Una voce indipendente su economia, stili di vita, ambiente, cultura

India: vietato parlare di diritti. Mandato d’arresto contro gli attivisti della Clean Clothes Campaign


Sette attivisti della Clean Clothes Campaign (Ccc) e dell’India Committee of the Netherlands (Icn) rischiano due anni di carcere in India.
L’accusa? Cyber crime, diffamazione, atti di razzismo e xenofobia. A fine settembre il tribunale civile di Bangalore ha emesso un mandato di arresto contro gli attivisti, colpevoli di aver diffuso informazioni sulle violazioni dei diritti dei lavoratori negli stabilimenti di un’azienda indiana, la Fibres & Fabrics International (Ffi) di Bangalore. In Italia la campagna “Abiti puliti” e i sindacati tessili hanno scritto al Governo, chiedendo di intervenire a favore degli attivisti: Ffi è stata un fornitore, tra gli altri, del marchio Armani.

L’azione legale contro la Ccc è stata promossa, a giugno, dalla Fibres & Fabrics International, proprietaria della Jeans Knits Pvt. Ltd (FFI/JKPL) di Bangalore nei cui stabilimenti era emersa una lunga serie di abusi fin dalla fine del 2005. FFI/JKPL, fornitrice di jeans per un gran numero di marchi occidentali, aveva preferito agire per vie legali piuttosto che avviare un dialogo con le organizzazioni indiane e internazionali che difendono i diritti dei lavoratori. Dal luglio 2006, infatti, un’ingiunzione del tribunale di Bangalore vieta alle organizzazioni locali di diffondere notizie sulle condizioni di lavoro all’interno degli impianti produttivi della FFI/JKPL.

La decisione del tribunale è stata confermata nel febbraio 2007 e da allora il caso si trascina senza trovare soluzione.

La posta in gioco Il caso FFI/JKPL potrebbe stabilire un precedente giuridico, “tentando” le imprese terziste a rivolgersi alla giustizia per evitare di confrontarsi con i lavoratori sul piano sindacale e spezzare il legame che li unisce alla società civile internazionale.

Se ciò avvenisse, i tentativi in atto per promuovere comportamenti più responsabili fra le imprese subirebbero un forte arretramento, non solo in India ma in tutto il mondo.

Per questo, molte organizzazioni internazionali (fra cui Maquila Solidarity Network, Sweat Free Communities, Business Human Rights e CSR Asia) hanno espresso solidarietà e sostegno a Ccc e Icn.

FFI/JKPL continua a rifiutare il dialogo

Il 25 giugno la FFI/JKPL aveva diffuso un comunicato stampa nel quale invitava le organizzazioni coinvolte nel caso a cessare la campagna di pressione, basata su accuse definite false, e a impegnarsi in un dialogo costruttivo nell’interesse di uno sviluppo socialmente sostenibile dell’industria tessile indiana. Ccc e Icn avevano risposto offrendo la loro disponibilità purché l’invito fosse presentato in forma ufficiale allo scopo di proteggere le organizzazioni locali da conseguenze di tipo legale e che lo stesso fosse accompagnato dal ritiro della denuncia che aveva dato origine al provvedimento restrittivo della libertà di espressione. Si chiedeva inoltre a FFI/JKPL di accettare la presenza di un osservatore indipendente gradito da tutte le parti.  Il 13 agosto FFI  ha ribadito la richiesta di cessazione della campagna internazionale, basata a suo dire su “presupposti falsi e infondati” dimostrando così di non avere alcuna intenzione di ritirare la denuncia a carico delle organizzazioni promotrici.

Sospesa la certificazione SA8000 alle unità produttive di FFI/JKPL

Social Accountability International (Sai), responsabile dello standard sociale SA8000, ha confermato che si applica anche al caso FFI/JKPL la decisione del 30 aprile scorso che sospende dai benefici della certificazione SA8000 tutte le imprese che abbiano ricevuto una “ingiunzione legale che vieta agli stakeholder di discutere delle attività condotte dall’impresa al suo interno” (http://www.sa-intl.org/index.cfm?fuseaction=Page.viewPage&pageId=534&parentID=477&nodeID)=1).

Nel 2006 SAI aveva certificato cinque stabilimenti di FFI/JKPL malgrado le segnalazioni inoltrate dalla Ccc sulle violazioni dei diritti dei lavoratori documentate al loro interno. Nel novembre 2006 la Ccc aveva presentato un ricorso formale dal quale era scaturita un’ulteriore indagine da parte di un’azienda consulente di Sai, che era arrivata alla conclusione che la concessione della certificazione SA8000 all’impresa indiana non era giustificata.

Diverse fonti confermano che la certificazione SA8000 concessa alle unità della FFI/JKPL è sospesa. Comunque, i termini della sospensione rimangono poco chiari. Nonostante le numerose richieste di informazioni aggiuntive, Sai non ha condiviso con la Ccc e l’Icn alcuna informazione relativa ai dettagli delle procedure di sospensione.

L’assenza di una comunicazione ufficiale di Sai sullo status della certificazione ottenuta da FFI/JKPL è con tutta evidenza la conseguenza diretta della minaccia di FFI/JKPL di ricorrere alle vie legali.

FFI ha attività in Europa?

FFI/JKPL opera in India, ma ha un aggancio diretto con l’Europa: la società Tintoria Astico, con sede in Italia, fornisce modellistica computerizzata alla FFI/JKPL.

La proprietà è equamente suddivisa fra la Fibres and Fabrics International di Bangalore e la Fibres and Fabrics Europe con sede in Olanda. L’amministratore delegato della società olandese si chiama Manfred Gruyters e si presenta come uno dei direttori della FFI/JKPL.

La Ccc ha scritto alla Tintoria Astico per sollecitarla a prendere posizione in favore del ritiro della denuncia presso il tribunale indiano.  Manfred Gruyters era fra i destinatari dell’ultima lettera inviata dalla campagna alla FFI/JKPL. Ma né la Tintoria Astico né la Fibres and Fabrics Europe hanno finora risposto ai nostri appelli.

[pagebreak]

La risposta delle aziende committenti

La politica dello struzzo di G-Star

G-Star è il principale committente di FFI/JKPL. Ha incontrato la campagna il 7 giugno scorso e ha  accettato di esercitare ulteriori pressioni su FFI,  ma continua a dimostrarsi poco trasparente rispetto al modo in cui si è mossa. G-Star afferma di aver imposto a FFI/JKPL un termine entro il quale dovrà garantire ai lavoratori il diritto ad associarsi liberamente e si dice certa che ciò avverrà entro settembre di quest’anno. Ma come può un’impresa che ha espulso e perseguito il sindacato liberamente scelto dai lavoratori acconsentire alla nascita di uno nuovo se non imponendone uno di proprio gradimento?

Il silenzio di Mexx

Da quel che si sa Gap e Mexx sono in procinto di cessare i rapporti commerciali con FFI/JKPL, ma  per non dover ammettere che il vero motivo risiede nell’indisponibilità di FFI/JKPL a trattare con le organizzazioni locali,  entrambe evitano di fornire giustificazioni ufficiali. In questo modo non prendono impegni né per il presente né per il futuro con i lavoratori che dipendono anche dalle loro commesse. La Fair Wear Foundation (FWF), alla quale Mexx è associata, ha annunciato che diffonderà una dichiarazione pubblica sul mancato rispetto del codice di condotta della FWF da pare di FFI/JKPL. Un’analoga presa di posizione è prevista da parte di Ethical Trading Initiative.

GAP è in procinto di rivedere la sua politca di fornitura?

Alla luce dell’impasse tra la FFI e le diverse organizzazioni nazionali ed internazionali, GAP si trova sotto una fortissima pressione finalizzata a farle interrompere i rapporti commerciali con FFI.

In quanto membro di ETI, GAP deve rispondere agli obblighi derivanti dall’adesione al codice di condotta. ETI conferma che, a partire dalle informazioni raccolte da fonti diverse, l’applicazione di alcuni punti chiave del codice di condotta, come la libertà di associazione sindacale, sono seriamente compromesse. L’irresponsabilità di Armani, Guess e RaRe

Nessuna delle tre imprese ha risposto ai ripetuti appelli che sono stati loro rivolti dalla CCC e dai tanti cittadini-consumatori che hanno aderito alla campagna di pressione pubblica. E’ impensabile che sul mercato esistano ancora imprese convinte di potersi sottrarre alle proprie responsabilità semplicemente distogliendo lo sguardo. Anche per Armani, Guess RaRe è arrivato il momento di assumere impegni concreti per garantire condizioni di lavoro corrette nella propria filiera produttiva.

L’ambiguità di Tommy Hilfiger

Nell’agosto 2006 Tommy Hilfiger ha informato la campagna di non intrattenere rapporti commerciali con FFI/JKPL e nel dicembre dello stesso anno ha comunicato a FFI/JKPL che avrebbe valutato l’ipotesi di una collaborazione futura solo a conclusione delle questioni aperte con la CCC e l’ICN.  Tuttavia, in un articolo pubblicato il 31 agosto scorso in una rivista olandese di settore è apparsa la notizia secondo la quale Tommy Hilfiger continuerebbe a rifornirsi da FFI/JKPL. Interrogata in proposito l’azienda sostiene di aver ancora FFI/JKPL nelle sue liste, ma classificato come “fornitore inattivo”.

Newsletter

Iscriviti alla newsletter di Altreconomia per non perderti le nostre inchieste, le novità editoriali e gli eventi.


© 2024 Altra Economia soc. coop. impresa sociale Tutti i diritti riservati