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La banca vince sempre

Quattro istituti rifilano al Comune prodotti finanziari tacendone i reali costi. Nella sentenza che li condanna, lo spaccato di un sistema di potere. Il racconto dell’inchiesta sul numero di maggio di Altreconomia e la replica fornita dal direttore generale del Comune di Milano, Davide Corritore (da Arcipelago Milano)

Tratto da Altreconomia 149 — Maggio 2013

Le banche vincono anche quando perdono. Il “caso derivati” che ha turbato Milano ne è la prova. Aver venduto, nel 2005, al Comune, un prodotto finanziario scadente, di cui peraltro han taciuto i costi impliciti, è costato agli istituti di credito sì una storica condanna in primo grado nel dicembre 2012 per truffa aggravata -contestata ai funzionari che hanno agito in nome e per conto- ma nei fatti non ne ha minimamente intaccato la posizione sul mercato. Rovesciamento logico che vede il truffatore contrattare una quanto più ragionevole transazione con il truffato, imponendogli -a condizione del patto- la rinuncia alle aule processuali.
È la primavera del 2005 quando la Giunta comunale guidata da Gabriele Albertini (oggi senatore di Scelta Civica per l’Italia), a fronte di una situazione critica di bilancio, decide di emettere un prestito obbligazionario (bond) trentennale per oltre 1 miliardo e 700 milioni di euro. Ad accompagnare il Comune sul mercato sono quattro banche: l’americana JP Morgan Chase Bank, la tedesca Deutsche Bank, l’irlandese Depfa Bank e la svizzera UBS Limited. Quella che era nata come una conveniente e sicura ristrutturazione del debito dell’ente, con la promessa di un surplus di 57 milioni di euro, si rivela -nel giro di due anni – un conveniente e sicuro affare per gli istituti, essendosi riservati un illegittimo profitto poco al di sotto di 90 milioni di euro (e perciò confiscato, sei anni più tardi, dal Tribunale di Milano). Tre derivati, tra cui un Credit Default Swap (Cds) mediante il quale il Comune di Milano s’inventa compagnia assicurativa nel caso di fallimento dell’Italia al 2035.
Che la creatività derivata messa in pista dall’amministrazione potesse avere, oltre a commissioni implicite, anche ripercussioni problematiche, se ne accorgono in tre. Il primo è Davide Corritore, del Pd milanese, conoscitore -per professione- del sistema bancario, che nell’estate 2007 deposita tre esposti in Procura; dopodiché si muove la sezione regionale della Corte dei conti, che nel marzo 2008 segnala ai consiglieri di Palazzo Marino che “l’operazione finanziaria conclusa nel giugno 2005 e successivamente oggetto di sei modifiche presenta i profili di criticità”; ultimo, ma non per disattenzione, è il pubblico ministero milanese Alfredo Robledo, che fa rinviare a giudizio banche e funzionari nel marzo 2010. Dopo dodici udienze preliminari e 71 dibattimentali, nel dicembre 2012 il processo, come detto, giunge a sentenza.
Nel febbraio 2013, le 240 pagine a sostegno del dispositivo diventano pubbliche. Dei funzionari condannati, riconoscendo loro le attenuanti generiche, il giudice Oscar Magi scrive: “Hanno certamente commesso i reati che vengono loro contestati , ma lo hanno fatto (e non sembri un paradosso) quasi ‘per dovere’, inseriti in una sorta di coazione professionale”. Perché, aggiunge, “in qualche modo, ‘indotti’ dal clima complessivo”. Longa manus di chi (le banche) ha perfezionato un’“articolata e continuata truffa ai danni dell’ente territoriale”. Lo stesso ente territoriale che, nove mesi prima della storica sentenza del Tribunale, decide però di abbandonare i processi aperti con i quattro istituti di credito, rinunciando al procedimento civile di risarcimento danni e non costituendosi parte civile nel processo penale.
La retromarcia è una tessera di un mosaico milionario chiamato “transazione”. Strategia che prevede che i contendenti smettano di suonarsele nel nome di un punto d’incontro, questa volta conveniente sul serio. Idea che è partorita nella primavera 2012 ma avviata nell’ottobre di un anno prima, quando il direttore generale del Comune di Milano -che si chiama Davide Corritore e non è un omonimo- dà mandato a un pool di legali e consulenti (o advisor) di trovare l’intricata quadra con le banche. Corritore è costretto a guardare fuori dagli uffici comunali, perché, recita la determina dirigenziale con la quale affida l’incarico agli avvocati Valerio Menaldi e Daniele Portinaro, “la complessità della materia e le ricadute […] richiedono professionalità tecnico-legali […] che non sono presenti all’interno dell’amministrazione”. A sostenere -comprensibilmente- che il Comune di Milano non fosse in grado di gestire una pratica transattiva del genere non è solo il direttore Corritore, ma anche Maria Rita Surano, a capo dell’Avvocatura comunale.

Seguiranno mesi intensi e trattative concitate. Parentesi durante la quale gli spigoli, specie quelli del Comune, si smussano. A presentare l’esito è l’allora assessore al Bilancio, Bruno Tabacci (ora alla Camera dei Deputati con Centro Democratico), durante il consiglio comunale del 20 febbraio 2012. Dichiarazione che -riascoltandola- fa trapelare la forza contrattuale degli istituti: “Noi consideriamo che questa operazione sia utile per ricomporre un clima di fiducia e collaborazione tra istituzioni bancarie e finanziarie ed enti locali […]. Credo che non compete a noi determinare sentenze, è nella nostra responsabilità creare condizioni positive con il sistema bancario, anche perché alcuni di questi istituti tra l’altro già operano nel territorio lombardo, e sono protagonisti di finanziamenti di opere di straordinario valore”.

Il saldo dell’accordo ratificato a fine marzo 2012 con le banche curato dagli avvocati Menaldi e Portinaro -affiancati dalla società Calipso spa- è di 474,8 milioni di euro. A determinarlo, il valore di uno dei tre contratti derivati al momento dell’estinzione, l’Interest Rate Swap (Irs) a tasso variabile. Il Cds, valutato in quella fase (inizio 2012) in perdita per 206 milioni di euro (cui vanno aggiunti anche i 159 milioni di euro dello swap di ammortamento), è tenuto in vita. Gli istituti di credito indicano dove mettere i 475 milioni di euro -su quattro conti di ciascuna banca a Londra-, formulano una stima dei costi (o commissioni) dell’operazione -poco meno di 60 milioni di euro- e stabiliscono lo sconto da riconoscere al Comune, pari a 40 milioni di euro.
Il “truffato”, in cambio, abbandona un mese prima il processo.
Contropartita che, a differenza del resto, non trova paternità. Chi abbia determinato quella cifra, come e perché, non è stato possibile stabilirlo. A fornire una risposta ci aveva provato ancora una volta il dg Davide Corritore. Durante il consiglio comunale del 20 febbraio 2012 sosteneva: “Abbiamo fatto una valutazione attenta dei benefici che noi avremmo autonomamente potuto avere dalla causa civile in corso, l’ha fatto la nostra Avvocatura […]”. Tesi confermata dagli stessi advisor, i quali -nell’analisi messa a punto su indicazione di Corritore- anticipavano in premessa che di tutto si sarebbero occupati salvo l’uscita dalle aule: “È stata posta fuori dal perimetro della rivisitazione negoziale […] la parte transattiva afferente al contenzioso per risarcimento danni di natura contrattuale ed extracontrattuale, che è stata definita direttamente dal Comune di Milano”.

Sorge spontaneo domandarsi com’è possibile che lo stesso Comune che pochi mesi prima si è autodefinito incompetente, abbia potuto preoccuparsi di un tassello così importante. Anche perché, avendola letta, quella che Corritore definiva “valutazione attenta” non è altro che un documento di due fogli A4, firmato dall’avvocatessa Maria Rita Surano, la stessa che co-firmava l’autosfiducia l’ottobre precedente. Se l’avvocato capo avesse accettato di rispondere alle domande di Ae, avremmo sollevato anche un’altra questione. All’interno della “valutazione attenta” composta da due pagine, si legge: “La causa civile pendente avanti il Tribunale di Milano è attualmente sospesa in attesa della decisione della Corte di Cassazione sul Regolamento Preventivo di Giurisdizione proposto da banca JP Morgan, che sostiene la competenza del giudice inglese e il difetto di giurisdizione del giudice italiano”.
È il febbraio 2012 e quella decisione è arrivata quattro mesi prima: a favore della nostra giurisdizione e dunque del Comune di Milano.
Il quale, però, non se ne accorge. Il direttore Corritore, pur disponibile, non ha potuto rilasciare alcuna intervista perché tenuto a rispettare la clausola di riservatezza prevista in quello che ha definito al telefono una “incontestabile vittoria”. Accordo che Altreconomia ha visionato, prendendo atto che “il Comune espressamente si impegnerà a non descrivere l’accordo transattivo in alcuna comunicazione interna o a terzi (incluse agenzie ed organi governativi), come un pagamento delle banche a titolo di risarcimento di qualsivoglia illecito o responsabilità delle banche”. E che “qualora il Comune e/o qualsiasi banca nelle persone dei propri rappresentanti legali intendano rilasciare ulteriori comunicati stampa dopo il primo, si assicureranno che tali successivi comunicati stampa siano coerenti con quello originale congiunto, ne informeranno tutte le altre parti e mostreranno loro anticipatamente la bozza di comunicato stampa”. Perché la banca, in fondo, comanda e vince sempre. E non per insipienza degli amministratori o mala fede. Riesce a farlo nel nome della legge.
Le pene comminate ai funzionari non oltrepassano infatti gli 8 mesi e 15 giorni. La multa più salata non supera i novanta euro.
E nonostante il giudice Oscar Magi dia conto della manifesta responsabilità dei vertici -“esistono numerose evidenze documentali che inducono a ritenere che ai fatti  di causa abbiano partecipato, sicuramente, perlomeno i ‘managing directors’, i ‘legal counsel’, i ‘Vice President’ degli istituti”- nessuna delle quattro banche è stata inibita dalla possibilità di contrattare con la Pubblica amministrazione. A determinare la sanzione è l’aver realizzato o meno un “profitto di rilevante entità”.
I 24,7 milioni di euro che, nel caso di JP Morgan, il Tribunale ha stabilito esser frutto della truffa, non possono essere ritenuti “rilevanti”, perché -si adegua Magi- “costituiscono una parte molto limitata dei profitti annuali” (JP Morgan nel 2012 ha avuto profitti netti del valore di 21,3 miliardi di dollari).
Perché non solo sei troppo grande per poter fallire. Sei troppo grande per poter perdere. —

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 La videointervista a Duccio Facchini a cura di Arcipelago Milano


 

La replica, sempre ad Arcipelago Milano, del Dg del Comune di Milano, Davide Corritore

 

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