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L’Italia vota contro la messa al bando delle armi nucleari

1946: test nucleare statunitense a Bikini, atollo delle isole Marshall, nel Pacifico - © US Government

Il 27 ottobre le Nazioni Unite hanno votato a larga maggioranza di avviare a marzo 2017 i negoziati per un trattato che preveda la messa al bando di questo tipo di ordigni, ma il nostro Paese è tra quelli che non appoggiano la Risoluzione. L’esecutivo Renzi appoggia così la posizione degli Stati Uniti d’America, alleato NATO, uno dei nove al mondo che detiene questi sistemi d’arma

Giovedì 27 ottobre 2016, il Primo comitato sul disarmo dell’Assemblea ONU di New York ha deliberato l’avvio di un percorso verso un Trattato di messa al bando degli ordigni nucleari per il 2017. Le Nazioni Unite hanno adottato a larga maggioranza -123 i Paesi favorevoli- una Risoluzione politica che chiede di avviare nei prossimi mesi i negoziati per un Trattato volto a vietare questo tipo di armi. Una decisione che pone fine a due decenni di paralisi negli sforzi multilaterali per il disarmo nucleare.

Tra i 38 Paesi che hanno votato contro, c’è anche l’Italia. 16, invece, gli Stati che si sono astenuti. La risoluzione (denominata L.41) fissa un Conferenza tematica delle Nazioni Unite a partire dal marzo del prossimo anno: una riunione aperta a tutti gli Stati membri con il fine di negoziare uno “strumento giuridicamente vincolante per vietare le armi nucleari, che porti verso la loro eliminazione totale”. I negoziati a riguardo continueranno poi nel mese di giugno e luglio del 2017.

La Campagna internazionale per l’abolizione delle armi nucleari (ICAN), coalizione mondiale della società civile attiva in 100 Paesi, di cui fa parte la Rete italiana per il Disarmo, ha salutato l’approvazione della Risoluzione come un importante passo in avanti. “Per sette decenni l’ONU ha messo in guardia contro i pericoli dell’arma nucleare e tantissime persone ed organizzazioni nel mondo hanno portato avanti campagne per la loro abolizione. Oggi la maggior parte degli Stati ha deliberato di bandire queste armi” ha commentato Beatrice Fihn, Direttore esecutivo di ICAN.

57 nazioni sono stati co-sponsor (cioè primi firmatari) del testo proposto, con Austria, Brasile, Irlanda, Messico, Nigeria e Sud Africa ad essersi assunti il compito di redigere concretamente la Risoluzione. Il voto delle Nazioni Unite è avvenuto solo poche ore dopo l’adozione da parte del Parlamento Europeo di una propria risoluzione su questo tema: 415 voti favorevoli (con 124 contro e 74 astensioni) ad un invito verso tutti gli Stati membri dell’Unione europea a “partecipare in modo costruttivo” ai negoziati del prossimo anno.
Un invito non raccolto dall’Italia che si è schierata contro la Risoluzione L.41 continuando a sostenere la posizione degli Stati Uniti e di tutte le altre potenze nucleari. L’Italia, a seguito degli accordi di cosiddetto “Nuclear Sharing” in ambito NATO, ospita sul proprio territorio ordigni di tale natura.

“Un Trattato per la messa al bando delle armi nucleari che non veda tra i propri membri le potenze nucleari non sarà sufficiente per realizzare davvero un disarmo pieno -commenta Lisa Clark, dei Beati i costruttori di pace-. Dobbiamo quindi prepararci un nuovo e lungo duplice lavoro. Da un lato portare avanti, a partire dall’anno prossimo, i lavori per il Trattato di messa al bando; dall’altro trasformare questo lavoro in un enorme movimento che entri dentro i meccanismi governativi delle potenze nucleari, facendo loro capire che quelle armi nei loro arsenali non sono il simbolo della loro potenza, ma solo la medaglia della vergogna che contraddistingue gli stati canaglia”.

Le armi nucleari rimangono le uniche armi di distruzione di massa non ancora fuori legge in modo globale e universale nonostante i loro catastrofici impatti ambientali e umanitari, ben chiari e documentati. “Un Trattato che vieti le armi nucleari rafforzerebbe la norma globale contro l’uso e il possesso di queste armi, già presente nel Trattato di non proliferazione, chiudendo le principali lacune del regime giuridico internazionale esistente e stimolando un’azione di disarmo che per molto tempo si è bloccata”, ha aggiunto a margine della riunione Beatrice Fihn di ICAN. “Il voto di oggi dimostra molto chiaramente che la maggior parte delle nazioni del mondo considera necessario, possibile e urgente un divieto chiaro di esistenza e possesso di armi nucleari. Tali Paesi vedono questa come l’opzione più praticabile per ottenere un reale progresso sul disarmo globale”.

Le armi biologiche, armi chimiche, mine antiuomo e bombe a grappolo sono tipologie di ordigni tutte esplicitamente proibite dal diritto internazionale. Attualmente per le armi nucleari esistono invece solo divieti parziali. Il disarmo nucleare è stata una delle priorità delle Nazioni Unite sin dalla creazione dell’Organizzazione nel 1945. Gli sforzi per far avanzare questo obiettivo fondamentale si sono fortemente rallentate negli ultimi anni, con le potenze nucleari che hanno deciso di investire pesantemente nella modernizzazione dei propri arsenali. Ci sono ancora più di 15.000 armi nucleari attualmente nel mondo, in particolare negli arsenali di appena due nazioni: gli Stati Uniti e la Russia. Sette altri Stati possiedono armi nucleari: Gran Bretagna, Francia, Cina, Israele, India, Pakistan e Corea del Nord.

La maggior parte delle nove nazioni nucleari hanno votato contro la risoluzione Onu. Molti dei loro alleati, compresa l’Italia e gli altri Paesi in Europa che ospitano armi nucleari sul loro territorio come parte di un accordo NATO, non hanno sostenuto la risoluzione L.41. Ma le nazioni dell’Africa, dell’America Latina, dei Caraibi, del Sud-Est asiatico e del Pacifico hanno votato a grande maggioranza e ritorneranno ad essere protagonisti in occasione della Conferenza di negoziazione a New York il prossimo anno.

Lunedì scorso, 15 vincitori del premio Nobel per la Pace hanno esortato le nazioni a sostenere i negoziati auspicando “una conclusione tempestiva e di successo in modo che si possa procedere rapidamente verso l’eliminazione finale di questa minaccia esistenziale per l’umanità”.

“Questo Trattato non riuscirà ad eliminare istantaneamente e con la bacchetta magica tutte le armi nucleari -ha concluso Beatrice Fihn-. Ma con esso si stabilirà un nuovo standard giuridico internazionale potente, che andrà a stigmatizzare le armi nucleari spingendo le nazioni ad intervenire con positiva urgenza nei processi di disarmo”.
In particolare il Trattato metterà grande pressione sulle nazioni, come l’Italia, che ricevono qualche forma di protezione dalle armi nucleari di un proprio alleato: uno stimolo ulteriore a porre fine a questo tipo di politica, che potrà avere come ulteriore risultato una spinta al disarmo completo degli attuali Paesi nucleari.

Il governo italiano e l’export di armi in Arabia
L’Italia ha dimostrato anche in questa occasione una “propensione alle armi”, come già aveva fatto il 26 ottobre il ministro degli Esteri Paolo Gentiloni, chiamato a rispondere in merito alle esportazioni di materiali d’armamento verso l’Arabia Saudita. Gentili ha risposto sostenendo che gli unici divieti che porrebbe la legge 185 del 1990, che regolamenta la materia, sarebbero derivanti da decisioni di embargo, sanzione o restrizione internazionale nel settore delle vendite di armi.
Rete italiana per il Disarmo, però, ricorda che il ministro dovrebbe sapere che la legge non solo vieta le esportazioni di armamenti a Paesi sottoposti a forme di embargo, ma che l’esportazione “di materiale di armamento nonché la cessione delle relative licenze di produzione devono essere conformi alla politica estera e di difesa dell’Italia” e che “tali operazioni vengono regolamentate dallo Stato secondo i principi della Costituzione repubblicana che ripudia la guerra come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali”; la Legge vieta inoltre specificamente l’esportazione di materiali di armamento “verso i Paesi in stato di conflitto armato, in contrasto con i principi dell’articolo 51 della Carta delle Nazioni Unite, fatto salvo il rispetto degli obblighi internazionali dell’Italia o le diverse deliberazioni del Consiglio dei ministri, da adottare previo parere delle Camere”, nonché “verso Paesi la cui politica contrasti con i principi dell’articolo 11 della Costituzione”. “Il ministro degli Esteri ha correttamente affermato che nei confronti dell’Arabia Saudita non esistono sanzioni di embargo sulle armi -spiega un comunicato di Rete italiana Disarmo-, ma ha taciuto la Risoluzione del Parlamento europeo, votata ad ampia maggioranza lo scorso 25 febbraio, con la quale l’assemblea di Bruxelles ha chiesto all’Alta rappresentante dell’Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza/Vicepresidente della Commissione, Federica Mogherini, di ‘avviare un’iniziativa finalizzata all’imposizione da parte dell’UE di un embargo sulle armi nei confronti dell’Arabia Saudita’, ciò alla luce delle gravi accuse di violazione del diritto umanitario internazionale perpetrate dall’Arabia Saudita in Yemen.

Una risoluzione che è rimasta inattuata anche per la mancanza di sostegno da parte del Governo italiano. “Porteremo le affermazioni di Gentiloni all’attenzione del vice-procuratore di Brescia, Fabio Salamone, che ha aperto un’inchiesta sulle spedizioni dall’Italia di materiali d’armamento destinate alle forze armate della monarchia saudita” sottolinea Rete Disarmo.

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