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Altre Economie

La “bella” della legalità

A Cerignola c’è la prima cooperativa di commercio equo a gestire un bene confiscato alla mafia. Produrrà olive da tavola e verdure

Tratto da Altreconomia 120 — Ottobre 2010

Sveglia alle cinque, colazione frugale e poi via a faticare nei campi fino a mezzogiorno, con un bunker senza finestre come unico riparo dal sole cocente. Una strana vacanza, quella che i volontari di Libera (www.libera.it) hanno deciso di trascorrere a Cerignola, in provincia di Foggia, lontani dagli itinerari dalla Puglia turistica.

Al posto di spiagge e centri storici da cartolina hanno trovato un territorio povero di stimoli culturali e segnato da abusivismo e illegalità diffusa. Basti pensare che la città (quasi 60mila abitanti) è al primo posto in Capitanata per numero di beni confiscati alla criminalità organizzata, ben trentaquattro tra immobili e aziende secondo i dati dell’Agenzia del demanio. La loro presenza, però, significa che qualcosa sta cambiando: la cooperativa sociale “Pietra di Scarto”, che dal 1996 è attiva a Cerignola nella promozione del commercio equo e solidale, ha intrapreso un progetto per il riuso sociale di un bene requisito a un esponente della malavita locale. A giugno di quest’anno, infatti, l’amministrazione comunale della città ha affidato in comodato d’uso alla cooperativa un terreno agricolo di circa tre ettari, coltivato a oliveto, e l’annesso magazzino in cemento armato privo di finestre. Il bunker che ha offerto ristoro ai volontari nei momenti di pausa durante il campo di lavoro organizzato da Libera. E pensare che i vecchi proprietari lo avevano costruito con il preciso scopo di occultare merce rubata e traffici illeciti.

“È la prima volta che una realtà legata al commercio equo ha l’opportunità di gestire un terreno confiscato e di promuovere sia a livello globale che locale la pratica di un’economia etica -racconta Pietro Fragasso, presidente della cooperativa “Pietra di Scarto”-. Anche qui, come nel Sud del mondo, è importante creare occasioni di sviluppo all’insegna della legalità e nel rispetto dei diritti dei lavoratori”. A Cerignola, infatti, prevale ’economia sommersa. Ancora oggi, nonostante le lotte bracciantili del secolo scorso e l’eredità del grande concittadino e sindacalista Giuseppe Di Vittorio,
il lavoro nei campi è quasi sempre sottopagato e associato a fenomeni di caporalato e sfruttamento della manodopera straniera.
Per avviare il progetto, i soci della cooperativa, aiutati da dieci volontari di Libera (tutti provenienti da diverse regioni del Nord Italia), hanno lavorato per rendere nuovamente fruibile il bene, liberando il terreno dalle erbacce e dai rifiuti accumulatisi negli anni e portando a termine la pulizia del bunker. Al loro fianco una squadra di operai agricoli specializzati ha provveduto agli interventi tecnici più urgenti e alla potatura degli alberi, mettendo a disposizione gratuitamente la propria esperienza e manodopera. Il podere, così ripristinato, potrà finalmente tornare ad essere produttivo dopo quasi un decennio di incuria e abbandono. La prima tappa per la sua riconversione è il passaggio all’agricoltura biologica e la valorizzazione di prodotti locali. I giovani alberi presenti sul fondo appartengono infatti al cultivar Dop “La Bella di Cerignola” (labelladicerignola. com), una varietà di oliva da tavola nota per i frutti grandi e carnosi e tutelata da un consorzio di produttori della zona.
All’interno dell’appezzamento verrà inoltre creato un orto biologico, per rifornire il gruppo d’acquisto solidale cittadino di prodotti stagionali da filiera corta. “Attraverso questo progetto puntiamo a sostenere le produzioni tipiche del territorio e a diffondere forme di agricoltura e di consumo sostenibili” spiega Vincenzo Pugliese, presidente della cooperativa “Altereco”, partner del progetto insieme alla Confederazione italiana agricoltori. Obiettivo comune è quello di ridurre l’impatto ambientale delle coltivazioni e creare un modello di innovazione per l’agricoltura locale, da anni interessata da una grave crisi dovuta al crollo dei prezzi di grano duro, pomodoro, uva e olive, che sono alcune tra le colture più diffuse nella zona.
Il progetto di “Pietra di Scarto” aspira inoltre a creare occupazione per coloro che normalmente vivono una condizione di esclusione sociale. La cooperativa ha perciò ideato, in collaborazione con l’associazione cittadina “Superamento Handicap” (www.superamentohandicap.it), un programma per l’inserimento nella neonata azienda agricola di tre lavoratori disabili, che saranno impegnati nella cura dell’orto e nella gestione del gruppo d’acquisto solidale. Il bene confiscato sarà inoltre messo a disposizione della comunità per attività culturali di sensibilizzazione alla legalità e di educazione ambientale indirizzate alle scuole e a tutta la cittadinanza. Gli sforzi sostenuti cominceranno presto a dare frutti: nella seconda metà di ottobre parte infatti la raccolta delle olive. In attesa dei lavori di ristrutturazione del magazzino, in cui verrà creato un piccolo laboratorio per la trasformazione di prodotti agroalimentari, quest’anno le olive saranno lavorate e confezionate dalla cooperativa “Santo Stefano” di Cerignola, una realtà che aderisce al Consorzio di tutela della “Bella di Cerignola”.

La distribuzione del prodotto avverrà nel circuito di Libera e nella rete delle botteghe del mondo a partire da dicembre 2010. La cooperativa “Pietra di Scarto”, che ha sostenuto le spese per l’avvio del progetto con l’autofinanziamento, ha lanciato una campagna di raccolta fondi intitolata “Cominciamo (dal) bene” per reperire le risorse necessarie a completare la riqualificazione del bene (vedi box a p. 29). Un primo contributo è arrivato da “Terre di Puglia” di Mesagne (Br), a cui nel 2009 era stato temporaneamente affidato dal Comune di Cerignola il terreno confiscato. La cooperativa ha donato mille vasetti di olive in salamoia, raccolte lo scorso anno con l’aiuto della Cia e trasformate gratuitamente dall’azienda Santo Stefano: la vendita servirà a finanziare le fasi successive del progetto.
Il lavoro di “Pietra di Scarto” è “un’azione concreta di contrasto alle mafie” secondo Daniela Marcone, referente del coordinamento di Libera di Foggia. E alla memoria di suo padre Francesco, vittima di mafia ed esempio di integrità e di impegno per il bene comune, è dedicato tutto il progetto di riutilizzo del bene confiscato, che -è sempre Daniela a parlare- rappresenta “una grande risorsa per il territorio. Un seme da coltivare, da proteggere e da seguire nella sua crescita”.

L’equo guarda in casa
Il commercio equo si fa anche in casa. Da alcuni mesi, si è intensificato il rapporto tra Ctm altromercato e Libera, l’organizzazione fondata da don Luigi Ciotti che promuove il recupero di beni e terreni confiscati alle mafie per farne attività dedite al biologico.All’inizio Altromercato ha distribuito i vini della cooperativa Placido Rizzotto di San Giuseppe Jato (Pa), finanziando la nascita di un’altra cooperativa sociale di Catania, la Beppe Montana, che produce olio biologico. Con l’esperienza di cui parliamo in queste pagine, la “Pietra di scarto”, socia di Altromercato, potrebbe fare da apripista a un nuovo filone di prodotti Ctm dedicati all’economia sociale e “della legalità”. Una sorta di “commercio equo domestico” -per il quale si sta pensando a una linea specifico- che dovrebbe comprendere anche i prodotti dell’economia carceraria (a Natale sarà disponibile in alcune botteghe il panettone fatto nel carcere di Terni, ma contatti sono stati avviati anche con Trani -taralli-, Verbania e Siracusa -biscotti-).

Francesco Marcone venne ucciso nel marzo di 15 anni fa, ma il suo caso è ancora irrisolto
Dedicato a una vittima di mafia
Francesco Marcone fu assassinato con due colpi di arma da fuoco la sera del 31 marzo del 1995, mentre rincasava dal lavoro. La sua è la storia di un servitore dello Stato, amante delle regole e non disposto a chiudere un occhio dinanzi all’illegalità. Direttore dell’Ufficio del registro di Foggia, è considerato una vittima della cosiddetta “mafia dei colletti bianchi”. Attraverso il suo lavoro di funzionario pubblico aveva scoperto una rete di oscure connivenze tra malavita organizzata, imprenditori e professionisti locali che coinvolgeva anche pezzi delle istituzioni.
Sulla sua scrivania transitavano, infatti, complesse pratiche fiscali e importanti operazioni immobiliari dietro le quali si celavano interessi e speculazioni non sempre trasparenti. Il suo era un ruolo delicato in una città in cui l’economia del mattone era inquinata da interessi affaristico-mafiosi. Pochi giorni prima di morire Marcone aveva scritto un esposto alla Procura, in seguito pubblicato su un giornale locale, nel quale segnalava gravi irregolarità e comportamenti sospetti all’interno del suo stesso ufficio. Si ritiene, inoltre, che stesse per denunciare all’autorità giudiziaria una serie di evasioni e truffe ai danni dello Stato che aveva smascherato attraverso lo studio scrupoloso degli atti sottoposti alla sua approvazione. Chi decise di ucciderlo molto probabilmente voleva impedire che questi affari illeciti venissero alla luce. Ancora oggi, però, a quindici anni di distanza, i mandanti e gli esecutori materiali dell’omicidio non hanno un nome. L’indagine ha rischiato più volte di essere archiviata e la domanda di giustizia della famiglia Marcone rimane inappagata.
Nel 2005 l’allora Presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi ha insignito Francesco Marcone della medaglia d’oro al merito civile riconoscendone, come si legge nella motivazione, “la salda preparazione professionale e l’alto rigore morale”. A marzo di quest’anno Marcone è stato inoltre dichiarato “vittima del dovere” dal Ministero dell’Interno. “Oggi papà è ufficialmente una vittima del dovere” – commenta sua
figlia Daniela, referente di Libera Foggia – “l’unico funzionario non appartenente alle forze dell’ordine ad aver perso la vita in attività di servizio. Non aveva divisa né armi ma, come unico scudo contro il malaffare,
il suo amore per la nostra terra”.

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