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Ambiente / Opinioni

In marcia contro i padroni dell’effetto serra

Un momento della manifestazione di Parigi © Jeanne Menjoulet Via flickr

A metà ottobre per le strade di Parigi hanno manifestato migliaia di persone rivendicando il “diritto al clima”. Non è un’impresa impossibile

Tratto da Altreconomia 209 — Novembre 2018

Il 13 ottobre scorso circa quindicimila persone hanno sfilato in corteo a Parigi in una delle marce per il clima organizzate in tutta la Francia. Fra gli slogan scanditi dai manifestanti ce n’era uno che riassume il senso politico della mobilitazione: “E 1 grado, e 2 gradi, e 3 gradi, è un crimine contro l’umanità”. Pochi giorni prima gli scienziati riuniti nell’IPCC, l’organismo Onu (premio Nobel per la Pace nel 2007) che studia i cambiamenti climatici, avevano reso pubblico un nuovo, allarmante rapporto. L’aumento medio delle temperature di 2 °C, previsto dagli accordi sul clima di Parigi, secondo gli scienziati produrrebbe effetti più devastanti del previsto e sarebbe ormai in vista: appena una dozzina d’anni.

Con la prospettiva, senza interventi radicali di riduzione delle emissioni, di arrivare a +3 °C entro la fine del secolo, quindi a uno scenario di inondazioni, desertificazioni, morte e migrazioni di massa senza precedenti nella storia umana. Dunque i manifestanti parigini hanno giustamente evocato la nozione di crimine contro l’umanità, da cui discende un inedito “diritto al clima”: le attuali e le future generazioni dovrebbero cioè avere la garanzia di disporre di condizioni ambientali degne della vita umana. Potremmo dire che si tratta del più fondamentale dei diritti, eppure non è stato ancora codificato e anzi è assai poco percepito come tale, tanto che le marce organizzate in Francia -per un totale di centomila partecipanti- paiono ai nostri occhi di italiani una curiosa novità.

Del resto, come si fa a difendere un diritto se non si è coscienti di esserne titolari? Hannah Arendt, nel libro “Le origini del totalitarismo” (Einaudi), parlò dei sopravvissuti ai lager, dei senza status, degli apolidi come di persone cui non rimane nemmeno “il diritto di avere diritti”: è in fondo la condizione di tutti gli umani rispetto ai cambiamenti climatici. Gli accordi fra Stati, come quello di Parigi del 2015, non hanno valore vincolante e infatti non stanno producendo effetti sufficienti, né esistono sedi in cui far valere uno specifico (al momento inesistente) diritto collettivo al clima.

La marcia parigina indica una strada da seguire ed è meglio di niente, ma è difficile dare torto allo scrittore Antonio Moresco, che nel suo pamphlet “Il grido” (Sem editore) urla letteralmente il suo sdegno e la sua angoscia per l’inadeguatezza della risposta al disastro ambientale in corso, se pensiamo che si prospetta la ravvicinata estinzione della specie umana. Moresco immagina nel suo libro di incontrare grandi pensatori del presente e del passato e pochi si salvano, data la modestia dei loro contributi rispetto alla gravità dei fatti denunciati dagli scienziati.

100mila i cittadini francesi che si sono ritrovati in tutta la Francia per manifestare contro l’immobilismo dei decisori politici in tema di climate change

Bruno Latour, non citato da Moresco, è forse il filosofo della politica che ha compiuto le riflessioni più avanzate: nel libro “Tracciare la rotta” (Raffaello Cortina editore) sostiene che l’impegno per la giustizia sociale dovrebbe svolgersi nella più ampia cornice della difesa del Pianeta, superando tutte le concezioni otto-novecentesche.

Ma niente accadrà senza una lotta politica contro gli attuali “padroni del vapore” (espressione peraltro obsoleta: forse dovremmo parlare di “padroni dell’effetto serra”). Gli scienziati lasciano intendere che potrebbe già essere troppo tardi, ma la storia dei diritti umani -e anche qui dovremmo aggiornare i nostri pensieri, cominciando a parlare di diritti dei terrestri, allargando lo sguardo a piante e animali- è costellata di imprese impossibili.

Lorenzo Guadagnucci è giornalista del “Quotidiano Nazionale”. Per Altreconomia ha scritto, tra gli altri, i libri
“Noi della Diaz” e “Parole sporche”.

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