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Diritti / Attualità

India: così il governo sta approfittando della pandemia per schiacciare il dissenso

Durante il lockdown imposto a fine marzo, 1.300 persone tra studenti, attivisti, docenti e giornalisti sono stati accusati o tratti in arresto per motivi politici. Fatti “gravi” come denuncia Human Rights Watch. Il tutto mentre il Paese potrebbe presto diventare il nuovo epicentro globale di Covid-19

© Bilal Kuchay

“In un momento in cui gli esperti hanno ripetutamente chiesto di ridurre la popolazione carceraria, è grave che le autorità indiane continuino ad arrestare le voci critiche e i manifestanti pacifici. I cittadini non dovrebbero mai essere arrestati solo per aver criticato le politiche del governo, cosa normale e indispensabile in una democrazia sana. Mentre è in corso una crisi sanitaria così grave, con focolai di Covid-19 nelle carceri, le autorità dovrebbero immediatamente liberare gli attivisti pacifici in custodia”. Meenakshi Ganguly è la direttrice per il Sud-Est Asiatico dell’organizzazione Human Rights Watch. Con queste parole racconta ad Altreconomia come il governo indiano stia approfittando della pandemia per schiacciare il dissenso, mentre il virus dilaga nelle carceri indiane e i procedimenti giudiziari sono in fase di stallo.

Un caso che ha molto scosso l’opinione pubblica è quello Varavara Rao, docente del Telangana, ideologo marxista, attivista, poeta rivoluzionario e critico letterario: è un 80enne canuto e solare, che non ha mai avuto paura di esprimere il suo pensiero, anche se radicale e scomodo. Non è la prima volta che viene imprigionato per le sue idee: dagli anni 70 è finito in carcere diverse volte, con diversi capi d’accusa. Questa volta però la sua detenzione è equivalsa quasi a una condanna a morte. Insieme ad altri dieci attivisti per i diritti delle comunità dalit e delle popolazioni tribali, Rao è in carcere da due anni, accusato di aver incitato la violenza castale esplosa a Bhima Koregaon, nello Stato del Maharastra a inizio 2018 in occasione della manifestazione dalit Elgaar Parishad. Nonostante l’età avanzata, il deteriorarsi della sua condizione di salute e l’aggravarsi dell’emergenza sanitaria che non ha risparmiato le sovraffollate carceri indiane, la sua richiesta di scarcerazione è più volte stata respinta.

Di recente è risultato positivo al Covid-19 ma è dovuta intervenire la Commissione nazionale sui diritti umani per ottenere il trasferimento dell’anziano poeta in ospedale dal carcere di Mumbai, dove versava in condizioni critiche. Quello di Varavara Rao non è l’unico caso di arresti politici che, in tempo di pandemia, rischiano di trasformarsi in una duplice condanna. Sharjeel Imam, studente della Jawaharlal Nehru University, e Akhil Gogoi, leader contadino -accusati di sedizione e attività illegali nell’ambito delle proteste deflagrate lo scorso dicembre contro il Citizenship Amendment Act (Caa)- sono tra i circa 600 prigionieri (su 1.100) contagiati nel carcere di Guwahati, nello Stato Nord-orientale dell’Assam. Secondo i media indipendenti indiani, gli arresti legati alle proteste anti-Caa sembrano replicare lo stesso schema degli arresti politici connessi al caso Bhima Koregaon.

Sono attivisti, studenti e professori, tutti accusati ai sensi di una legge -quella per la prevenzione della attività illegali (Uapa)- considerata draconiana e spesso utilizzata per silenziare le critiche. Si tratta di arresti arbitrari, “motivati” politicamente, tutti in attesa di processo. La lista è lunga e diversi sono stati gli appelli per la scarcerazione di attivisti e manifestanti: una stretta contro il dissenso per la quale l’India è stata da più parti criticata. Un altro caso recente è quello di Hany Babu, docente della Delhi University, arrestato dalla National Investigation Agency il 28 luglio scorso con l’accusa di sostenere i Naxaliti e l’ideologia maoista: un’accusa spesso usata in questi anni contro accademici e studenti critici con il governo, bollati come “Naxaliti urbani”. In un’intervista lo scorso novembre Babu aveva dichiarato: “Se sei un accademico e in qualche modo ti opponi alle politiche del governo, puoi diventare un bersaglio”.

Durante il lockdown nazionale imposto a fine marzo, 1.300 persone tra studenti, attivisti, docenti e giornalisti sono stati accusati ai sensi della legge per la prevenzione delle attività illegali. Molti dei quali legati al caso dei Delhi riots, gli scontri che a fine febbraio hanno fatto oltre 50 morti (in larga parte musulmani) in tre giorni di violenza settaria, quando alcuni quartieri a Nord-Est della capitale sono stati messi a ferro e fuoco in un raid orchestrato e mirato, in risposta alle proteste contro il Caa, che è considerato discriminatorio nei confronti della comunità musulmana. Un recente rapporto della Commissione sulle minoranze ha evidenziato il ruolo della polizia nel pogrom anti-musulmano di febbraio.

L’India è balzata al terzo posto per numero di casi al mondo, dopo Stati Uniti e Brasile, e al primo posto per rapidità del contagio con il numero di casi che raddoppia ogni tre settimane, anche se il tasso di mortalità resta tra i più bassi al mondo. Ad oggi sono oltre 1,8 milioni i casi di Covid-19 accertati nel subcontinente, oltre 38mila i morti. Nonostante il governo millanti il suo successo nel contenere la pandemia, e continui a negare vi sia trasmissione a livello di comunità -ossia quando non si riesce a rintracciare e a identificare la fonte del contagio di un nuovo focolaio- la curva non accenna ad appiattirsi e l’India, con oltre 50mila nuovi casi al giorno, potrebbe presto raggiungere gli Stati Uniti per numero di contagi giornalieri.

Anche se la capacità di effettuare tamponi è stata di molto incrementata (10mila su un milione di persone), si teme comunque che i numeri, soprattutto relativi ai decessi, possano essere sottostimati. E mentre emergono nuovi focolai, Delhi, Mumbai e Bengaluru restano quelli più preoccupanti. Con il lockdown non più in vigore da inizio giugno a livello nazionale, molti Stati -da Goa al Kashmir- hanno temporaneamente imposto restrizioni localizzate nelle zone ad alto rischio, nel tentativo di fermare il contagio. Da uno studio condotto da Niti Aayog e il Tata Institute è emerso che oltre la metà della popolazione del più grande slum di Mumbai, Dharavi, avrebbe contratto il nuovo Coronavirus. L’India, con una popolazione di 1,35 miliardi di persone, potrebbe presto diventare il nuovo epicentro globale di Covid-19.

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