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In Val di Susa la fiera dell’ipocrisia

Il tiro al bersaglio tripartisan (destra, centro, centrosinistra) contro Beppe Grillo, dopo le manifestazioni di domenica 3 luglio in Val di Susa, è una buona cartina tornasole che getta un fascio di luce sulle reali condizioni della politica istituzionale e…

Il tiro al bersaglio tripartisan (destra, centro, centrosinistra) contro Beppe Grillo, dopo le manifestazioni di domenica 3 luglio in Val di Susa, è una buona cartina tornasole che getta un fascio di luce sulle reali condizioni della politica istituzionale e dell’informazione ufficiale nel nostro paese. Lo stato di salute di entrambe, diciamolo subito, non è granché.

Grillo è stato il parafulmine di tutto l’astio e il perbenismo che forze politiche spompate e pressoché prive di legami popolari hanno accumulato in questi anni verso il comico, personaggio certo controverso, ma che a Chiomonte ha proposto argomenti veri, domande serie e un omaggio – "siete degli eroi" – rivolto al "popolo No Tav" molto sincero e anche ragionevole, almeno per chi conosca la vera storia del progetto ferroviario Lione-Torino e lo spessore culturale e politico dell’opposizione popolare, attiva ormai da un ventennio.

Grillo è inviso al ceto politico, sia per le sue sferzanti accuse alla "casta", sia per i successi elettorali che il suo Movimento 5 stelle ha mietuto negli ultimi mesi. L’occasione offerta dagli scontri in Val di Susa dev’essere parsa assai ghiotta e quindi ecco i politici dei tre schieramenti a indicarlo come eversore, fomentatore delle violenze e via dicendo, ben sapendo – tutti, ma proprio tutti – che Beppe Grillo con l’eventuale Black Bloc e comunque con gli scontri fra gruppi di manifestanti e forze dell’ordine non ha nulla a che vedere.

D’altronde le vicende di domenica sono state una fiera dell’ipocrisia: scontri e violenze sono certo deprecabili, ma chi può davvero in buona fede tacciare il movimento No Tav d’estremismo violento? Non scherziamo. In Val di Susa esiste un movimento popolare vero, straordinariamente competente sulla materia, che ha sopportato violenze di stato inaudite (Venaus 2005 e non solo) e che niente ha a che vedere con strategie eversive o l’organizzazione di atti di teppismo, come qualche commentatore (vedi Corriere della Sera) sembra sostenere, forse senza rendersi conto di svolgere una perfetta operazione di sviamento dell’attenzione, in piena consonanza con le aspettative del fronte Tav, capeggiato come è noto dal mondo industriale e dai maggiori partiti.

Va precisato che la scelta rigorosamente nonviolenta ha dimostrato ancora una volta, purtroppo solo indirettamente, la sua superiorità morale e politica, diversamente da quel che pensano i piccoli gruppi che sostengono la necessità di contrastare fisicamente le forze dell’ordine (con azioni, comunque sia, assai limitate) e anche  i teorici del "diritto di difesa". Se cioè tutti, ma proprio tutti, avessero scelto forme di disobbedienza civile pura, con un corteo e magari circondando con una catena umana la zona dei lavori, o sdraiandosi sulle vie d’accesso, l’impatto mediatico sarebbe stato sicuramente migliore e il movimento No Tav ne avrebbe tratto giovamento.

Detto questo, resta che le cose importanti sono altre, non gli scontri al limitare delle recinzioni (ma perché l’uso smodato dei gas lacrimogeni e le denunce di violenze e maltrattamenti da parte degli agenti non scandalizzano nessuno? perché si tace del ragazzo veneziano ferito gravemente?) o l’inesistente spettro di una guerra civile, come vorrebbero far credere (?!?) altri incauti commentatori (vedi Repubblica).

Le cose importanti sono:

1) le ragioni economiche, sociali e politiche a favore della costruzione della Tav continuano a non sussistere, come dimostra la pochezza di argomenti portata fin qui dai fautori del progetto (non si può fermare il progresso, lo ha deciso l’Eurosa etc) e il fatto che tutti sappiano ma nessuno pubblicamente ammetta che l’Italia non spenderà mai 17 miliardi (e probabilmente assai di più) per un’opera del genere;

2) la vera cosa sconvolgente, nell’apertura del cantiere in Val di Susa, è che si arrivati a militarizzare il territorio, con i manganelli, i blindati e i lacrimogeni chiamati a sostituire la politica, che dovrebbe essere – ma ormai non è più per le stanche forze istituzionali "tripartisan", così poco autorevoli da dover essere autoritarie – ricerca e costruzione del consenso.

Non è vero che se il consenso non si trova l’unica via praticabile è l’uso della forza; se il consenso non si trova, a fronte di un movimento che da vent’anni sostiene buone ragioni, la decisione forse non va presa. In una democrazia vera, funzionerebbe così.

 

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