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Esteri

La Colombia in marcia per la vita

Nell’anniversario della Conquista, il Paese è sceso in strada: acqua e terra al centro delle rivendicazioni dei movimenti —

Tratto da Altreconomia 155 — Dicembre 2013

Si chiama “9.70, la historia de la semilla privatizada” il documentario di Victoria Solano che nei mesi scorsi ha fatto il giro della rete, totalizzando quasi 800mila visualizzazioni (www.documental970.com.ar). Mostra le ruspe dell’Istituto agrario colombiano distruggere e interrare centinaia di sacchi di riso. Immagini sconcertanti per un Paese dove il trenta per cento della popolazione vive in condizioni di povertà. La ragione di tale follia è l’entrata in vigore, lo scorso anno, del Trattato di libero commercio tra Colombia e Stati Uniti d’America, e lo sforzo dello zelante presidente Juan Manuel Santos nel fare applicare, anche attraverso atti chiaramente dimostrativi, la legge 970. Una norma che vieta ai contadini di selezionare, conservare e riprodurre i propri semi, costringendoli ad acquistarli ogni stagione. Non si tratta più di pratiche commerciali di multinazionali come la Monsanto, ma di una nuova fase in cui lo Stato arriva a considerare reato la pratica fondamentale dell’agricoltura: la selezione e la riproduzione del seme.

La legge 970 e gli altri effetti dell’entrata in vigore del Trattato con gli Usa sono all’origine dello sciopero agricolo che ha paralizzato il Paese tra agosto e settembre, contagiando anche il tessuto urbano di Bogotà, al quale il governo ha risposto con una repressione durissima: 12 morti, 82 feriti, 4 desaparecidos, 600 detenzioni arbitrarie, 92 processi, 840 violazioni di diritti umani.
Il Trattato di libero scambio non è, tuttavia, l’unico strumento atto a sancire la definitiva consegna del Paese alle multinazionali: l’altro aspetto della politica di Santos -e ancor prima del suo predecessore Alvaro Uribe- è la cosiddetta locomotiva minerario-energetica, ovvero l’intenzione di sfruttare interamente l’enorme patrimonio di risorse naturali attraverso l’estrazione e l’esportazione delle materie prime e lo sfruttamento del potenziale idroelettrico.

È per rafforzare le alleanze tra movimenti sociali e comunità locali che Rios Vivos (defensaterritorios.wordpress.com), la piattaforma nazionale contro le dighe, ha organizzato un incontro internazionale sul tema del modello estrattivista all’Università Surcolombiana di Neiva, nel dipartimento del Huila, ospitato da Asoquimbo, la rete che riunisce pescatori e contadini colpiti dalla costruzione della diga di El Quimbo (di cui abbiamo parlato su Ae 148). L’iniziativa si è svolta all’indomani dell’assassinio di Nelson Giraldo, attivista di Rios Vivos che si opponeva alla costruzione della diga di Ituango nella regione di Medellin, ritrovato morto nel fiume con evidenti segni di tortura. Il suo è l’ennesimo omicidio politico in un Paese dove molti attivisti per i diritti umani ancora oggi si muovono sotto scorta.
All’incontro di Neiva hanno partecipato comunità e attivisti da tutta la Colombia e una delegazione internazionale da Guatemala, Brasile, Spagna e Italia. Dal nostro Paese erano presenti il Forum italiano dei movimenti per l’acqua (www.acquabenecomune.org) e la rete Stop Enel (stopenel.noblogs.org), che da tempo è impegnata nella solidarietà con le comunità del fiume Maddalena in quanto il progetto El Quimbo è promosso dalla multinazionale elettrica italiana. Da due anni la rete promuove l’incontro fra le comunità colpite dai progetti dell’Enel, come quella delle comunità maya-ixiles del Guatemala presenti all’incontro con il sindaco indigeno Concepcóin Santay Gómez.

Dall’incontro di Neiva, Asoquimbo ha lanciato una proposta ai movimenti sociali in vista delle elezioni previste per marzo 2014: il voto in bianco. La costituzione colombiana prevede infatti che in caso di prevalenza di voto in bianco le consultazioni siano annullate. Un’opzione di delegittimazione del potere politico già sperimentata nelle elezioni regionali del Huila, proprio in segno di protesta contro la costruzione della diga di El Quimbo. Un’iniziativa che ha costretto i partiti a presentare un solo candidato in un’unica coalizione, che si è affermata per soli 30mila voti sul voto in bianco. Un’opzione politica che estesa a livello nazionale mette in difficoltà i movimenti legati alla sinistra tradizionale, che scontano l’incertezza dell’esito dei negoziati di pace tra Farc e governo in corso da mesi a La Habana e una parte del mondo indigeno, che ha espresso un candidato alla presidenza, Feliciano Valencia, già leader del consiglio regionale indigeno del Cauca. Ma al di là delle dinamica pre-elettorale, quello su cui tutti sembrano concordi, è il grande fermento all’interno dei movimenti sociali colombiani e soprattutto l’avvicinamento tra mondo contadino e mondo indigeno, tradizionalmente in conflitto fra loro per questioni territoriali. C’è una sostanziale unità sia sul fermo rifiuto del Trattato di libero commercio che del modello estrattivista. Anche in questo senso la resistenza del Quimbo sembra un “laboratorio”. Il 12 ottobre, anniversario della conquista dell’America e tradizionale giornata di lotta indigena, una marcia di contadini, pescatori e delegati internazionali ha percorso la statale lungo il fiume Maddalena dal villaggio di El Jagua, destinato ad essere inondato dal bacino dell’impianto, al municipio di Garcon, sette chilometri più a Nord in direzione del cantiere. La notte stessa è cominciata la mobilitazione dei nativi, che avevano annunciato l’occupazione e il blocco dei lavori. L’area del Quimbo è stata pesantemente militarizzata dalle forze speciali dell’esercito che hanno spostato nella zona persino i carri armati. Il confronto è proseguito per diversi giorni, non solo nel Huila ma in tutto il Paese, producendo la paralisi della Panamericana, la principale arteria del Sud America, e ha rappresentato il proseguimento ideale dello sciopero agricolo.
Non è solo la protesta ad articolarsi e crescere ma anche esperienze di autogestione, come quella degli acquedotti comunitari che la delegazione italiana ha avuto l’opportunità di visitare nella regione del Cauca (vedi box) e di interlocuzione con organi giuridici sovranazionali in particolare con la Corte interamericana dei diritti dell’uomo. Il 31 ottobre scorso ha ospitato la prima udienza tematica sugli effetti della costruzione delle dighe nel Paese e la repressione ad esse associata, ma alla Corte dovrebbe arrivare a giudizio uno dei massacri più terribili della storia colombiana, l’Operacion Genesis compiuta congiuntamente da esercito e paramilitari nel 1997 nella regione del Chocó.

Potrebbe trattarsi della prima condanna di un’operazione militare nella storia della Colombia, un piccolissimo atto per rendere giustizia ai 250mila morti e 5 milioni di sfollati di un conflitto che da mezzo secolo uccide civili, attivisti, sindacalisti, militanti politici ma che non ha ancora spezzato la forza della resistenza civile e sociale colombiana, che continua a costruire, marciare e sognare con il sorriso sulle labbra. —

L’acqua in comune
Arrivando a Sucre, nel cuore del Cauca colombiano, l’aria è pesante. Il posto di polizia dalla comunità è stato oggetto di un attacco militare da parte di un gruppo di guerriglieri, ma Jener e gli altri della Giunta degli utenti accolgono in modo ufficiale la nostra delegazione internazionale. Siamo arrivati per partecipare alla consegna dell’acquedotto locale nelle mani della comunità. Insieme ad altri quattro, il municipio di Sucre non ha firmato i “Piani regionali dell’acqua”, che parlano di riorganizzazione territoriale delle risorse idriche ma spingono verso forme di esternalizzazione. La resistenza sucreña è simbolica: in Colombia più della metà della popolazione non ha acceso all’acqua potabile e a un sistema igienico sanitario. Il forte impulso a politiche di privatizzazione del servizio idrico è stata avviata con la liberalizzazione delle gestioni nel ’94, ma per decine di popolazioni indigene l’acqua è identità, cultura, e -spesso- un elemento sacrale. Almeno il 26% della popolazione si rifornisce di acqua con metodi tradizionali e comunitari. Una resistenza civile che è anche rafforzamento del tessuto sociale, in un Paese che conta quasi 10 milioni di profughi interni. Gli acquedotti comunitari hanno così dato vita a una Piattaforma che cerca il riconoscimento normativo delle forme di gestione comunitarie e pubblico-comunitarie del servizio. E dopo la campagna referendaria Agua Bien Comun che nel 2011 ha raccolto 2 milioni di firme, questa dimensione di resistenza si delinea come una proposta economica e sociale alternativa.
(Francesca Caprini, yaku.eu)

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