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Cultura e scienza / Opinioni

Il Paese può salvarsi grazie a “quel che resta”

L’antropologo Vito Teti ha scritto un “manifesto” per un nuovo rapporto tra passato e presente, centro e periferie. Non è nostalgia, è riscatto

Tratto da Altreconomia 200 — Gennaio 2018

Questa rubrica trae il suo titolo da quello di un libro di Carlo Levi del 1960. Come sempre, e come soprattutto nel Cristo si è fermato a Eboli e prima ancora in Paura della libertà, anche in Un volto che ci somiglia Levi era capace di ritessere i fili che legano al presente un passato ancora vivo. Per dirla con le parole di Italo Calvino, Levi è “il testimone della presenza d’un altro tempo all’interno del nostro tempo, è l’ambasciatore di un altro mondo all’interno del nostro mondo”. È per questo che queste righe sono il luogo giusto in cui consigliare, nel modo più caloroso, di leggere Quel che resta. L’Italia dei paesi tra abbandoni e ritorni (Donzelli 2017) dell’antropologo Vito Teti: che è il denso, coltissimo e appassionato manifesto di un altro modo di intendere il rapporto tra passato e presente, tra centro e periferie, tra comunità locali e Stato, tra Mezzogiorno e nazione italiana.

È un libro urgente: politico nel senso più alto e più letterale, perché è un libro che forgia strumenti nuovi per ripensare la città e la comunità. È anche un testo profondamente poetico, una sorta di celebrazione del valore costruttivo della nostalgia. Riprendendo un filo di pensiero altissimo (quello, per esempio, del Cristo si è fermato a Eboli di Carlo Levi), Teti non ci dice cosa dobbiamo fare per salvare “quel che resta” (cioè il passato che è ancora tra noi), ma ci spiega perché “quel che resta” può salvare un presente integrato e sicuro di sé. Chiudendo il racconto del suo incontro con una comunità di clarisse che ha deciso di vivere la propria clausura in Calabria, egli scrive di come “la richiesta di aiuto si è miracolosamente trasformata in offerta di aiuto”.

È ciò che ci accade quando ci chiediamo come possiamo aiutare “quel che resta”: perché allora scopriamo che è quel che resta che può invece salvare noi. Sono le aree interne a poter salvare le grandi città e i conglomerati urbani delle coste: è ciò che è povero a poter salvare ciò che è ricco. Perché, come ha scritto Pasolini, la ricerca di ciò che è superfluo finisce col rendere superflua la vita.

È un libro, questo di Teti, che può cambiare anche radicalmente la prospettiva morale ed intellettuale di chi legge: insegnando a “cercare ciò che resta, che resiste, che è solido e che parla proprio tra gli avanzi, gli scarti, i margini, le periferie inventate dalla modernità devastante e violenta”. Ha scritto Platone che “il passato è come una divinità che, quando è presente tra gli uomini, salva tutto ciò che esiste”. Ecco, Quel che resta ci spiega come questo può ancora accadere: perché, e sono le parole finali del suo libro, “ogni frammento della casa e del corpo del passato può essere adottato, salvato, adoperato per nuove costruzioni”.

Antonio Gramsci ha scritto che l’idolo più difficile da abbattere è la convinzione che tutto ciò che esiste, è naturale che esista. A questa deificazione di un presente totalitario, oggi più che mai opprimente, Teti oppone una alternativa concreta:  “Cercare l’utopia nel passato non significa essere nostalgici di una felicità perduta, ma rintracciare piccole isole di intimità nel mare della sofferenza. Il passato può e deve essere riscattato come un universo, un mondo sommerso di potenzialità diverse, non compiute, ma suscettibili di future realizzazioni. Un riscatto, un risarcimento, una restituzione che diventano un esercizio morale attraverso cui pensare il presente non nella forma di ‘quello che è’ ma nei termini di ‘quello che potrebbe essere’”.

Tomaso Montanari è professore ordinario di Storia dell’arte moderna all’Università di Napoli. Da marzo 2017 è presidente di Libertà e Giustizia

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