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Diritti

La cancellazione sbagliata dei tribunali per i minorenni

Mentre istituisce il tribunale dell’impresa, la "riforma Orlando" della Giustizia prevede la sostanziale abolizione di un patrimonio di competenze sensibile alla tutela dei minori. Un passo indietro di decenni che si fonda su falsi miti (costi, organico, funzioni). Intervista a Luca Villa, magistrato del tribunale per i minorenni di Milano

I tribunali per i minorenni italiani sono a rischio. Un emendamento del gennaio scorso alla cosiddetta "riforma Orlando" della Giustizia, presentato alla commissione competente della Camera dei Deputati, comporterebbe infatti una sostanziale "abolizione tout court a favore di non meglio specificate sezioni specializzate”. Secondo Paolo Tartaglione, referente "Infanzia Adolescenza e Famiglia" del CNCA Lombardia e responsabile della cooperativa milanese Arimo, promotore di una petizione online ad hoc che ha raccolto quasi 15mila sottoscrizioni, il Parlamento sta per far compiere al Paese un passo indietro di decenni, sacrificando un prezioso patrimonio di competenze.
 
Luca Villa, uno dei sedici magistrati del tribunale per i minorenni di Milano, spiega perché.
 
Dottor Villa, di che cosa si parla quando si tratta di tribunali per minorenni?
 
I tribunali per i minorenni sono individuati presso tutte le Corti d’Appello, grosso modo ogni Regione ha una Corte d’Appello e quindi ha un suo tribunale per i minorenni. La Lombardia ne ha due, la Sicilia ne ha quattro, Lazio, Emilia-Romagna e Veneto ne hanno uno solo. In tutta Italia, i giudici minorili sono poco meno di 200, a Milano siamo 16. La storia del tribunale per i minorenni inizia nel 1934, con il processo penale minorile, con le attività di osservazione e trattamento nel solco di una giustizia pedagogica con finalità rieducativa. Già nel 1934 si ritenne che all’interno del collegio dovessero esserci componenti professionali diverse dai magistrati. Piano piano si è trasformato nell’assetto attuale, che risale al 1975, quando furono via via aggiunte varie competenze civili.
Se nel campo penale prevedere competenze professionali esterne è un’idea condivisa anche in qualche altra nazione, nel campo civile questo è un unicum italiano.
 
E in termini di procedimenti?
 
Nel penale il numero dei procedimenti ammonta a 38mila annui a carico di imputati noti e conosciuti. Di questi, il pubblico ministero chiede un vero e proprio processo, cioè promuove l’azione penale, per circa 22mila minori. Il grosso del processo penale minorile si ferma nell’udienza preliminare con l’accesso a vari riti alternativi e solo una quota residua prosegue alla fase dibattimentale. A differenza del processo per gli adulti, il processo penale minorile è un processo nel quale i riti alternativi hanno funzionato molto e bene. E nessun giudice minorile pensa di mettere in discussione l’udienza preliminare, mentre invece in tanti nel processo penale la percepiscono come un passaggio burocratico.
 
Il processo penale minorile ha funzionato?
 
Senz’altro. Soprattutto perché, nonostante gli strumenti deflattivi che consentono la rapida fuoriuscita dal processo penale da parte del ragazzo -l’irrilevanza, l’immaturità, il perdono, la messa alla prova- da un lato, e dall’altro nonostante nel processo penale minorile il carcere sia visto come l’extrema ratio -in tutto sono detenuti 500 imputati minorenni in tutta Italia, per metà composto da imputati in attesa di giudizio e per metà in esecuzione della pena-, il processo non ha portato ad un aumento della criminalità minorile, anzi. Negli anni è stata registrata una lenta erosione dei reati commessi dai minori. È un processo poco costoso -vista l’irrilevanza del dibattimento-, che produce poco carcere, un altro costo sociale molto alto e, come detto, non si è rivelato criminogeno, anzi.
 
E nel campo civile?
 
Le competenze civili -ricordo che i procedimenti di questa natura iscritti presso i tribunali per minorenni in Italia sono poco meno di 60mila- coprono il settore dell’adozione, del controllo della responsabilità (ex potestà) genitoriale – quantitativamente il grosso dell’intervento civile-, della dichiarazione di idoneità all’adozione internazionale. Cui si aggiungeva, sino al 2013, una competenza gravosa riguardante le controversie in tema di affidamento dei figli nati fuori dal matrimonio (fenomeno che lentamente ha iniziato ad avvertirsi dal 2000 in poi, sino a diventare ingestibili dopo il conferimento, nel 2007 a seguito dell’approvazione della legge sull’affidamento condiviso, anche della competenza sulle questioni economiche, che in precedenza spettavano al Tribunale Ordinario). Nel 2013, sia questa materia sia alcune altre relative allo status sono passate al tribunale ordinario. Secondo alcuni questo spostamento avrebbe dovuto comportare un tale svuotamento delle competenze dei tribunali per minorenni da non giustificare più la loro esistenza. In realtà, numeri alla mano, faccio l’esempio del tribunale per i minorenni di Milano, di fatto siamo ritornati allo stesso numero di procedimenti che avevamo nel 2000, prima che fossimo investiti dal fenomeno dei conflitti tra i genitori di figli non sposati. Milano è ritornata a più di 3mila procedimenti nell’ambito civile (1.800 circa sono nella materia del controllo della responsabilità genitoriale, di questi 1.700 sono aperti su ricorso dal Pm, che annualmente ne riceve 5mila, che gestisce e filtra in autonomia). È vero che ci sono tribunali per minorenni molto piccoli -che ricordo avere una dotazione minima di tre giudici per poter comporre il collegio-, che hanno un numero di procedimenti molto bassi, ma il punto è che la soluzione non è abolire il tribunale dei minorenni secondo il falso mito del "non ha molto da fare", quanto rivedere la competenza delle Corti d’Appello, perché forse il fatto che alcune Regioni ne abbiano quattro non ha più molto senso. 
 
Qual è il timore legato alla riforma? 
 
Un primo disegno prevedeva la soppressione del tribunale per i minorenni nelle sue competenze civili, eliminazione dei giudici onorari nella competenza civile e trasformazione in una misteriosa figura di "ausiliari", e mantenimento solamente della competenza penale. Quando si è fatto notare che avrebbe significato ritornare al 1934 il legislatore si è un po’ spaventato, se mi è consentita la battuta, e ci ha ripensato. Nel nuovo assetto invece rimarrebbe la stessa struttura per i procedimenti civili e per quelli penali, ma non sarebbe più un tribunale autonomo quanto invece una sezione del tribunale del capoluogo di distretto. Dunque, nelle cause di separazione sia dei figli sposati sia non sposati del Comune non capoluogo di distretto -in Lombardia, ad esempio, di Sondrio-, ci sarà un tribunale che sulla separazione si comporta in un modo e invece, sullo stesso minore, ci sarà, presso il capoluogo di distretto, una sezione specializzata e autonoma che potrebbe pensarla diversamente. In realtà esiste un modello che è stato proposto al Parlamento dall’associazione dei magistrati che si occupano di minori in famiglia che è il modello del tribunale di sorveglianza. E cioè, una competenza a livello distrettuale e poi una serie di affari che possono essere svolti da un magistrato monocratico nei singoli tribunali, anche senza competenze professionali altre. 
 
Cosa comporterebbe la perdita dell’autonomia?
 
La preoccupazione è che perdendo l’autonomia si perda anche qualcosa in termini di funzionalità e centralità, diventando una sezione tra le tante, con presidenti che investono fino a un certo punto, giudici che lo fanno finché non debbano occuparsi d’altro, senza quella vocazione che contraddistingue i giudici minorili.
 
Sul lato penale la preoccupazione poi è sul versante della Procura. Presso il tribunale dei minorenni, infatti, c’è una specifica Procura che è separata da quella ordinaria. Nel nuovo assetto la Procura finirebbe all’interno della Procura ordinaria, sotto forma di dipartimento. E anche se è prevista una tendenziale esclusività delle funzioni, in realtà non la può garantire, chiedendo quindi una sorta di schizofrenia al pubblico ministero. Il pm dell’adulto, infatti, deve accertare il fatto e ha un compito di sicurezza sociale prevalente, il pubblico ministero minorile invece ha un’attitudine educativa, e quindi nelle sue richieste e indagini deve avere un’attenzione particolare al minore. 
Personalmente sono molto preoccupato dall’idea di un Pm che da un lato indaga il genitore maltrattante e dall’altro promuove l’intervento a tutela del minore maltrattato. Perché io temo che si possa porre una sorta di conflitto di interessi, con il pericolo di piegare l’intervento a tutela del minore per ottenere qualcosa nel procedimento penale a carico del maggiorenne. 
 
La principale giustificazione addotta è quella del risparmio di risorse.
 
È anche questo un falso mito. Mi chiedo in ogni caso se sia sui minori che si voglia e si debba risparmiare. Cito Winston Churchill: quando gli dicevano che per costruire le munizioni bisognava tagliare sulla cultura, lui disse "allora che cosa combattiamo a fare". Non rendersi conto della funzione importante dei tribunali per i minorenni, anche per la profonda trasformazione impressa alla giustizia, sia nel penale sia nel civile. La messa alla prova, l’irrilevanza, la mediazione, son tutte cose che sono state sperimentate nel tribunale per i minori. È un’impostazione culturale che talvolta ferisce. Leggere della soppressione del tribunale per i minorenni e contestualmente dell’istituzione del tribunale per l’impresa mi sembra un segno abbastanza chiaro della visione complessiva. 
 
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