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Economia / Opinioni

Le scelte di Intesa Sanpaolo, i dividendi agli azionisti e il futuro del Pianeta

Carlo Messina, amministratore delegato di Intesa Sanpaolo. Massimo © Alberico/Fotogramma

Intesa Sanpaolo si unirà a UBI Banca. Per gli azionisti sono previsti “dividendi elevati”. Per il Pianeta, invece, tocca aspettare un cambio di rotta sugli investimenti fossili del gruppo. Non in agenda. L’editoriale di marzo del direttore di Altreconomia, Duccio Facchini

Tratto da Altreconomia 224 — Marzo 2020

Entro la fine del 2020 Intesa Sanpaolo acquisirà UBI Banca, giusto il tempo che giungano il via libera da parte delle “autorità competenti” e delle relative assemblee, Antitrust permettendo, all’offerta presentata il 17 febbraio dal gruppo guidato da Gian Maria Gros-Pietro e Carlo Messina. L’obiettivo dichiarato è il “rafforzamento della sostenibilità della creazione di valore per tutti gli stakeholder con un’unione basata su modelli di business affini e su valori condivisi”. Per buona parte dei quotidiani italiani dovrebbe nascere un “campione”, una “maxibanca”, un “colosso”, la “terza banca d’Europa”. Intesa Sanpaolo, già oggi, è del resto la “prima banca” del Paese, con quote di mercato di circa il 20% in tutti i principali settori di attività.

Nel comunicato di lancio dell’operazione si ritrova la gerarchia dei “benefici” messi in conto da Intesa. Il primo è per i suoi azionisti e riguarda in particolare “dividendi cash elevati e sostenibili”. Chi ne sarà interessato? A metà febbraio, l’83,826% del capitale sociale è in mano al “mercato”, mentre i titolari di quote superiori al 3% sono la Compagnia di San Paolo (6,790%), BlackRock Inc. (5,003%, a titolo di gestione del risparmio) e la Fondazione Cariplo (4,381%). È alla prima e alla terza che si riferisce Intesa quando scrive che i dividendi distribuiti in questi anni “si sono tradotti in erogazioni da parte delle fondazioni sue azioniste pari a oltre la metà di quelle effettuate da tutte le fondazioni bancarie italiane”.

Poi c’è l’ultimo beneficio della lista, per “la comunità e l’ambiente”. Intesa Sanpaolo sostiene di voler “supportare l’economia circolare e green”, la “green economy”, aumentare il “Plafond creditizio Circular Economy”, ridurre la povertà infantile, supportare le persone in difficoltà, offrire pasti, posti letto, medicinali e capi di abbigliamento. Bello ma poco credibile. A fine gennaio, venti giorni prima del “passo” di Intesa verso Ubi, Greenpeace e Re:Common avevano scritto una lettera aperta in materia di investimenti ai vertici dell’istituto di credito, chiedendo una “rapida riduzione dei finanziamenti dell’istituto bancario italiano a tutte le attività collegate alle fonti fossili”. In particolare quello di 77 milioni di euro concesso all’azienda indiana Adani, autorizzata dal governo australiano a completare il “devastante” progetto di sfruttamento del giacimento carbonifero del Galilee Basin, nel Queensland.

“Intesa Sanpaolo si propone tra i protagonisti del Green Deal con un fondo di 50 miliardi di euro, ma le ricerche finanziarie di Urgewald e Re:Common basate sulla Global Coal Exit List rivelano come l’istituto italiano sia il decimo prestatore al mondo per progetti e società che promuovono l’espansione del carbone”, secondo Antonio Tricarico di Re:Common. Tra 2017 e 2019 -nonostante l’Accordo di Parigi- Intesa avrebbe elargito prestiti per 2,6 miliardi di euro ad aziende legate al carbone, restando peraltro tra i finanziatori del contestato “Dakota pipeline”, l’oleodotto rilanciato da Donald Trump. Gian Maria Gros-Pietro e Carlo Messina, evidentemente distratti da traguardi diversi rispetto a quello della decarbonizzazione, non hanno mai risposto alle due organizzazioni, preferendo il silenzio.

È qui che si misura la distanza tra i “colossi” di quella che dovrebbe essere l’economia “reale”, come tiene a sottolineare Intesa nel comunicato aziendale dal carattere “strategico”, e il mondo che si occupa dell’altra economia e si preoccupa di dove stiamo andando. Se ne preoccupa per tutti, non ha azionisti. Tra chi cioè mantiene una certa idea di economia e chi punta a trasformarla. Per questo ha ragione da vendere Roberto Mancini quando nelle sue “idee eretiche” invita le realtà “trasformative” a farsi avanti, a uscire insieme dai “cassetti” e a tornare a disegnare un progetto di società mosse dalla “libertà di desiderare”. Il “come” non è facile definirlo, l’esigenza però è condivisa.


Care amiche, cari amici, tra l’estate 2019 e l’inizio di quest’anno sono entrate a far parte della nostra-vostra cooperativa tre nuove socie lavoratrici. Si tratta di Elisabetta De Francesco, Marta Facchini (non è parentopoli, è omonimia) e Carolina Lami. Benvenute e bentornato in ritardo a Luca Martinelli, amico e colonna di Altreconomia, che ha ripreso da qualche mese a scrivere per la rivista e per la casa editrice. Arrivederci invece a Luigi Montagnini: dopo quattro anni, purtroppo, la sua rubrica “Il volo a pedali” s’interrompe. Grazie Luigi per averci regalato ogni mese un punto di vista prezioso. Ci scusiamo inoltre con i lettori per il ritardo nella consegna del numero di febbraio dovuto a un errore del nostro spedizioniere. Vi ricordiamo infine che potete scrivere alla redazione all’indirizzo redazione@altreconomia.it

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