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Inverni artificiali – Ae 79

Il clima cambia e la neve scompare dalle montagne italiane: sulla maggior parte delle piste è finta. L’acqua utilizzata basterebbe per dissetare una città di un milione di abitanti I bambini di qualche decennio fa spargevano farina bianca sul muschio…

Tratto da Altreconomia 79 — Gennaio 2007

Il clima cambia e la neve scompare dalle montagne italiane: sulla maggior parte delle piste è finta. L’acqua utilizzata basterebbe per dissetare una città di un milione di abitanti


I bambini di qualche decennio fa spargevano farina bianca sul muschio del presepe. I bambini di adesso conoscono un’altra neve falsa: quella su cui sciano in montagna. Da vent’anni le precipitazioni nevose si fanno desiderare, eppure sempre più persone fanno la settimana o i week-end bianchi. Come questo sia possibile, e a livello mondiale, lo spiega in modo asettico il portale della Società chimica americana, Chemistry: “Attualmente c’è in giro più neve congelata dalle macchine a partire dall’acqua che neve scesa dal cielo”.  

Per la cronaca, fu nel Connecticut che per la prima volta, nel 1948, il signor Shoenknecht ebbe l’idea di fare il riportino a piste sguarnite.



Le minori nevicate -le precipitazioni si dimezzeranno ulteriormente nei prossimi decenni- sono uno degli effetti del riscaldamento climatico imputabile alle attività umane, e dunque anche agli sport sulla neve, che di energia ne consumano parecchia. Lo spiega bene il rapporto del Wwf “Alpi e turismo: trovare il punto di equilibrio”, sull’impatto del turismo (soprattutto) invernale sulle Alpi. Pesante è l’impatto ambientale dato dalle strutture fisse: drastici cambiamenti nell’uso del suolo per far passare le larghe piste, con possibile dissesto idrogeologico; strade di collegamento e piazzali con elevati volumi di traffico; tralicci e funi degli impianti di risalita, impianti di illuminazione, strutture indotte, alberghi. E poi i danneggiamenti, i rifiuti, le deiezioni, le emissioni, i contaminanti di una massa di sciatori. L’altro aspetto fondamentale è il conto dell’energia per gli impianti -compresa la feroce illuminazione- e l’ospitalità.  



In tutto questo l’innevamento artificiale, più delicatamente chiamato “innevamento tecnico”, è diventato una necessità per quegli impianti sciistici abbastanza ricchi da potersene permettere il costo. Spiega Mirco Demetz, amministratore dell’impresa bolzanina Demac specializzata in “generatori di neve” e relativi impianti: “Il 70 per cento delle superfici sciabili italiane -soprattutto sulle Alpi- sono predisposte per l’innevamento, il residuo 30 per cento sono impianti piccoli e non molto frequentati. Ma il bisogno ci sarebbe ormai dovunque”. Per tre ragioni oltre alla carenza della neve vera, spiega: anticipare l’inizio della stagione (bisognerebbe aspettare fino a metà dicembre, così invece si aprono gli impianti in novembre); allungare la stagione di almeno un mese, dunque fino a fine marzo grazie al fatto che la neve artificiale è più compatta; proteggere il manto erboso, perché nei dossi e nelle parti esposte al vento la neve naturale se ne va con le sciate e spesso si finisce sul verde.  



Macché protezione, dicono gli ambientalisti: la neve artificiale è più densa dell’altra e dura di più, così in primavera le piste dovranno smaltire più acqua, con gran pericolo di erosione e dissesti di versante, vista l’assenza degli alberi là dove si scia. E le strutture -captazione dell’acqua e serbatoi, pompe, tubazioni, punti di prelievo, capannoni, compressori, impianti elettrici, impianti di refrigerazione, innevatori- provocano ferite aperte lungo i pendii, alterazioni degli equilibri del suolo spesso irrimediabili.



L’acqua “pubblica a uso industriale” che l’impianto trasforma in neve viene pescata direttamente dai torrenti, o da sorgenti private, o da laghi artificiali costruiti appositamente. Ne occorre tanta, per una destinazione così superflua:  in genere un metro cubo di acqua produce 2,5 metri cubi di neve, che vanno “spalmati” sulla pista con uno spessore di 30 centimetri e dunque coprono pochi metri quadrati. In un inverno “finto bianco” sulle Alpi si usa più acqua di una città in un anno. Il bilancio idrico del territorio nel quale si trovano le piste da sci dovrebbe essere obbligatorio. Non è indifferente poi l’investimento energetico: un grosso cannone ciuccia 23 kW di energia; ma poniamo che sia di origine idroelettrica e dunque non provochi emissioni di gas serra. Gli enti locali latitano e l’unico esempio di controllo pubblico effettivo -almeno sulla qualità dell’acqua e sul suo uso razionale, con massimali per ettaro da non superare- è offerto dalla Provincia autonoma di Bolzano.   



In ogni caso la neve artificiale incentiva lo sci insostenibile, hollywoodiano e fantozziano insieme: rendendolo possibile in stagioni e ad altezze inadatte.

“Ma se va avanti così, con queste temperature elevate, non si riuscirà più a produrre nemmeno la neve artificiale” dice Marco Demetz. La sua ditta, buon per lei, annuncia di aver trovato nuovi partner commerciali nei mercati emergenti Cina, Corea del Sud e Russia. Segno che l’aspirazione allo sci modaiolo e i black-out di neve ci sono anche là.



In Italia il “bisogno” e al tempo stesso le difficoltà dell’innevamento sono una spia del disastro, per ora climatico e ambientale ma presto anche economico. Mountain Wilderness Svizzera sta facendo il censimento dei tanti impianti dismessi, piloni, fondamenta di cemento e altri orrori da sradicare. Nel Tirolo austriaco sarà più difficile avere permessi per funivie e impianti, e uno dei criteri di ammissione sarà la certezza della neve.



Il Wwf chiede la riconversione delle attività turistiche invernali al di sotto dei 1.500 metri, con l’esclusione di ogni nuova concessione sotto quell’altitudine.

E al di sopra, esige verifiche ambientali e la tutela obbligatoria dei regimi ideologici naturali. La “palla” è soprattutto nelle mani degli enti locali.





Riconvertire è possibile

Nel 1994 l’assessorato all’Ambiente di Immenstadt, in Germania, doveva decidere se modernizzare e ampliare l’impianto sciistico di Gschwender Horn o smantellarlo. Da alcuni anni non era più possibile una gestione redditizia dell’impianto, tra inverni scarsamente innevati e sciatori spostatisi verso grandi impianti con l’innevamento assicurato.

La città di Immenstadt, che aveva affittato l’impianto a una società di gestione privata, decise però di imboccare una strada del tutto nuova, adottando una procedura esemplare: la montagna doveva essere restituita alla natura. Fin dall’inizio era chiaro che ogni paesaggio culturale vive grazie all’utilizzo; si trattava quindi di elaborare un programma che potesse conciliare, dopo lo smantellamento delle infrastrutture, i diversi interessi rivolti al mondo della montagna.



Il comprensorio sciistico aveva una superficie complessiva di circa 120 ettari, di cui 40 ettari di piste, e si trovava a un’altitudine compresa fra 850 e 1.450 metri. Le infrastrutture turistiche (piloni, cavi, fondamenta, edifici) sono state smantellate nel giro di pochi mesi e con modalità il più possibile sostenibili, con la collaborazione di agricoltori e aziende locali. Poi, dopo la bonifica delle tracce inquinanti, i tagli nel bosco dove passava lo skilift sono stati rimboschiti con specie autoctone: abete rosso, abete bianco, faggio, acero di monte, olmo, e -più in alto- sorbo degli uccellatori, sorbo montano e ontano montano.

Dopo sono stati recuperati percorsi escursionistici e per il turismo naturalistico, e sono state create aree prive di disturbo per diverse specie (cervo, camoscio, gallo cedrone, francolino di monte), in particolare per il periodo invernale.



Il bilancio è soddisfacente: fine dei rumori, degli agenti inquinanti e dei danni alla vegetazione legati a un impianto sciistico; riduzione del disturbo alla fauna con un piano di orientamento dei visitatori e la segnalazione di possibilità di percorsi rispettosi dell’ambiente naturale; istituzione di aree di quiete. Dopo 30 anni l’area del Gschwender Hom è tornata a forme di utilizzo compatibili con l’ambiente, in cui convivono con dinamiche naturali attività ricreative, pratica dell’alpeggio, selvicoltura e la funzione di habitat per la fauna selvatica. Una riconversione necessaria, bella e possibile.



L’esempio è descritto nel dossier del Wwf su Alpi e turismo, con l’obiettivo di fornire assistenza per le decisioni relative a casi simili in altri comuni delle Alpi, rendendo possibile uno sviluppo turistico durevole e rispettoso dell’ambiente.





Mini guida allo sci critico

C’era una volta un modo di fare sci senza impatto. Persone che partivano in bicicletta dalla città, calzavano scarponi sci e quant’altro, cominciavano a salire, e forse a mezzogiorno iniziavano la discesa. Il costo energetico era solo quello animale. E adesso?

1. Neve vera dove? Il 70 per cento degli impianti sciistici hanno i cannoni sparaneve; si vedono arrivando.  

Quelli che non hanno l’impianto o non se lo possono permettere oppure non ne hanno bisogno per ragioni di altitudine e perché si accontentano di stagioni corte: tutte buone ragioni per privilegiarli. Ci si può informare presso l’agenzia del turismo. Un’altra regola è evitare di scegliere luoghi a bassa quota, e mesi come novembre e marzo. Rimangono però i costi ambientali fissi e ricorrenti degli impianti. La decrescita delle sciate s’impone.

2. Sci di fondo e ciaspole! Lo sci di fondo e le camminate con le racchette non devastano la montagna, non c’è da spendere per gli impianti di risalita, l’attrezzatura costa molto meno di quella da slalom o discesa, insomma sono sport più democratici, alla portata di tutti. Sceglierli significa favorire la riconversione a un modo non distruttivo di divertirsi. Finché ci sarà neve.

3. Leggerissimi sul biancore. Paradisiaco e a costo zero è camminare con gli stivaloni di gomma sulla neve fresca, anche in pianura o in collina, ovunque il candore non sia inzaccherato. E che dire dello slittino?

4. Come arrivare sui monti. C’erano una volta i treni della neve. Oggi (colpa della Tav?) hanno smantellato molte stazioni. Rimangono i pullman.





La bolletta energetica di una “sciata” in famiglia

Stefano Vignato, appassionato di montagna, ha fatto due conti energetici in tasca a una famigliola di quattro persone che va “a sciare” la domenica. In quattro hanno già speso circa 3.000 euro per comprarsi l’attrezzatura, che ha un costo energetico-ecologico e che sarà sostituita dopo pochi anni. Si muovono in auto: poniamo 200 chilometri in condizioni difficili per il mezzo meccanico; sono circa 200 kWh di energia per la sola benzina. Molto probabilmente la famiglia si orienterà entro breve all’acquisto di un alloggetto in loco, ed ecco un altro bel costo ambientale e paesaggistico.

Arrivati in montagna, mettiamo che sciino per quattro ore. Usano l’impianto di risalita, che deve far salire 4 persone per circa 0,5 km per 20 volte. In totale sono 320 kg per 10 km; corrispondono a quasi 9 kWh. Con un indice di efficienza dell’impianto di risalita del 10% (ottimistico considerando le dispersioni d’energia e il sottoutilizzo) la famigliola per farsi portare su e giù ha consumato 88,9 kWh. La sera passeranno a battere la pista i gatti delle nevi, a motore.







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