Una voce indipendente su economia, stili di vita, ambiente, cultura
Altre Economie

La bionda italiana e i diritti ad alta quota

A Cittareale, nel Lazio, un progetto sperimentale nato per richiedenti asilo e rifugiati ha dato vita a una cooperativa sociale e ad un birrificio artigianale. Si chiama "Alta quota" ed è una delle 329 aziende recensite nella nuova "Guida alle birre d’Italia 2015" di Slow Food Editore. Al mondo della "birra di qualità" è dedicato anche "La birra più buona del mondo", scritto da Massimo Acanfora per Ediciclo/Altreconomia Edizioni —

Tratto da Altreconomia 157 — Febbraio 2014

Nel Comune di Cittareale, a 1600 metri sul livello del mare, sgorgano sorgenti di acqua pura. Da qui 4 ragazzi afghani e 5 italiani ricavano il principale ingrediente della birra che producono nel birrificio “Alta Quota”. Il progetto è nato nel 2010 come laboratorio sperimentale di produzione e commercializzazione di birra, fra le mura di una ex scuola elementare, all’interno del Sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati (Sprar), attivato dal Comune nel 2008.
Claudio Lorenzini (nella foto), oggi responsabile del birrificio, ha avviato il laboratorio con un investimento di 55mila euro circa, per offrire un corso di formazione alle persone accolte nel progetto Sprar e, nel frattempo, ha fondato la cooperativa sociale “Il gabbiano”, per cui oggi lavorano 9 persone. “Anche noi non avevamo esperienza in questo campo -racconta Emanuela Laurenzi, socia della cooperativa e responsabile, insieme al marito Claudio, del birrificio- ma abbiamo scelto di creare un laboratorio perché, da un’indagine di mercato, ci siamo accorti che questo settore avrebbe potuto essere proficuo”. Il primo prodotto di “Alta Quota”, presentato al Salone del gusto di Torino (salonedelgusto.it) grazie a Slow Food (slowfood.it), è stato la “Principessa”, una birra bionda prodotta con l’aggiunta del farro, coltivazione tradizionale a Cittareale. “Molti campi -spiega Emanuela- sono però stati abbandonati negli anni a causa di un progressivo allontanamento dall’attività agricola da parte degli abitanti, molti dei quali sono anziani”.
Alla fine del 2010 la cooperativa ha trasformato il laboratorio in una vera e propria azienda, e si è trasferita nella località sciistica Selvarotonda, una delle 22 località di Cittareale. Ma “fortunatamente quei 90 metri quadri ci andavano stretti”, e così dopo aver acquistato un lotto di terreno in un’area comunale, il 14 dicembre Claudio e sua moglie hanno inaugurato il nuovo stabilimento, di 700 metri quadri. Il malto d’orzo e il luppolo, con cui “Alta Quota” produce oggi i suoi 9 tipi di birra, arrivano da Germania, Belgio e Stati Uniti perché “in Italia non ci sono coltivazioni sufficienti per soddisfare i fabbisogni di tutti i birrifici”; ma in alcune ricette il mastro birraio aggiunge, oltre all’acqua di sorgente, alcuni ingredienti locali, come il farro della Principessa e il peperoncino della birra “Chitano”, coltivato dai dipendenti del birrificio e dai soci della cooperativa.
“Alta Quota” vende al dettaglio la birra da 0,33 cl a 3 euro e quella da 0,75 a 9 euro. I rivenditori -in provincia di Rieti, a Roma e alcuni sul territorio nazionale- acquistano i due formati a 1,70 euro e 5,40 euro, Iva esclusa. “Nel laboratorio e poi nell’azienda c’è sempre stato un ricambio di dipendenti perché, terminato il corso di formazione, molte delle persone rifugiate o richiedenti asilo se ne sono andate -continua Emanuela- per il ricongiungimento familiare oppure per un’offerta di lavoro”. Waleed, vice mastro birraio, uno dei 4 afghani accolti nel progetto Sprar, una volta uscito dal programma di accoglienza ha invece deciso di rimanere a Cittareale. Guadagna oggi circa 1.300 euro al mese, cui vanno aggiunti gli straordinari.
 
Ora che il birrificio può contare su basi solide (in un anno il suo fatturato è quasi raddoppiato), Emanuela pensa al futuro: “Vorremmo riuscire a offrire un posto di lavoro a un maggior numero di persone, e ci piacerebbe richiedere la certificazione biologica per le nostre birre”. In questo Comune non ci sono altre aziende impegnate in un’attività commerciale, oltre al birrificio di Claudio ed Emanuela: “Con un’iniziativa nata per offrire un sostegno ai rifugiati e richiedenti asilo siamo riusciti a muovere l’economia di un paese”. Perché se alcuni campi di farro continueranno a essere coltivati, il merito sarà anche della Principessa di Cittareale. —

 

 

Newsletter

Iscriviti alla newsletter di Altreconomia per non perderti le nostre inchieste, le novità editoriali e gli eventi.


© 2024 Altra Economia soc. coop. impresa sociale Tutti i diritti riservati