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La civiltà del potere e la retorica della sostenibilità

Il capitalismo è un crimine contro l’umanità e la natura, non è possibile renderlo “sostenibile”. Serve dare vita a un’altra forma di società, fondata sulla giustizia e sulla cura, protesa all’armonia in tutti i tipi di relazione. Le “idee eretiche” di Roberto Mancini

Tratto da Altreconomia 240 — Settembre 2021
© Clay Banks-Unsplash

Oltre la sostenibilità. È infatti necessario passare dalla retorica della sostenibilità all’etica della salvezza. È ipocrita mettere una pezza su un tessuto mal concepito e sfibrato. L’appello al “sostenibile” permane dentro la logica del dominio sulla natura e sulle persone. È un compromesso tra la ragione e la follia, tra il rispetto e la prepotenza. Intanto la società globale, in preda alla pulsione autodistruttiva, sta bruciando.

Le ideologie, i sistemi sociali e i regimi politici si misurano dai frutti, se ne vede la qualità nel tempo. Ormai, dalla prospettiva odierna, possiamo dire che il capitalismo come forma di società non è una scelta possibile nel quadro di un legittimo pluralismo, è un crimine contro l’umanità e la natura. Lo “sviluppo sostenibile” e la “transizione ecologica” di stile governativo non sono altro che l’estremo tentativo di rilanciare l’economia capitalista in versione green. Come se la spirale di autodistruzione dell’umanità e di devastazione della natura non fosse già a uno stadio molto avanzato, come se la realtà non contasse nulla.

La parola giusta per riassumere gli effetti del tecno-capitalismo planetario è disgregazione. La logica operativa di questo sistema infatti disintegra le coscienze, spezza le relazioni interpersonali, sconvolge quelle tra i popoli, disarticola gli equilibri della natura. Se la vita è una relazione universale che abbraccia tutti i viventi, il tecnocapitalismo è disgregazione mortifera. Non si tratta di rendere “sostenibile” questo sistema, cercando di prolungarne l’agonia ancora un po’, ma di smontarlo a partire dai suoi presupposti culturali per dare vita a un’altra forma di società, fondata sulla giustizia e sulla cura, protesa all’armonia in tutti i tipi di relazione.

Il primo presupposto del tecno-capitalismo è il culto del potere, il quale non è affatto un mezzo che si lascia usare da noi, è un meccanismo che narcotizza chi crede di gestirlo e opprime tutti gli altri. Il secondo presupposto è la mentalità della civiltà moderna occidentale. La modernità si è rivelata la civiltà che ha estremizzato la logica di potere e lo ha fatto con la prepotenza di una monocultura, l’Occidente, che ha disprezzato, colonizzato, sfruttato le altre civiltà. Il fatto che ora ci sia chi, come la Cina, è diventato più “occidentale” degli occidentali in senso etnico non cambia le cose.

Il terzo presupposto emerge nel fatto che la moderna cultura del potere non ha alcun contatto con la realtà. È una mentalità psicotica devastante. Se non usciamo da simili presupposti, è illusorio inseguire la “sostenibilità”. A suo tempo lo sforzo del marxismo per superare il capitalismo è fallito proprio perché anche il progetto della società comunista è stato pensato pur sempre dentro i parametri della civiltà del potere, a partire da quello sulla natura. Oggi ci serve invece una nuova nascita culturale, ispirata dall’etica collettiva della salvezza. Una salvezza concreta per la natura e per gli esseri umani. È urgente svegliarsi e agire. Rispetto a tale compito una delle tentazioni più subdole è quella di cedere al pessimismo, visto che l’analisi della situazione del mondo sembra giustificarlo ampiamente. Ma il pessimismo è il grande inibitore delle energie sane, serve solo a perpetuare il sistema senza muovere un dito per superarlo.

In verità il sentimento più lucido e adatto a sprigionare le migliori energie culturali e politiche è la fiducia trasformativa. Essa sa vedere il potenziale di guarigione e di liberazione latente nella situazione data. Solo se lo vediamo possiamo coltivarlo nell’azione. Non possiamo cedere ai tre nemici interiori della salvezza dei viventi, che sono lo sconforto, il narcisismo e quella sindrome di Stoccolma che rende molti tuttora entusiasti del sistema che ha sequestrato il mondo. Agiamo dunque con lucidità per promuovere la rigenerazione di tutte le relazioni vitali costruendo un movimento di popoli consapevoli, guariti dalla passione di sottomettersi o di dominare.

Roberto Mancini insegna Filosofia teoretica all’Università di Macerata; il suo libro più recente è “Filosofia della salvezza. Percorsi di liberazione dal sistema di autodistruzione” (EUM, 2019)

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