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La bolla europea del riarmo s’ingrossa. Chi la alimenta, chi ci guadagna e chi ne resta succube
La guerra in Ucraina e il disseminarsi di conflitti in giro per il mondo, con il conseguente massiccio impiego di fondi pubblici verso il settore delle armi, sta gonfiando una bolla finanziaria enorme che sembra però spostare l’asse del risparmio gestito mondiale, nelle mani dei grandi fondi statunitensi, verso i listini europei. Ecco come leggere le “scelte” commerciali e diplomatiche dell’amministrazione Trump. L’analisi di Alessandro Volpi
Dall’inizio della guerra in Ucraina, e in particolare dopo l’annuncio del piano “Rearm Europe”, gli indici che misurano l’incremento di valore dei titoli delle società produttrici di armi si sono impennati: un incremento dell’indice generale del settore armi che è stato del 126,7% da inizio anno, a fronte di un incremento dello S&P500 del 59%.
Se si considera poi l’indice che misura il settore dei produttori di aerei e droni europei si arriva al 232,5%, circa tre volte l’incremento dell’analogo indice americano. Tra le società europee Renk Group ha guadagnato il 256%, Rheinmetall il 187%, Hensoldt il 180%; si tratta, guarda caso, di società tedesche con grandi azionisti americani rappresentati dalle Big Three, ossia i fondi BlackRock, Vanguard e State Street.
In pratica, la guerra in Ucraina e il disseminarsi di conflitti in giro per il mondo, con il conseguente massiccio impiego di fondi pubblici verso il settore delle armi, sta gonfiando una bolla finanziaria enorme che sembra però spostare l’asse del risparmio gestito mondiale, da decenni nelle mani dei grandi fondi Usa, verso i listini europei.
Questo preoccupa molto l’amministrazione di Donald Trump che deve registrare incrementi nei titoli finanziari Usa, compresi quelli militari, assai più bassi, nutrendo quindi il timore di una fuga di capitali a cui contribuiscono altri fattori decisivi che è bene riassumere.
Gli Stati Uniti hanno un debito federale di 37,5mila miliardi di dollari, una posizione finanziaria netta negativa di 26mila miliardi (cioè devono al resto del mondo 26mila miliardi di dollari), stanno manifestando pericolosi segnali di una nuova crisi bancaria, con il rischio di troppi asset gonfiati e di crediti privi di valore, hanno un deficit commerciale di oltre 800 miliardi e quello della bilancia dei pagamenti pari a 1.300 miliardi di dollari, hanno un numero di imprese con più di 500 dipendenti che è ormai inferiore allo 0,5% del totale. Con un particolare rilevante: il dollaro ha perso in due anni quasi il 10% rispetto all’euro ed è sempre più instabile.
In questo quadro la scelta di Trump pare essere quella di scatenare guerre commerciali con un gran numero di Paesi, puntando a fare cassa con i dazi, e ad alimentare guerre (altro che Nobel per la pace) per far salire il prezzo dell’energia, magari allargando l’area di influenza delle proprie major energetiche e accentuando la dipendenza di vaste aree del mondo, Europa in primis, dal proprio greggio.
Alimentare le guerre, in Europa e in altre parti del mondo, significa poi provare a riportare l’asse dei risparmi europei verso le società statunitensi che producono armi per l’esercito Usa e per la Nato. Una volta messa in moto la bolla europea del riarmo, infatti, Trump pensa sia possibile convincere i grandi fondi “nazionali” a riportarla verso i produttori statunitensi, facendo degli Stati Uniti un colossale paradiso fiscale finanziario, dove produrre monete (stable coin in dollari), dove togliere vincoli ai bilanci bancari e dove rimuovere le “regole” introdotte dopo il collasso del 2008.
Così è più facile capire perché Trump è pronto per la campagna del Sud America, a cominciare dal Venezuela, e perché l’Europa è così succube. L’Unione europea ha adottato il diciannovesimo pacchetto di sanzioni contro la Russia che riguarda, in larga misura, le importazioni di gas russo. È utile chiarire che cosa prevedono nello specifico. La proibizione si applicherà entro sei mesi ai contratti di Gas “naturale” liquefatto (Gnl) a breve termine e a partire da gennaio 2027 per quelli a lungo termine. Inoltre, si inasprisce il divieto di transazione esistente nei confronti di due importanti produttori di petrolio statali russi, Rosneft e Gazprom Neft, eliminando le ultime esenzioni rimaste.
Il Consiglio europeo poi ha adottato misure sanzionatorie nei confronti di operatori di Paesi terzi che alimentano i flussi di entrate della Russia, comprese due raffinerie e un operatore petrolifero in Cina che sono importanti acquirenti di greggio russo. Viene inoltre imposto il divieto di importare nel blocco una variante del gas di petrolio liquefatto (Gpl), oggi utilizzata per aggirare le precedenti restrizioni sul Gnl.
In sintesi, gli europei chiudono ogni legame con l’energia russa, quella che costava meno, e si apprestano a dipendere per circa il 30% del totale delle proprie importazioni di gas dal Gnl prodotto dagli Stati Uniti, come noto decisamente molto costoso e dai prezzi instabili. Tale dipendenza europea è accentuata dalla decisione dell’amministrazione Trump di introdurre sanzioni contro le due compagnie russe Rosneft e Lukoil, quest’ultima legata a molti gruppi energetici europei (Eni inclusa).
In altre parole, le misure prese dall’Ue e quelle introdotte dall'”alleato Trump”, significheranno per le imprese italiane la necessità di pagare l’energia dal 360% al 400% in più rispetto a quelle americane; una differenza che, vale la pena ricordare, è resa ancora maggiore dall’ultima Legge di bilancio che prevede un maggior onere in termini di accise di oltre due miliardi di euro in tre anni.
Un’ultima considerazione. La commissaria che sta trattando la questione energetica è Maria Luís Albuquerque, già ministra del Portogallo, artefice dei piani imposti dal Fondo monetario internazionale (Fmi), ma soprattutto membro del board di Arrod global group, una società di proprietà del fondo inglese Tdr Capital che gestisce i risparmi di alcuni grandi fondi pensione statunitense. Bingo.
Alessandro Volpi è docente di Storia contemporanea presso il dipartimento di Scienze politiche dell’Università di Pisa. Si occupa di temi relativi ai processi di trasformazione culturale ed economica nell’Ottocento e nel Novecento. Il suo ultimo libro è “Nelle mani dei fondi” (Altreconomia, 2024)
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