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La Banca mondiale lascia il progetto dell’oleodotto Ciad-Camerun

La World Bank ritira il finanziamento a un progetto controverso, il lungo oleodotto Ciad-Camerun. Luca Manes della Campagna per la riforma della Banca mondiale, autore per Ae del nuovo libro “La Banca dei ricchi” con Antonio Tricarico, spiega perché questa decisione, per quanto importante, non rappresenti un passo in avanti per le popolazioni locali e le Ong che si battono contro la politica energetica della Banca.  

La Banca mondiale ha deciso di terminare il finanziamento per l’oleodotto Ciad-Camerun, causa prolungati ed evidentemente non risolti dissidi con il governo di N’Djamena, pretendendo da questo il ripagamento anticipato di tutto il prestito di 140 milioni. L’esecutivo ciadiano, infatti, continua a non rispettare l’accordo preso con i banchieri di Washington per destinare una parte dei proventi derivanti dallo sfruttamento petrolifero a un fondo per combattere la povertà che da anni attanaglia il Paese.

Con gli stessi proventi del petrolio -ben 1,4 miliardi di dollari solo nel 2008- N’Djamena ha facilmente saldato i banchieri di Washington. In realtà, non è la prima volta che la World Bank ha ripensato l’erogazione di fondi per l’opera che da anni sbandiera come il suo fiore all’occhiello nel settore dello sfruttamento dei combustibili fossili. Già al principio del 2006, l’allora presidente Paul Wolfowitz aveva fatto la voce grossa con il presidente ciadiano Idriss Deby, accusato di aver “spostato” le royalty del greggio dalle spese sociali a quelle per l’acquisto di armi. Poi, nel lungo braccio di ferro tra Wolfowitz e Deby, fu quest’ultimo ad avere l’ultima parola, dopo nemmeno troppo velate minacce di bloccare i flussi di greggio in uscita dal Paese africano.

Ora la storia si è ripetuta ed in maniera definitiva. Deby, a detta della dirigenza della World Bank, continua a “dimenticare” di aver sottoscritto un accordo per la creazione dei cosiddetti fondi sociali, preferendo acquistare armamenti per il suo esercito, impegnato a combattere le forze ribelli sostenute dal vicino Sudan.

È vergognoso, però, che la Banca pensi solo alla sua reputazione e si tiri fuori così da una storia che lascia sul campo distruzione sociale e ambientale e più povertà. La Banca mondiale, infatti, è da sempre il primo sponsor politico e finanziario del mega-oleodotto, lungo 1.070 chilometri, gestito da un consorzio di cui fanno parte la ExxonMobil, la ChevronTexaco e la Petronas. In totale il più grande investimento nel settore petrolifero operato in Africa negli ultimi anni è costato ben 4,2 miliardi di dollari -il contributo della Banca ammonta a oltre 400 milioni-. Purtroppo la World Bank fin dalla fase di progettazione della pipeline ha ignorato l’allarme delle popolazioni locali e di numerose Ong africane e del resto del mondo, preoccupate per i pesanti impatti ambientali ma anche sui diritti umani che il Ciad-Camerun avrebbe comportato -impatti che si sono puntualmente verificati-.

Il modello di sviluppo basato sullo sfruttamento petrolifero a solo vantaggio delle multinazionali del Nord del mondo e delle élite locali è ancora una volta miseramente fallito, nel pieno dell’impunità anche per i banchieri di Washington. Ma il nuovo presidente Robert Zoellick per adesso non ne vuole sapere, proseguendo a promuovere ricette vecchie dove le energie rinnovabili finiscono sempre per soccombere a vantaggio dei combustibili fossili.

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