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L’immaginazione giusta che guarda verso gli altri

Mentre lo 0,8% più ricco del nostro Pianeta detiene il 44,8% della ricchezza e il 63,9% più povero può contare appena sul 2%, cresce anche la confusione dei ruoli e lo spazio di un’alternativa continua a restringersi. Il sistema si è fatto “antisistema”. Che fare? L’esempio della giovane maestra Mariangela Maccioni. L’editoriale del direttore di Altreconomia, Duccio Facchini

Tratto da Altreconomia 217 — Luglio/Agosto 2019
Nel marzo di quest’anno, dopo essere stato custodito per decenni nella casa di via Attilio Deffenu, a Nuoro, il Fondo Raffaello Marchi-Mariangela Maccioni è entrato nel patrimonio culturale pubblico della Sardegna, con l’acquisizione dell’archivio da parte dell’Istituto superiore regionale etnografico. Questa fotografia ritrae la maestra Mariangela Maccioni negli anni 40 del Novecento e ci è stata gentilmente inviata da Marina Moncelsi con la collaborazione di Giovanni Canu

“Possiamo avere la democrazia o possiamo avere la ricchezza concentrata nelle mani di pochi, ma non entrambe le cose contemporaneamente”. Riletto oggi, il monito di Louis Brandeis, giudice della Corte suprema USA nella prima metà del XX secolo, è una spia rossa che lampeggia. Ci avverte che qualcosa non funziona se, oltre un secolo dopo, lo 0,8% più ricco del nostro Pianeta -dati Credit Suisse, 2018- detiene il 44,8% della ricchezza aggregata netta complessiva, mentre il 63,9% più povero può contare appena sul 2%. È una luce accesa da tempo. Nel novembre di vent’anni fa, i movimenti contro la globalizzazione delle multinazionali e dell’Organizzazione mondiale del commercio manifestavano a Seattle prefigurando esattamente l’epilogo di Brandeis. Furono disarticolati, come a Genova, nel luglio di 18 anni fa.

Oggi non misuriamo soltanto gli effetti della concentrazione della ricchezza, ma assistiamo anche a una confusione di ruoli che tende a immobilizzarci: il sistema si è fatto “antisistema”, occupando uno “spazio” di immaginazione che apparteneva ad altri. Negli Stati Uniti, un miliardario si ripresenta alla corsa per la presidenza ponendosi come argine a una globalizzazione finanziaria che minaccia i popoli (in Europa e in Italia non si contano le imitazioni). Ci si dimentica che nel 2017, solo per citare una delle sue numerose contraddizioni, fu proprio Trump a scegliere come Segretario di Stato, Rex Tillerson (poi dimessosi), già amministratore delegato della multinazionale petrolifera ExxonMobil (290 miliardi di dollari di fatturato nel 2018, in Italia è attiva con il marchio Esso). La stessa che fin dai primi anni 90 avrebbe promosso una strategia di donazioni esentasse a soggetti “malleabili” volta ad “acquisire influenza” e “orientare le politiche pubbliche”, con particolare riguardo ai cambiamenti climatici. Lo rivelerebbero atti interni a Mobil datati 1993 e trasmessi al “The Guardian” dal Climate Investigations Center a giugno di quest’anno.
Epilogo imprevedibile?

A rileggere un passaggio della campagna “Stop Esso War”, lanciata 16 anni fa, all’epoca della guerra in Iraq, si direbbe di no. In un passaggio delle ragioni del boicottaggio promosso da Greenpeace, Rete Lilliput, Centro nuovo modello di sviluppo, Associazione Botteghe del mondo, Bilanci di giustizia, si denunciava come le scelte economiche dell’azienda fossero intrecciate alla politica statunitense. “Tra le prime decisioni di George W. Bush, come esplicitamente richiesto dalla Exxon, ci sono stati il rifiuto di ratificare il Protocollo di Kyoto sui cambiamenti climatici, l’avvio all’estrazione petrolifera anche in aree protette e la rimozione del presidente dell’International panel on climate change che sin dal 1995 aveva indicato nell’uso di combustibili fossili la principale causa dei cambiamenti climatici”. Basterebbe cambiare nomi, date e circostanze per raccontare l’oggi. Eppure quello “spazio” occupato dal “sistema antisistema” rischia di condurre all’afasia, a quello che il giornalista-attivista George Monbiot ha definito un “deficit di immaginazione”. Davvero nel 2019 l’unica “risposta” è quella dei personaggi intolleranti, autarchici, antidemocratici?

Viene in aiuto il diario di una maestra elementare sarda, antifascista, Mariangela Maccioni, nata a Nuoro nel 1891, ripreso dal libro “Insegnare libertà. Storie dei maestri antifascisti” di Massimo Castoldi (Donzelli editore, 2018). Per il suo primo anno d’insegnamento, Maccioni andò a Mamoiàda (in Barbagia), nel 1908, aveva 17 anni. Quando si trovò di fronte a 90 bambini “pigiati” in una “piccola stanza privata” tentò di mettere ordine tra la “baraonda di gambe”. Fu presa da un “improvviso sbigottimento”, da “confusione e paura” e tentò di ricordare i “metodi di governo della scuola” (dal dispotico al patriarcale). Non servirono: nella “chiassata” generale le sembrò di gridare inutilmente “alle onde del mare” e così si sedette “disperata”. Poi riempì quel “deficit”: “Mi ricordai, fortunatamente, che prima di tutto avrei dovuto chiedere i nomi e i cognomi per scriverli nel registro. Passò così la mia prima mattinata di scuola”. L’immaginazione giusta che guarda verso gli altri. Buona estate.

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