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In ricordo di Emilio Molinari, costruttore di spazi di solidarietà e anima dell’acqua bene comune

Dai desplazados del Chiapas ai lavoratori in lotta dell’Alfa Romeo di Arese, dalle lotte per l’acqua slegata dalla logica del profitto fino alla visione della Laudato si’ di papa Francesco. Se ne va una luce laica dei movimenti, in grado di ascoltare e far germogliare processi di fronte a una politica che, ingessata, muore. Gli ultimi scritti, Emilio, li ha dedicati alla Striscia di Gaza
Emilio Molinari, che è morto il 4 luglio, è stato fino all’ultimo un grande attivista, fine osservatore del contesto nazionale ed internazionale, capace di indignarsi per un mondo sempre più diseguale e di accompagnare la nascita di movimenti sociali.
Il mio primo ricordo legato a lui è il Forum mondiale delle alternative, un appuntamento promosso nell’autunno del 1999 a Milano dall’associazione Punto Rosso e dalla Ong Mani Tese di cui ero allora un giovane volontario. In quei giorni si gettavano le basi di quel movimento che credeva in un altro mondo possibile e che avrebbe avrebbe portato alla piazza di Genova.
Uno dei nodi di quel movimento era l’internazionalismo, la capacità di costruire reti con chi pensava e organizzava l’alternativa a partire da altri contesti e altre cosmovisione, come quella indigena. Molinari -che era già stato sindacalista e politico eletto in Regione Lombardia, al Parlamento e al Parlamento europeo- fu tra gli italiani che operarono la costruzione di spazi di solidarietà e riconoscimento con le comunità indigene del Chiapas, dove nel 1994 era insorto in armi l’Esercito zapatista di liberazione nazionale (Ezln).
“Bisogna andare nei campi dei desplazados di Polhó e nel villaggio di Morelia, per vedere le condizioni in cui si svolge la vita. Ascoltare i racconti, sentire la tosse insistente dei bambini, vivere anche per una sola ora il freddo cattivo della sera e della notte sugli Altos, un freddo senza pietà per chi sta sotto un telo di plastica, perché questa è l’unica cosa che gli è rimasta”, scrisse nel gennaio del 1998 su il manifesto, di ritorno da una missione urgente in Chiapas dopo la strage di Acteal, oltre 40 indigeni uccisi alla vigilia di Natale in un villaggio a poche decine di chilometri da San Cristobal de Las Casas.
Da lì a pochi anni, Emilio sarebbe stato l’ispiratore e una delle guide del movimento italiano per l’acqua bene comune. In prima fila, senza mai risparmiarsi nei dibattiti e negli incontri pubblici, nonostante una salute già allora (erano i primi anni Duemila) cagionevole. Emilio -esponente del Comitato italiano per un Contratto mondiale dell’acqua- avrebbe accompagnato la nascita del Forum italiano dei movimenti per l’acqua e contributo al successo dei referendum “2 sì per l’acqua bene comune “, nel giugno del 2011.
Un paio d’anni fa gli domandai se avesse ancora senso parlare di acqua pubblica e privata e come cambiasse il senso di questa battaglia nell’era della scarsità idrica? La sua risposta come sempre fu illuminante: “Se vuoi la risposta immediata, ti dico un Sì secco e oggi più che mai. Proprio perché il ridursi della disponibilità di acqua potabile e in assoluto (fiumi, laghi invasi, falde e laghetti di raccolta), esalta gli appetiti finanziari, le quotazioni in Borsa e le gestioni delle multinazionali che si estende ai nuovi invasi. La narrazione del bene comune acqua come elemento da sottrarre in ogni modo al mercato (come la salute) è più che mai un nodo politico dell’attualità. Su questi nodi vale la pena di concentrare le forze e ricostruire un movimento e una cultura collettiva trasversale. Premessa a una politica che muore”.
Negli ultimi anni aveva ripreso il suo impegno per promuovere l’idea di giustizia sociale e ambientale, di mitezza e solidarietà tracciato dall’enciclica “Laudato si’” di papa Francesco. Si era legato a Mario Agostinelli all’Associazione Laudato si’ – Un’alleanza per il clima, la terra e la giustizia sociale, nata a Milano e legata alla Casa della carità. È in quel contesto che quasi tre anni fa avevo avuto un’ultima volta l’opportunità di intervistarlo di fronte a un pubblico attento alla profondità della sua visione, che manteneva intatta la capacità di mettersi dalla parte degli ultimi.
A venticinque anni dal suo reportage dal Chiapas, in uno degli ultimi scritti indirizzati agli amici all’indomani dell’inizio dell’aggressione genocida di Israele a Gaza scriveva: “Sono vecchio, la mia memoria è lucidamente vecchia e vecchio è il mio modo di ascoltare e di reagire a ciò che ascolto. Mi indigno solitariamente, quando chi dispone dei mezzi di informazione dimentica lo Statuto della Corte penale internazionale che recita: ‘Per sterminio si intende sottoporre intenzionalmente le persone a condizioni di vita dirette a cagionare la distruzione di parte della popolazione, quali impedire l’accesso a vitto e alle medicine’. Sono vecchio e stanco, vedo il mondo sgretolarsi e ho perso i termini politici per rispondere a questa indifferenza epocale. Devo ricorrere a parole che non mi sono usuali, che stanno nella sfera dei sentimenti umani: la pietà”.
Ciao Emilio e grazie.
Il funerale civile di Emilio si terrà mercoledì 9 luglio alle 15 alla Camera del Lavoro di Milano
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