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In Grecia i rifugiati vengono sgomberati: migliaia di persone vulnerabili in strada

La chiusura del programma di accoglienza da parte del governo Mitsotakis ha fatto precipitare la già drammatica situazione dei rifugiati: allontanati dagli alberghi in cui erano accolti, da Corinto ad Atene, dormono all’addiaccio. Sulle isole dell’Egeo la situazione è critica. La denuncia delle organizzazioni umanitarie sul campo

I rifugiati sgomberati dall'Hotel Iliochari Aigio Theodoroi a Corinto © La luna di Vasilika

“In Grecia la chiusura del programma Filoxenia ha fatto precipitare ulteriormente la già drammatica situazione dei rifugiati. In tutto il Paese migliaia di persone sono state allontanate dagli alberghi dove vivevano e ora sono in strada. Anche donne e bambini”. Lorenzo Bergia è il presidente di La luna di Vasilika, associazione che supporta i migranti arrivati nel Paese. Insieme all’organizzazione One bridge to Idomeni, è attiva nella gestione di centri aggregativi a Corinto e dal febbraio 2021 ha soccorso le persone, in particolare famiglie siriane e irachene, mandate via dall’Hotel Iliochari situato nella vicina cittadina di Agioi Theodoro. Lo stesso è successo nelle strutture di Sparta e Amarinthos. Gli sgomberi sono la conseguenza dell’interruzione del progetto Filoxenia: avviato nel 2018 dal governo greco e dall’Organizzazione internazionale per le migrazioni (Oim), prevedeva che seimila migranti in condizioni di fragilità arrivati sulle isole del Peloponneso e fermi negli hotspot venissero trasferiti sulla terraferma in 79 alberghi per “la seconda accoglienza”, finanziati dall’Oim. Dallo scorso febbraio il governo del primo ministro Kyriakos Mitsotakis ha interrotto il programma e le forze dell’ordine hanno sgomberato le migliaia di famiglie che erano accolte negli hotel, ora in strada.

Gli sgomberi sono avvenuti in tutto il Paese, da Corinto ad Atene dove La luna di Vasilika, insieme all’associazione Goodwill Caravan, ha affittato un ostello per garantire a chi non aveva più una casa un posto sicuro. “Ci sono stati episodi violenti e casi in cui le forze dell’ordine hanno staccato la luce e la corrente elettrica per costringere le persone a lasciare le strutture”, racconta Bergia. “La questione è grave perché si tratta di persone che hanno già ottenuto il riconoscimento della protezione internazionale. Sono rifugiati e hanno il diritto di ricevere il passaporto. Non lo hanno ancora ottenuto e questo gli impedisce di muoversi. Ora il rischio è che i rifugiati senza i documenti di viaggio tentino di attraversare la ‘rotta balcanica’ affidandosi ai trafficanti”, prosegue Bergia. “Sono usciti dal sistema dell’accoglienza e non hanno più un supporto economico. Ma da quando sono arrivati in Grecia, nessuno ha investito su di loro e non hanno intrapreso percorsi di inserimento. I genitori non hanno un lavoro e i bambini non sono stati ammessi nelle scuole greche”, prosegue Bergia.

I rifugiati sgomberati dall’Hotel Iliochari Aigio Theodoroi a Corinto © La luna di Vasilika

Secondo i dati dell’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (Unhcr) aggiornati alla fine di dicembre 2020, in Grecia sulla terraferma ci sono 100.600 rifugiati e migranti nei campi governativi, negli appartamenti e negli alberghi. L’Unhcr aveva registrato un significativo incremento degli arrivi dal 2017 al 2019, quando le persone giunte via mare erano state 59.726 mentre gli arrivi via terra erano stati 14.887. Nel 2020 le persone ufficialmente arrivate nel Paese sono state 15.700. “Non si tratta di numeri difficili da gestire, se ci fosse una reale programmazione. Ma questa è sempre stata completamente assente e continua a esserlo ora, anche in una pandemia”, aggiunge Bergia. “La situazione sta diventando drammatica, in particolare nei campi”. La Luna di Vasilika lavora con i migranti accolti in quello di Corinto, un campo governativo di transito aperto nel 2019 e gestito dall’Oim. “Al suo interno si trovano 850 persone in condizioni estremamente precarie. Vivono in appartamenti prefabbricati, costruiti sotto tendoni di plastica, suddivisi in stanze e in ciascuna dormono almeno 14 persone. I servizi, come i bagni e le docce, sono esterni e c’è una sola cucina in tutta la struttura”, spiega Bergia. “Il 40% sono bambini al di sotto dei 12 anni. Una triste media. Sono tutti fermi, in attesa di non si sa che cosa. E la situazione non è diversa nei campi sulle isole”.

Ad Atene dopo lo sgombero dagli alberghi in cui erano accolti, i rifugiati dormono all’aperto nella piazza
Viktoria square. Tra loro anche famiglie e bambini © La luna di Vasilika

Per l’Unchr al 21 marzo 2021 sono 15.700 i rifugiati e i richiedenti asilo che si trovano sulle isole dell’Egeo. Tra queste 11.800 (75%) risiedono nei Centri di accoglienza e identificazione: il 49% proviene dall’Afghanistan, il 16% dalla Siria e l’8% dalla Somalia. Le donne rappresentano il 21% delle popolazione e i bambini il 26%: tra questi almeno sette su dieci sono minori di dodici anni. Il 6% di loro è un minore non accompagnato.

Le organizzazioni umanitarie, come Oxfam e Medici senza frontiere, denunciano le gravi condizioni in cui si trovano gli hotspot a Lesbo e Samos: sovraffollati, al loro interno i servizi di base sono insufficienti. L’assistenza legale è scarsa con la conseguenza di allungare i tempi per vedersi riconosciuto lo status di rifugiato. Secondo l’impropriamente detto “accordo” Ue-Turchia, che nel marzo 2021 ha compiuto cinque anni, i migranti sbarcati sulle isole devono presentare la domanda di asilo sul luogo e qui devono attendere l’esito della procedura che può anche durare anni. “Dal 2016 a oggi sulle isole abbiamo visto la situazione peggiorare. Le persone rimangono bloccate nei campi e non sappiamo mai per quanto tempo”, afferma Giulia Cicoli, direttrice dei programmi di Still I Rise, organizzazione non governativa che assiste i minori accolti nell’hotspot dell’isola, organizza progetti educativi e fornisce un supporto psico-sociale.

“La situazione nel campo è grave. La struttura è costruita per accogliere 648 persone e ce ne sono più di tremila. Abbiamo avuto periodi in cui arrivavano anche a ottomila. La maggior parte di loro vive nella ‘giungla’, un accampamento informale che si è creato nella parte esterna perché all’interno non c’è più spazio. Non c’è elettricità e chi garantisce i servizi di base sono Ong e associazioni”, prosegue Cicoli. “Il sovraffollamento impedisce di mantenere il distanziamento necessario per prevenire la diffusione del virus. A un anno dallo scoppio della pandemia, ancora non sono state prese misure per permettere di isolare in modo adeguato le persone positive al Covid-19 e i servizi non sono sufficienti. C’è un solo ospedale che non ha le risorse per gestire le situazione”.

Nel settembre 2020 sull’isola sono iniziati i lavori di costruzione di un nuovo campo, distante cinque chilometri dalla città di Samos. Si tratta di un “multi-purpose reception and identification centre” (Mpric), un centro che dovrebbe garantire migliori standard di accoglienza secondo la Commissione europea che lo finanzia. Nello scorso novembre, insieme al ministero della Migrazione greco, la Commissione ha annunciato lo stanziamento di 130 milioni di euro nell’ambito del fondo Ue per l’Asilo, migrazione e integrazione (Amif) destinato alla costruzione di nuovi centri anche sulle isole di Lesbo, Kio e Leros. Per le Ong si tratta di strutture chiuse e isolate che rischiano di peggiorare la situazione già difficile dei richiedenti asilo. “Dall’accordo con la Turchia a oggi, la prospettiva comunitaria sulle politiche migratorie non è cambiata. E non cambia con il nuovo Patto europeo sull’immigrazione e asilo che prosegue verso la direzione dei respingimenti, degli accordi con i Paesi terzi, della esternalizzazione delle frontiere. Purtroppo l’idea è sempre quella di rimandare indietro e confinare”, conclude Cicoli.

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