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La birra non esiste, esistono le birre

Il titolo evoca il “primo postulato di Kuaska”, al secolo Lorenzo Dabove, degustatore e padre putativo del movimento della birra artigianale italiana (più di 1.000 realtà nate dal 1995): una rivoluzione culturale di cui Kuaska è nume tutelare e che passa da stili originali come le birre con il mosto di grandi vini, le castagne, il farro, la frutta e altri prodotti, dal chinotto alla carruba.
"La birra non esiste" è una vera e propria biografia di Kuaska e del movimento stesso, in libreria per Altreconomia edizioni, di cui potete leggere qui una anteprima

Tratto da Altreconomia 172 — Giugno 2015

“La birra non esiste”. È il primo postulato di Kuaska, al secolo Lorenzo Dabove, degustatore e padre putativo del movimento della birra artigianale italiana. Un paradosso subito temperato da un’affermazione più rassicurante: “Esistono le birre”.

“La birra è l’unico alimento che ho sentito chiedere per quantità e non per qualità -afferma  Lorenzo-: se ordino una ‘media’ è come se entrassi in salumeria e dicessi: ‘mi dà un etto di prosciutto’”. Questa era la situazione negli anni Novanta in Italia: un deserto piatto e gelato come una birra industriale senza schiuma. Lorenzo Dabove era già allora un’autorità in materia, ma il suo campo di ricerca (“bisogna sempre studiare”, ripete) era la birra belga e il suo regno il Pajottenland, la regione del brabante fiammingo dove detta legge il Lambic, la wild beer che nasce misteriosamente dai lieviti autoctoni. Poi un giorno scoprì che in Italia stavano nascendo delle piccole realtà, che non si conoscevano. E cominciò a frequentare i loro brewpub. “Erano appassionati che, viaggiando in tutto il mondo, hanno incontrato locali in cui servivano birre diverse, fresche, non pastorizzate. E hanno visto la luce. Sono tornati in Italia e -ciascuno seguendo la propria ossessione e i propri viaggi- hanno cominciato a provare le loro birre preferite. Per esempio Agostino Arioli del Birrificio Italiano faceva birre in stile tedesco, Teo Musso di Baladin birre in stile belga, i ragazzi del Birrificio Lambrate birre in stile… cannabinoide”.

Ottobre 1995: mentre i pionieri progettano gli impianti o -come ha fatto Teo Musso- li trasportano con un rimorchio attraverso mezza Europa per raggiungere Piozzo, provincia di Cuneo, tra le pieghe della legge succede qualcosa: cade il divieto di produrre la birra in casa. “Non so se questo si possa prendere come data di nascita simbolica della birra artigianale italiana, ma di certo il movimento sta per compiere 20 anni e ha raggiunto i 1.000 birrifici artigianali aperti” (qualcuno ha chiuso ndr). Un salto di qualità che ha portato l’Italia -a dispetto di un consumo molto limitato- nell’Olimpo delle birre artigianali mondiali. Il segreto di questa tumultuosa Renaissance sta forse proprio tra gli aridi commi di legge. “La ‘liberalizzazione’ della birra fatta in casa -spiega Lorenzo Dabove- ha fatto nascere una pletora incredibile di homebrewer: da questa schiera sono usciti alcuni tra i migliori birrai italiani”. Kuaska ha ricevuto una tacita investitura: “Gli homebrewer sono il mio paradiso e il mio inferno. Mi arrivano continuamente e con ogni mezzo, dal DHL alle consegne clandestine, decine di creazioni, che io chiamo X-files, sulle quali mi viene chiesto un parere. Rischio la vita ma sono fiero di avere scoperto e incoraggiato alcuni dei più talentuosi birrai italiani!”.

Kuaska ha una missione precisa: portare adepti all’interno del cerchio magico della birra artigianale, un ambito tutt’altro che chiuso o segreto, ma in grande e continuo fermento. “Non sono e non sarò mai al soldo di nessuno. Per me le birre sono essenzialmente ‘cultura’. Una cultura popolare che per prima cosa deve dare piacere e rendere, così come fu in origine, la vita meno dura. Le birre del resto hanno un’imbattibile forza aggregante e socializzante”. Un compito arduo. I numeri sono soverchianti: l’esercito delle birre industriali di massa sembra un’invincibile armata. “Ma il lavoro fatto da noi ‘partigiani’ sparsi per il pianeta sta cominciando a dare frutti, soprattutto in termini qualitativi. Paradossalmente sono proprio i Paesi di scarsa tradizione birraria a ricevere i maggiori benefici dall’avvento della cultura della birra grazie al fatto che i neofiti sanno cogliere al meglio gli stimoli. Noi italiani, da questo punto di vista, siamo già i migliori grazie alla nostra creatività, alla straordinaria biodiversità del nostro territorio che ci permette di creare stili originali e inimitabili con le castagne, il farro, la carruba, il basilico, il radicchio il chinotto ligure e le ramassine piemontesi, o ancora le birre legate al mondo del vino, con il mosto d’uva o passate nelle botti”.

Questi sono solo gli accenni di alcune delle storie che Lorenzo Dabove ha scelto di raccontare, e che potrete leggere nella sua prima biografia-saggio, “La birra non esiste” (vedi box) per Altreconomia edizioni. Un libro nel quale Lorenzo Dabove non solo prova, senza speranza, a fare sintesi della sua sterminata competenza, ma attinge a piene mani alla sua inesauribile fonte di aneddoti e racconti birrari, portando il lettore ad incontrare decine di personaggi tridimensionali e svelando l’incredibile ricchezza del mondo delle birre, in Italia e nel mondo. Confermando quello che diceva Michael Jackson, il (suo) maestro: “Se uno non ama la birra è perché non ha ancora trovato la sua”.



Il profeta degli homebrewer racconta se stesso

“Mi chiamo Lorenzo Dabove in arte Kuaska, faccio il degustatore professionale. Molti anni fa ho trovato -sono genovese- questo sistema per non pagare le birre”. L’esordio è fulminante, ma è solo una pallida anteprima di quello che regala una degustazione condotta da Lorenzo, nella sua uniforme d’ordinanza, una camicia dove pascolano le mucche. Leggere questo libro -tra aneddoti e reminiscenze- è un’esperienza quasi sensoriale, non lontana dal modo incontenibile, torrenziale, iconoclasta ma garbato con cui Kuaska, birra in una mano, si trasforma nel più straordinario storyteller birrario al mondo, inventore di format come “Dove osa la birra i vini non possono osare”. “La parola magica è ‘percezione’ -esordisce spesso negli incontri pubblici-: quando si degusta una birra, per coglierne i flavour, si deve fare un po’ come quando sediamo sul lettino dello psichiatra. Contano le esperienze che abbiamo fatto, che cosa sentivamo entrando nella cucina della nostra nonna, la nostra storia personale”.
Lo “slimmest beer taster in the world”, come affermano con un pizzico d’invidia i colleghi con una notevole beer belly (o pancia), ci rivela in queste pagine anche il Kuaska privato: ci racconta il suo primo incontro con la birra, l’origine del suo nome d’arte e le sue altre passioni, come il Genoa, il jazz, la poesia. “Il mio vero mestiere -ripete in ogni occasione- è il poeta d’avanguardia”.

“La birra non esiste”, di Lorenzo "Kuaska" Dabove, 176 pagine, 14,50 euro. In libreria e su www.altreconomia.it/libri


© Riproduzione riservata / foto di Pierangelo Pertile

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