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La banalità di una crisi

L’improvviso svanire della fiducia tra banche spavalde ha causato il disastro finanziario di questi mesi. Che presto si riverserà sull’economia reale, e sulla vita di tutti noi

Tratto da Altreconomia 99 — Novembre 2008

Dev’essere accaduto qualcosa del genere. Una mattina come tante un broker, uno di quegli specialisti del mercato finanziario, butta un occhio su uno dei mille dati che affollano la sua scrivania. Il grafico mostra un tasso di insolvenza dei mutui subprime al di sopra della media, e in crescita. Ovvio, dovrebbe pensare, quel tipo di mutui viene concesso a clientela scadente, ed è proprio per questo che ha tassi di interesse più alti, perché è più rischioso. La voce interiore tuttavia non basta a scacciare dalla testa del broker il tarlo che la montagna di mutui raccattati dappertutto, polverizzati, riassemblati nei titoli più sofisticati e sparsi per il pianeta, non sia proprio l’investimento più sicuro al mondo. Succede così: di colpo passa il sorriso e quei meccanismi che sulle ali dell’entusiasmo sembravano eterni si inceppano per un niente.
Gli operatori ritrovano la ragione, cominciano a guardare con diffidenza ciò che fino al giorno prima consideravano merce di prima qualità. A questo punto il gioco si ferma, e qualcuno si ritrova tra le mani una massa di attività che nessuno vuole più.
Ecco, la crisi finanziaria che viviamo in questi mesi, la peggiore della storia -stando alle parole dei vertici delle maggiori istituzioni planetarie-, deve aver avuto questa genesi. Banale e terrificante. Una crisi delle banche, una crisi di fiducia. Da un giorno all’altro nessuno si è fidato più di nessuno.
O meglio, le banche non hanno più avuto fiducia delle altre banche. L’indicatore di questa dinamica si chiama mercato interbancario: negli ultimi mesi del 2008 i volumi scambiati tra le banche si sono dimezzati, mentre il costo del denaro, prima pressoché appiattito sui tassi di riferimento, è salito alle stelle. In mancanza di fiducia diventa impossibile dare un prezzo certo ad attività così complesse e così poco trasparenti, e si rischia di finire con il cerino in mano, con un portafoglio pieno di titoli che hanno un loro valore, ma nessuno vuole (anche gli stessi mutui subprime non sarebbero da buttare, se solo fossero stati trattati come quello che sono: prestiti ad alto rischio).
Insomma, tutti fermi e guardinghi.
Il guaio è che gli istituti di credito, le banche d’affari, i fondi comuni d’investimento, non possono permettersi di tenere titoli in cassaforte, ma devono continuamente usarli per far quadrare ogni giorno una ragnatela enorme di scambi. Basta quindi che una certa quantità dei titoli in portafoglio sia sospetta, e quindi in quel momento invendibile, per precipitare nell’illiquidità, l’incubo di ogni banchiere. Semplicemente mancano i soldi freschi per arrivare a fine giornata, e tutti sanno che tendere una mano può voler dire restare impantanati.
È questo che è accaduto a Lehman Brothers. E il fallimento di una delle banche più grandi del mondo ha allargato il cerchio dei titoli sospetti, mettendo in serio pericolo la fiducia nella stabilità del sistema. È quello che è accaduto alle banche islandesi, parecchio esposte su questo settore, innescando una crisi che rischia di trascinare di colpo l’intero Paese verso il baratro.
In casa nostra, anche la banca maggiormente internazionalizzata -e con esposizioni nel comparto mutui nella componente austriaca- Unicredit, è stata colpita da questa ondata di sfiducia.
Ma problemi di liquidità per le banche vuol dire richiesta di rientro dai finanziamenti o comunque restrizione del credito, e quindi fallimenti di imprese, minore crescita, disoccupazione, che a loro volta deprimono la domanda e quindi anche i profitti delle banche che contraggono ancora di più il credito. In gergo si chiama acceleratore finanziario: il canale creditizio che amplifica le fluttuazioni economiche, ed è il motivo per cui anche chi non ha investito soldi in azioni Unicredit o persino chi non ha nemmeno un conto in banca ha un motivo per preoccuparsi.
Le contromisure ci sono state, ed hanno probabilmente evitato un effetto di contagio che poteva avere effetti disastrosi.
L’Italia, con il decreto in vigore dal 9 ottobre, ha previsto la possibilità di una ricapitalizzazione delle banche in difficoltà. Si tratta però solo di una dichiarazione di intenti: nel caso in cui si avesse il tracollo di giganti del calibro di Unicredit, che probabilmente porterebbe con sé il resto del sistema bancario, nessun Paese avrebbe la forza di resistere, tanto meno l’Italia, che negli ultimi anni è arrivata a vendere non solo le imprese, ma addirittura le aree demaniali per cercare di far cassa.
Pensare positivo e lasciare i soldi sul conto, è l’unico modo per evitare il panico agli sportelli. La realtà è che il sistema, che a prima vista può sembrare irrazionale, continua di fatto a generare spostamenti di ricchezza tra chi ha soldi e informazione e chi non li ha. Forse sarà il caso di pensarci, quando, in un clima di nuova euforia, tra due anni un nuovo broker in giacca e cravatta busserà alla porta per venderci un nuovo, miracoloso, prodotto finanziario.

Il commento
di Francesco Gesualdi
Dopo l’incredulità e la rabbia, ora consentiteci di piangere. Non per i soldi pubblici che perderemo o per l’aumento del debito pubblico che utilizzeranno per toglierci anche l’ultimo servizio rimasto, ma per la dignità collettiva stropicciata come uno straccio. Povero popolo: disinformato, raggirato, deriso. Così si applica la democrazia nel terzo millennio.
Quando è scoppiata la crisi, l’informazione è stata orchestrata affinché l’attenzione si concentrasse solo sulla necessità di salvare le banche. Di sicuro bisognava invitare alla calma, bisognava evitare che la gente si facesse prendere dal panico e si precipitasse a ritirare i propri depositi.
Ma è scandaloso che non si sia fatto niente per aiutare la gente a capire che cosa c’era alla base del terremoto che stava facendo cadere come pere cotte vari colossi bancari. La telecamera sempre puntata sulla Borsa, ormai ritenuta l’autorità suprema che ha potere di vita o di morte sulle scelte politiche, i mass-media hanno presentato la vicenda come una partita di calcio: da una parte l’esorcista, dall’altra la paura, abile mossa per distogliere l’attenzione dal cadavere e soprattutto dalla mano assassina. Così funziona la nostra morale: punizione esemplare per il ladruncolo che ruba la mela, insabbiamento e protezione per banchieri e affaristi che fabbricano trappole finanziarie capaci di mandare a ramengo l’intera struttura bancaria mondiale. La solita vecchia ipocrisia di un sistema che punta il dito contro accattoni, ubriachi, ladruncoli, puttane e offre protezione a chi compie uccisioni e ruberie di massa. Immigrati, poveri e straccioni indicati come gli untori che seminano la peste, capri espiatori contro i quali scaricare l’odio, la rabbia, la paura collettiva, mentre i banditi in giacca e cravatta sono rispettati, osannati, messi nei posti di comando per rubare meglio i nostri risparmi, le nostre tasse, i nostri posti di lavoro, la nostra serenità. Attacco al disordine apparente per distogliere l’attenzione dal marciume profondo.
Solo l’ignoranza fa sì che un sistema basato sul furto riesca a stare in piedi col sostegno dei derubati. Fermata la valanga di fallimenti bancari, la gente tirerà un sospiro di sollievo e continuerà a percepire questo sistema come il migliore dei mondi possibili perché ha dato pure prova di sapersi tirare fuori dai guai. Le persone non devono sapere, non devono capire, non devono neanche sospettare. Devono rimanere ignoranti: per questo la scuola è sotto attacco, i giornali contro corrente sono colpiti alle gambe, la proprietà dei maggiori quotidiani e televisioni è tenuta saldamente nelle mani delle imprese.
Solo l’ignoranza ha consentito di fare passare il terremoto finanziario come un capriccio della natura lasciando che i responsabili rimanessero in libertà a godersi il frutto delle loro ruberie e a progettarne di nuove. Solo l’ignoranza ha consentito a chi ci governa di uscire indenne dalla bufera sebbene il disastro sia stato reso possibile dalla deregolamentazione introdotta dall’ubriacatura liberista. Solo l’ignoranza ha consentito a un sistema che fino a ieri lanciava fulmini e saette contro l’intervento dello Stato, di non essere messo sotto accusa quando ha utilizzato il denaro pubblico per entrare nel capitale delle banche, addirittura nazionalizzarle. Solo l’ignoranza ha consentito a governi che in nome del risanamento del debito pubblico stanno chiudendo scuole, stanno azzoppando il sistema sanitario, stanno privatizzando tutto il privatizzabile, stanno demolendo il sistema pensionistico, di non beccarsi neppure una critica, quando hanno stanziato miliardi e miliardi (nessuno sa quanti) per salvare le banche malgestite. Nessuno che chieda da dove vengono questi soldi sempre negati per le spese sociali. Nessuno che si preoccupa delle ricadute su tasse e spese future, perché è certo che il debito pubblico aumenterà e ne approfitteranno per demolire ulteriormente lo Stato sociale e spogliare del tutto lo Stato delle sue proprietà. Povero popolo trasformato in pecore con la testa sempre bassa, intente solo a brucare. Noi non demorderemo, faremo la nostra parte per suonare la sveglia, fornire strumenti di comprensione, organizzare la resistenza, indicare nuovi orizzonti. Ma intanto lasciateci piangere, anche il dolore vuole il suo sfogo.

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