia 68 — Gennaio 2006

Un terzo del territorio dato in concessione: Honduras, da “repubblica delle banane”
a “repubblica delle miniere”. La storia della San Martin, miniera a cielo aperto: il pericolo è il cianuro, che inquina terra e acque. Ma il dramma è la nuova Ley de mineria

Da “repubblica delle banane” a “repubblica delle miniere”.  Settant’anni fa a controllare l’Honduras erano le compagnie bananiere -le “nonne” di Chiquita e Dole- per intenderci; oggi invece la piccola Repubblica centroamericana è nelle mani delle imprese minerarie, per lo più canadesi e statunitensi.

Un terzo del territorio nazionale è già dato in concessione (esplorazione e estrazione) ma tra poco, quando verranno accettate le 147 richieste di concessioni presentate negli ultimi due anni, si potrebbe arrivare al 45,2%. Poco meno della metà di un Paese “regalato” all’industria estrattiva in cambio di briciole: le royalty sono dell’1%, secondo uno standard imposto dalla Banca mondiale, che negli ultimi anni ha contribuito a riscrivere le leggi minerarie in una settantina di Paesi; il governo è incapace, a causa della corruzione ma anche della morsa del debito estero, di gestire le risorse naturali (minerali, foreste, pianure alluvionali, spiagge) nell’interesse del Paese e dei cittadini.  

Una storia vecchia come il mondo, o almeno come la Conquista, quella delle miniere in Sudamerica descritta splendidamente da Eduardo Galeano nelle “Vene aperte dell’America Latina”; una storia che torna di grande attualità oggi che l’oro tocca i 520 dollari l’oncia (31 grammi, circa), il valore più alto degli ultimi 22 anni, che fa dimenticare gli anni 90 (un’oncia scambiata per 253 dollari).

La corsa è ricominciata. “La nuova Ley de mineria, approvata subito dopo l’uragano Mitch che colpì Honduras e tutto il Centro America nel 1998, venne presentata come una strategia per la riduzione della povertà: avrebbe dovuto attrarre gli investimenti esteri e generare posti di lavoro”, spiega Salvador Zuniga del Copinh, il Consiglio civico di organizzazioni popolari e indigene dell’Honduras.

Una bella favola: la Ley è stata di fatto scritta dal cartello delle imprese minerarie. E infatti ne promuove gli interessi: un’unica licenza le autorizza ad avviare le attività di esplorazione e di sfruttamento delle miniere (exploración y explotación): fino al 1999 invece erano necessari due permessi distinti. 

Le imprese hanno poi il diritto di espropriare “per ragioni di pubblica utilità” terreni confinanti con le concessioni, anche quando “i legittimi proprietari non danno il permesso”, e di “utilizzare [tutte] le acque, dentro e fuori la concessione”.

Un saccheggio legalizzato.

C’è una miniera, nella valle del Siria, 70 chilometri a Nord della capitale Tegucigalpa, eletta a simbolo del disastro annunciato dalla nuova legge, come ci racconta Sandra Cuffe, canadese, attivista e ricercatrice, in Honduras da tre anni per l’organizzazione non governativa Rights Action (www.rightsaction.org).

Le attività estrattive sono iniziate nel 2000, ad opera di Entre Mares, sussidiaria hondureña della canadese Glamis Gold, e da allora niente è più come prima. La minaccia più grande si chiama cianuro.

La San Martin è una miniera a cielo aperto, il che significa che i costi d’estrazione sono fino a 10 volte più bassi. Utilizza, però, un processo ad alto impatto ambientale ed energetico: prima si tagliano tutti gli alberi e si fa saltare il “coperchio” -migliaia di tonnellate di terra-, poi si estrae l’oro disseminato nella roccia utilizzando il cianuro per separarlo dagli altri minerali.

La miniera crea qualcosa come 18 mila tonnellate di detriti rocciosi al giorno (per dieci anni) e impiega ogni anno 6 mila tonnellate di cianuro di sodio (è sufficiente una molecola per uccidere un organismo vivente delle dimensioni di un pappagallo). L’acqua utilizzata nel processo viene re-immessa nell’ambiente. Inquinata.

“Siamo autorizzati al consumo di 220 galloni (832 litri) al minuto”, commenta il direttore di Entre Mares. Fatti due conti risultano oltre 650 milioni di litri d’acqua all’anno.

Nel corso del 2004 la Caritas arcidiocesana ha fatto svolgere analisi indipendenti -autorizzate da Entre Mares- su campioni di acqua e di detriti (7, prelevati in 6 differenti siti alla presenza di rappresentanti dell’impresa e del governo). In quattro dei sette campioni d’acqua è presente arsenico ben oltre il livello di guardia (fino a 0,054mg/l quando il limite consentito è di 0,01); in tre dei sette campioni di sedimenti è presente mercurio (6,27 mg/kg con una soglia di guardia di 0,11).

Gli effetti si fanno sentire: la gente si ammala, malattie della pelle, respiratorie e gastrointestinali. Il dottor Juan Almendares e la fondazione Madre Tierra hanno realizzato periodiche brigate mediche nella valle del Siria. Alla fine del 2003 -l’ultimo dato a disposizione-, il 98% della popolazione di El Pedernal (la comunità più vicina alla miniera, 1.690 abitanti) soffriva di problemi dermatologici (con un aumento significativo, rispetto al 12% del 2001), il 30% di malattie respiratorie, il 36% di patologie neurologiche (insonnia, stress, ansia); secondo un’inchiesta della rivista El Libertador nel 17,7% delle famiglie ci sono più di due persone malate.

A causa dei prelievi selvaggi anche l’acqua scarseggia; i raccolti si sono ridotti del 15-20%.

La popolazione è esasperata e si acuisce la lotta contro la miniera San Martin: la guidano il Comité Ambientalista Valle de Siria e il neonato Sindicato de Trabajadores de Minerales Entre Mares, cui hanno aderito 190 dei 260 lavoratori della miniera.

Nel 2004, un’alleanza di organizzazioni della società civile ha anche presentato una proposta di riforma della Ley de mineria, ma il governo non l’ha nemmeno presa in considerazione. U

Un Paese ostaggio di poche famiglie

Sette milioni di abitanti sparsi su un territorio grande un terzo dell’Italia, Honduras è l’unico tra i Paesi centroamericani  a non aver conosciuto, negli anni tra il 1970 e il 1990, l’insorgere di un esercito di liberazione nazionale.

Anzi: dalla base Usa di Palmerola, in Honduras,

si muovevano le truppe dei contras, addestrate per combattere

le guerriglie in Nicaragua ed El Salvador.

Governato dagli anni Trenta quasi ininterrottamente da una dittatura militare, il Paese ha conosciuto le prime elezioni libere nel 1981. Da allora, il Partito nazionale (Pn) e il Partito liberale (Pl) condividono potere ed interessi economici, in un bipartitismo praticamente perfetto.

Nelle ultime recenti elezioni –il 27 novembre del 2005– Pn e Pl hanno raccolto il 95% dei voti (per la cronaca, ha vinto Mel Zelaya, del Pl, che sarà presidente per i prossimi 4 anni); i partiti minori –Democrazia cristiana (Dc), Unificazione democratica (Ud) e Partito per l’innovazione e l’unificazione nazionale (Pinu)– avranno, in tre, meno di dieci seggi al Congresso.

Poche famiglie –legate ai due partiti di governo– si fanno sempre più ricche mentre il resto del Paese affonda: il 10% degli hondureñi controlla quasi il 40% della ricchezza, in perfetta media centroamericana, mentre il Pil procapite –900 dollari anno– è il più basso della regione dopo quello del Nicaragua. Il 63% della popolazione è al di sotto della soglia di povertà (nelle aree rurali, dove vive la metà degli hondureñi e la totalità di quanti appartengono ad una etnia indigena, la povertà riguarda i 3/4 della popolazione); almeno 650 mila famiglie dipendono dalle rimesse degli immigrati, 1 miliardo e mezzo di dollari (quasi il 10% del Pil) nel 2005.

Come ultimo regalo al Paese, il presidente uscente, Maduro, del Pn, ha firmato il Cafta, Central America Free Trade Agreement, poi ratificato dal Congresso. Il trattato, in vigore dal 2006, aggraverà la dipendenza di Honduras dall’economia Usa: già oggi, oltre la metà delle importazioni arrivano dagli Stati Uniti e supera il Río Bravo il 69% dell’export di Honduras.

Il paradiso con lo scempio intorno

Alberi da abbattere, spiagge da cementificare: non si ferma alle miniere lo scempio delle risorse naturali dell’Honduras. Tra il 1990 ed il 2000, il Paese ha perso circa il 10% della propria superficie forestale. La metà dei pini, che rappresentano il 96% degli alberi tagliati e la maggior parte del legname esportato, e l’80% del mogano, più prezioso, vengono tagliati illegalmente.

Nel 2005, ricercatori dell’Agenzia per l’investigazione ambientale (Eia) del governo Usa, spacciandosi per imprenditori, hanno documentato i meccanismi della corruzione. “Pagando non avrà problemi con il governo”, ha risposto Gilma Noriega, titolare di Maderas Noriega, un’impresa che esporta vari milioni di tavole ogni mese, a chi gli chiedeva come “entrare” nel mercato honduregno del legname.

La corruzione tocca anche la Corporacion Honduregna de Desarrollo Forestal, l’organo preposto a controllare la regolarità delle licenze di taglio.

Ad accrescere la vulnerabilità del Paese ci pensano anche le distese di palma africana piantate nelle pianure alluvionali (accanto alle più tradizionali piantagioni di ananas e banane) e la selvaggia cementificazione della Costa Atlantica.

Ville, hotel, villaggi vacanze:

The Washington Post ha inserito il Paese tra le dieci migliori destinazioni turistiche del mondo e il governo sogna di creare tante piccole enclave: nella Bahia de Tela, lungo la Costa Atlantica,

il ministro Pierrefeu vorrebbe realizzare un gigantesco complesso (300 ettari di hotel, ville, campo da golf, maneggio e casinò) sulle terre disseminate di villaggi garifunas, gli afro-hondureñi che sono circa il 5% della popolazione del Paese e vivono di pesca. Si cercano capitali europei e nordamericani.

I voli in partenza da Milano atterrano sull’isola di Roatán, a due ore dalla costa in pieno Mar dei Caraibi: qui i capitali sono già arrivati portando in dote villaggi vacanze da 1.200 euro a persona (7g/7n all inclusive), dollarizzazione e prezzi da Rimini d’estate.

L’Italia non sta a guardare!

Goldlake Investments (www.goldlake.it): dietro una società  di diritto inglese si nascondono gli interessi italiani sull’oro hondureño.

Fondata a Londra nel 2002 da investitori privati italiani,

la società ha ottenuto due concessioni di esplorazione e sfruttamento in Honduras attraverso il controllo del 70% di Eurocantera e del 70% di Barro Mining Company, per un totale di oltre 15 mila ettari.  Con tanto di mappe, il sito dell’impresa presenta i due progetti: un’area di concessione di 7.800 ettari nel dipartimento di Olancho e un’altra di oltre 7 mila ettari nel dipartimento

di El Paraíso, nella regione centro orientale di Honduras.

Goldlake è controllata dalla umbra Colacem (www.colacem.it), il terzo produttore italiano di cemento: il presidente –dal 2002– è Franco Colaiacovo, che fino all’anno prima ricopriva la stessa carica in Colacem; Giuseppe Colaiacovo, amministratore delegato di Goldlake, è anche vicepresidente e membro

del consiglio di amministrazione dell’azienda umbra.

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