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Diritti / Approfondimento

La scuola è di tutti. Ecco perché l’inclusione tra i banchi è un modello

L’integrazione scolastica degli alunni con disabilità è una conquista italiana che risale a una legge del 1977. Il passo ulteriore è la presa in carico da parte di tutto il corpo docente, senza discriminazioni. Le buone pratiche esistono già

Tratto da Altreconomia 197 — Ottobre 2017
Lo spazio educativo “Le farfalle” è il cuore del progetto di inclusione scolastica “Farfalle con le ruote” attivato nell’anno 2014/2015 alla scuola primaria “Vittorio Ramella” di Vigevano (PV) - © Ilaria Sesana

Marta arriva a scuola verso le 9.30. Lancia un piccolo grido di gioia quando la sua carrozzina, spinta dalla mamma, varca l’ingresso della scuola primaria “Vittorio Ramella” di Vigevano. Il tempo di togliersi la felpa e la ragazzina, 14 anni a ottobre, fa il suo ingresso in classe. “Ciao Marta, ben arrivata”, scandiscono in coro i suoi compagni. A voce alta, per farsi sentire bene. La lezione ha così inizio per tutti.
La “Ramella” di Vigevano è una scuola elementare come tante: 510 alunni divisi in 23 classi. Fra di loro anche tre bambine con gravi disabilità che possono frequentare la scuola assieme agli altri bambini grazie a un progetto pensato su misura per loro. “Marta ha trascorso tanti anni alla materna. Alle elementari non c’era uno spazio adeguato ad accoglierla”, spiega Assunta, la mamma. Solo grazie all’attivazione del progetto “Farfalle con le ruote”, durante l’anno scolastico 2014/2015, la bambina ha potuto compiere quel passaggio a lungo rimandato. Fulcro di questo progetto è lo spazio educativo “Le farfalle”, al piano terra dell’istituto: gli ambienti che originariamente erano destinati alla direzione e alla segreteria sono stati trasformati in locali a misura di bambino con tavolini bassi, un comodo divano e tante farfalle colorate alle pareti. “L’obiettivo è stato quello di creare un ambiente che fosse utilizzabile come spazio educativo”, spiega Enrica Rossin, docente e responsabile del progetto.

139mila, gli insegnanti di sostegno censiti dal ministero dell’Istruzione all’inizio del nuovo anno scolastico

Ma il cambiamento più significativo è stato quello didattico. “In genere c’è un momento della lezione in cui tutti gli alunni stanno in classe. Poi Marta e un gruppetto di bambini vengono qui e continuano le attività iniziate in classe, con modalità tali per cui anche Marta può partecipare attivamente”, spiega Enrica Rossin. Per fare questo passo è stato necessario coinvolgere non solo tutti gli insegnanti (curricolari e di sostegno), ma anche i genitori. “Non abbiamo avuto nessun tipo di problema -spiega Rossin-. Al contrario, alcune mamme ci hanno detto che considerano questa esperienza un arricchimento per i propri figli”.
“Da quando Marta ha iniziato a frequentare questa scuola è migliorata molto -spiega la mamma della bambina-. Qui viene costantemente stimolata, anche dal rapporto con i suoi compagni di classe. Questa estate ha anche fatto un elettroencefalogramma di controllo che è risultato migliore rispetto al precedente”. Lo scorso settembre, al suono della campanella, sono stati 234.658 i bambini e ragazzi con disabilità che sono tornati a sedersi sui banchi di scuola assieme ai loro compagni di classe. Al loro fianco, circa 139mila insegnanti di sostegno in base alle ultime rilevazioni del ministero per l’Istruzione (Miur).

Il principio che i bambini e i ragazzi con disabilità possano frequentare le stesse classi dei loro compagni non è scontato. In Germania ci riesce solo il 31% degli alunni

Una scena che -pur con qualche difficoltà- si ripete da quarant’anni. Precisamente dal 1977, anno in cui è entrata in vigore la legge 517 che ha sancito il definitivo superamento delle scuole speciali e delle classi differenziali, affermando così il diritto dei bambini con disabilità a crescere nella scuola di tutti.
“La legge sull’inserimento scolastico degli alunni con disabilità è figlia del clima culturale e politico a cavallo degli anni Sessanta e Settanta, caratterizzato da un forte impegno contro l’emarginazione di tutti coloro che venivano considerati diversi –riflette Salvatore Nocera, presidente dei garanti di FISH (Federazione italiana superamento handicap)-. Erano gli anni delle lotte di Franco Basaglia, che hanno portato alla chiusura dei manicomi”. Tra il 1968 e il 1975 vennero chiuse le scuole speciali e più di 22mila bambini e ragazzi iniziarono a frequentare le scuole comuni.

Il principio che i bambini e i ragazzi con disabilità possano frequentare le stesse classi e gli stessi istituti dei loro compagni di classe “normodotati”, che in Italia è ormai scontato, non lo è in altri Paesi europei: in Germania, ad esempio, circa il 31% dei bambini con disabilità frequenta la scuola di tutti. “L’inclusione sta facendo passi avanti. Ma l’obiettivo che tutti possano imparare assieme resta ancora lontano”, scrive Jörg Dräger, direttore della fondazione tedesca “Bertelsmann”, in una ricerca dedicata al tema dell’inclusione scolastica. In Belgio la situazione è simile, mentre in Svezia e Grecia vige ancora il modello delle cosiddette “classi differenziali”.
“L’integrazione scolastica degli alunni con disabilità è una grande conquista italiana. Ma per non distruggerla nei valori bisogna realizzarla nella pratica, fare qualche scatto qualitativo -puntualizza Dario Ianes, docente di pedagogia e didattica speciale all’Università di Bolzano-. In primis non bisogna confondere l’integrazione con l’inclusione”. La prima, ovvero la possibilità per gli alunni con disabilità di entrare in classe e di starci bene, è ben presidiata dalle norme che tutelano gli alunni, dagli insegnanti di sostegno, dagli assistenti alla comunicazione per i bambini e ragazzi con disabilità sensoriali. “È una realtà ben strutturata, anche se non manca qualche criticità, come ad esempio la crescente tendenza a delegare agli insegnanti di sostegno la presa in carico degli alunni con disabilità”. Ma a seguito della ratifica della Convenzione Onu sui diritti delle persone con disabilità (approvata nel 2006 e ratificata dall’Italia nel 2009) anche la scuola italiana è chiamata a fare un ulteriore passo in avanti, passando dall’inserimento all’inclusione. Ed è qui che l’asticella della sfida si alza, soprattutto per gli insegnanti: “L’inclusione riguarda anche gli alunni stranieri con difficoltà linguistiche, o i ragazzini con diagnosi BES (“Bisogni educativi speciali”, ad esempio dislessici o disgrafici, ndr). Per ciascuno occorre un piano educativo individuale. Occorre quindi fare un salto qualitativo nella didattica: non basta avere un numero maggiore di docenti di sostegno più formati -conclude Ianes-. Al contrario auspico il superamento di questa figura, perché gli alunni con disabilità siano presi in carico da tutto il corpo docente”. Come, ad esempio, avviene nella scuola di Vigevano, dove sono tutte le insegnanti a farsi carico del percorso scolastico di Marta. Le fatiche dell’inclusione le conoscono bene i docenti dell’istituto superiore “Paolo Frisi” di Milano. Su 1.500 iscritti ci sono 94 alunni con disabilità, la maggior parte dei quali si concentrano nei corsi diurni: “Per legge non ne potremmo avere più di due per classe. Purtroppo non è così, soprattutto nelle prime ne abbiamo tre per classe”, spiega Federico Militante, referente per Polo inclusivo dell’istituto che funge da punto di riferimento per 61 scuole in quattro zone limitrofe di Milano.

“Noi siamo una scuola vicinissima all’inclusione, ma non è facile. Quest’anno, su 49 insegnanti di sostegno una quarantina non hanno nemmeno la specializzazione” (Luca Azzolini)

“Noi siamo una scuola vicinissima all’inclusione, ma non è facile -aggiunge il preside, Luca Azzolini-. Servono docenti specializzati, in grado di fare didattica inclusiva: invece quest’anno su 49 insegnanti di sostegno una quarantina non hanno nemmeno la specializzazione. Senza dimenticare il fatto che il turnover è altissimo e ogni anno bisogna ricominciare da capo. Con tutti i problemi che questo comporta sia per i ragazzi, sia per la scuola”.
C’è poi tutto il problema legato ai servizi di assistenza (ad esempio per i bambini con disabilità sensoriali) e trasporto i cui costi sono a carico degli enti locali e che talvolta non vengono forniti per questioni di bilancio oppure erogati in forma ridotta, con tutti i disagi che questo comporta per gli studenti e le loro famiglie. “È dovuta intervenire anche la corte di Cassazione per stabilire che queste spese non possono essere compresse per semplici ragioni di bilancio”, spiega Salvatore Nocera.
Eppure, malgrado le difficoltà, la scuola italiana resta un modello da seguire all’estero. Nel 2015, il governo giapponese ha deciso di inviare in Italia una delegazione di 19 docenti per conoscere e studiare il nostro modello di inclusione scolastica per riproporlo in patria. Il “Paolo Frisi di Milano” è stato uno degli istituti scelti per quella visita: “Nel nostro Paese una scuola superiore come questa sarebbe impossibile -ha commentato durante la visita il capo delegazione Kikurou Hanaghiri, della prefettura di Fukuoka-. In Giappone molti docenti sono ancora convinti che sia impossibile mettere in pratica l’inclusione”.

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