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Il teatro in corsia

L’infermieristica teatrale porta l’esperienza del palcoscenico negli ospedali. Da Bologna a Prato, viaggio nel percorso formativo che -nell’ambito del sistema di Educazione continua in medicina- ha già coinvolto, dal 2007 ad oggi, oltre 800 operatori. Un progetto di Andrea Filippini, già infermiere per vent’anni, tra ambulanze, pronto soccorso ortopedico, l’Afghanistan -in un ospedale di guerra- e il reparto di oncologia pediatrica al Sant’Orsola di Bologna

Tratto da Altreconomia 162 — Luglio/Agosto 2014

“L’assistenza è un’arte; con la differenza che non si ha a che fare con una tela o un gelido marmo, ma con il corpo umano, il tempio dello spirito di Dio. È la più bella delle Arti Belle”. Florence Nightingale, infermiera britannica nata nel 1820, e considerata la fondatrice dell’assistenza infermieristica moderna, definì così la sua professione.
Ed è proprio nell’intreccio tra assistenza e arte che nasce l’infermieristica teatrale: un progetto tutto italiano che propone il teatro nella formazione degli infermieri (infermieristicateatrale.it).
Si rivolge a coloro che dopo aver conseguito la laurea in scienze infermieristiche esercitano la professione dopo essersi iscritti a uno dei 103 collegi Ipasvi (Infermieri professionali assistenti sanitari vigilatrici d’infanzia, ipasvi.it) presenti in Italia. Secondo gli ultimi dati del ministero della Salute, riferiti al 2011, gli infermieri impiegati nel Servizio sanitario nazionale in quell’anno erano 264.378 su un totale di 398.007 iscritti Ipasvi. Oggi questo numero è aumentato, e nel 2013 risultavano essere 415.691 -il 77,3% dei quali è donna-.

La loro formazione è assicurata dal sistema ECM (Educazione continua in medicina), che prevede un obbligo di 50 crediti annuali acquisibili con la partecipazione a corsi e laboratori. Ed è proprio in questo ambito che si inserisce l’infermieristica teatrale, che, dal 2007 a oggi, ha incontrato circa 800 infermieri attraverso corsi e laboratori.
Tutto nasce dall’esperienza personale di Andrea Filippini, che è stato infermiere per vent’anni, tra ambulanze, pronto soccorso ortopedico, l’Afghanistan -in un ospedale di guerra-, e poi nel reparto di oncologia pediatrica al Sant’Orsola di Bologna -dove ha lavorato per dodici anni-. Accanto all’infermieristica, Andrea ha un’altra grande passione: il teatro, iniziato all’età di 19 anni e mai più abbandonato. “Nella mia esperienza il teatro e l’ospedale si sono da sempre contaminati a vicenda. In ospedale, portavo la mia parte più artistica, interpretando personaggi con i bambini, usando le flebo vuote come cani al guinzaglio, improvvisando concerti; una volta, con degli anziani, abbiamo organizzato una partita di bocce nel corridoio, una delle partite più accattivanti della storia. Il fatto è che le bocce non c’erano. Abbiamo giocato per un’ora, fingendo. E a volte, anche l’ospedale ‘entrava’ in teatro, come quando alcuni piccoli dell’oncologia pediatrica venivano accompagnati dai genitori a vedere gli spettacoli fatti con la mia compagnia”.
“Non c’è una gran differenza tra il teatro e l’ospedale -spiega Andrea- in ospedale conosci le persone che si mostrano senza barriere. A teatro sei costretto ad interpretare una parte a metterti nei panni di un altro, a capirne le motivazioni per renderlo al meglio. In entrambi i casi hai a che fare con l’essere umano e con le sue emozioni”.
Così nasce l’idea di promuovere il teatro nella formazione degli infermieri: “I libri insegnano quanto sia un ottimo strumento per conoscere meglio se stessi, per imparare ad elaborare le emozioni, per migliorare la relazione con gli altri, fondamentale nella professione infermieristica. L’ospedale è un luogo pieno di umanità, si provano dalle emozioni più belle a quelle più dolorose”.
In un laboratorio di infermieristica teatrale, dopo un primo momento teorico, si passa alla parte pratica, con esercizi tipicamente usati nei corsi teatrali: come quelli per prendere coscienza del corpo attraverso il respiro, dello spazio che si vive, gli esercizi per la voce, quelli di improvvisazione, di concentrazione, di coordinamento in gruppo, di immedesimazione in una parte. Durante la parte teatrale del corso, l’infermiere rimane comunque presente attraverso continui richiami tra quello che si vive durante l’esercizio teatrale e quello che si può vivere in ospedale, durante il lavoro. Il risultato è una maggiore conoscenza di sé, un gruppo di infermieri più affiatato, e questo,  afferma Andrea Filippini, “non può che avere una ricaduta positiva anche nella relazione con il paziente e, in generale, su tutta l’organizzazione”.
Niente a che vedere, quindi, con la “clownterapia”, termine disprezzato dallo stesso Patch Adams, inventore del naso rosso in corsia. “Lo scopo non è portare allegria in ospedale per un giorno attraverso scenette teatrali -prosegue Andrea- né tanto meno quello di medicalizzare un bisogno istintivo dell’essere umano come quello di ridere, ma è fornire uno strumento in più di comunicazione e di conoscenza di sé e dell’altro all’infermiere come supporto nella sua professione quotidiana”.
Il progetto dell’infermieristica teatrale, oggi portato avanti da Andrea e da altri tre infermieri, è stato promosso nei collegi Ipasvi di Firenze, Cuneo, Vercelli, Como, Cremona, Campobasso, Isernia e Prato; attraverso laboratori per gli studenti nell’Università La Sapienza di Roma, Bicocca di Milano, di Modena e Reggio Emilia, degli studi del Piemonte Orientale. Ha collaborato, inoltre, con diverse associazioni come l’AISLeC (Associazione Infermieristica per lo Studio delle Lesioni Cutanee), l’AIOM (Associazione Italiana di Oncologia Medica) e il CNAI (Consociazione Nazionale Associazioni Infermieri). Il presidente dell’Ipasvi di Vercelli, Giulio Zella, spiega: “La strategia è fornire strumenti nuovi agli infermieri che siano d’aiuto nell’affrontare le dinamiche di assistenza. L’infermieristica teatrale insegna ad usare il corpo e sappiamo che gran parte della comunicazione è meta-verbale e che col corpo esprimiamo tantissimo. Da 3 anni collaboriamo con Andrea e la sua équipe, gli infermieri erano molto contenti e ci hanno stimolato a continuare. Abbiamo promosso 4 o 5 corsi diversi, dove il filo conduttore era sempre la comunicazione”.
“In un ambiente come l’ospedale tener conto delle emozioni dovrebbe essere scontato -racconta un’infermiera incontrata in uno dei corsi di infermieristica teatrale- ma in realtà si continua ad insegnare il distacco dal paziente, ad ovattare tutte le emozioni. Un giovane infermiere qualche giorno fa mi ha chiesto se in ospedale si può piangere. Così facendo il rischio di burn-out è altissimo.
Le emozioni non vanno represse ma vissute ed elaborate. Non è fare terapia, è condividere la nostra umanità”.
“Il punto -spiega Andrea- è che l’organizzazione dell’ospedale è sempre più scientifica e c’è sempre meno spazio per la relazione”. Nella sua storia infermieristica ha iniziato lavorando in “Ospedale” e ne è uscito che era “Azienda Ospedaliera”: “Nella pratica il peso dei soldi si sente molto di più e le emozioni vengono relegate a soggetti esterni; per ridere i clown, per piangere volontari che dedicano ascolto e si immagina l’infermiere come colui che deve semplicemente assistere il corpo malato. Non funziona così. Gli infermieri che lavorano a stretto contatto con le persone ammalate sanno quanto oltre alla iniezione o alla fasciatura, sia di conforto una parola, una battuta o, se necessario, anche il silenzio”.
Per Anna Gervasio, presidente dell’Ipasvi di Prato, “l’infermieristica ha adottato negli ultimi tempi un’impostazione basata sulla ricerca scientifica come strategia per aumentare i livelli di conoscenza e per aumentare lo status professionale. Spesso i dati dell’evidenza scientifica li crediamo assoluti e li applichiamo indiscriminatamente. Questa impostazione risulta limitata e restrittiva. L’assistenza infermieristica è inscindibilmente scienza, arte, tecnica, etica, così come sostengono i nostri precursori. Soddisfare i bisogni non significa unicamente eseguire degli atti tecnici, ma soprattutto entrare in relazione con l’altro. Ho trovato interessante il progetto di infermieristica teatrale quando mi è stato proposto: la prima volta che si guarda all’aspetto interpersonale con un approccio teatrale. E visto che mi sta a cuore la qualità dell’assistenza al cittadino, ma anche la salute dell’infermiere abbiamo pensato di supportare i nostri professionisti attraverso una formazione continua”.
L’infermieristica teatrale, ad oggi, si propone attraverso corsi e laboratori di uno o più giorni; il progetto nasce, però, come tesi di ricerca, ancora da attuare: l’obiettivo è trovare un ospedale dove si possa fornire al personale che vi lavora un corso di teatro per un anno e mostrare alla fine del percorso come questo migliori le relazioni tra colleghi e nell’assistenza, con l’auspicio che sempre più infermieri teatranti possano attivare un corso-laboratorio nel proprio ospedale. Nel frattempo, si lavora alla prima Residenza di infermieristica teatrale per il prossimo gennaio; Lorenzo Marvelli, infermiere pescarese, collaboratore di Andrea Filippini, spiega: “Saranno tre giorni dedicati agli infermieri, seminari, laboratori e spettacoli, all’interno dell’ex convento delle Clarisse a Caramanico Terme (Pe), nel bel mezzo del Parco nazionale della Majella”. —

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