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Crisi climatica / Attualità

Il Supremo tribunale civile scozzese ha fermato due giacimenti fossili nel Mare del Nord

© Clyde Thomas - Unsplash

A fine gennaio la corte di Edimburgo ha dichiarato non più valide due licenze estrattive rilasciate dal governo inglese a Shell e a Equinor poiché non ne erano stati presi in considerazione fino in fondo i devastanti effetti sul clima. Una decisione accolta positivamente dalle organizzazioni ambientaliste locali e che potrebbe segnare una svolta nella (sofferta) decarbonizzazione del Regno Unito

Il 30 gennaio di quest’anno il Supremo tribunale civile scozzese (Court of Session) ha fermato lo sviluppo di due giacimenti offshore di Rosebank e Jackdaw, rispettivamente di petrolio e gas. Il primo si trova 80 miglia marine al largo delle isole Shetland, il secondo a Est della costa scozzese di Aberdeen, entrambi nel Mare del Nord.

Si tratta di una grande vittoria per il movimento ambientalista britannico, che lascia ben sperare per il futuro.

I giudici scozzesi hanno infatti dichiarato non più valide le licenze di estrazione perché il governo del Regno Unito non aveva preso in considerazione l’impatto di quei giacimenti sul clima. In particolare, aveva “ignorato” le emissioni dovute alla combustione di petrolio e gas. Il ricorso alla corte civile di Edimburgo era partito su iniziativa delle due organizzazioni ecologiste Greenpeace Uk e Uplift, ma era frutto anche della forte opposizione popolare ai due progetti.

Jackdaw è in capo al gigante anglo-olandese Shell e ha un potenziale stimato di circa il 6,5% della produzione britannica di gas fossile. A dare il via libera, nel 2022, alla concessione della licenza era stato l’esecutivo conservatore guidato da Boris Johnson. Ma ancora più grande e strategico è Rosebank che, con i suoi 300-500 milioni di barili di petrolio “possibili”, è il più ricco giacimento britannico di idrocarburi non ancora sfruttato.

In questo caso era stato il governo di Rishi Sunak, sempre espressione dei conservatori, a dare il semaforo verde per le attività di trivellazione, che sarebbero dovute iniziare tra il 2026 e il 2027. Se Rosebank vede come socio di maggioranza assoluta (80%) la norvegese Equinor, non va però dimenticata la presenza della società britannica Ithaca Energy con il restante 20% delle azioni. Lo scorso ottobre, proprio Ithaca Energy è stata oggetto di un accordo di aggregazione con la quasi totalità degli impianti di esplorazione e produzione di Eni nel Regno Unito, con l’obiettivo di aumentare la produzione di petrolio e gas nel Mare del Nord. Già oggi Eni, tramite Ithaca Energy, risulta il secondo maggiore produttore nel Paese.

Entrando più nei dettagli della sentenza, si evince che, nel dare l’autorizzazione ai due progetti, il governo aveva preso in considerazione soltanto le emissioni legate all’estrazione di petrolio e gas, ma per nulla quelle dovute al loro intero ciclo di vita, compresa la combustione (le cosiddette emissioni “scope 3“). Il rilascio di CO₂ in atmosfera legato a Jackdow e Rosebank è quindi incompatibile con gli impegni per il clima che il Regno Unito si è assunto formalmente. Motivo per cui i giudici hanno accolto le ragioni delle organizzazioni ambientaliste ricorrenti.

Che cosa accade adesso? Di sicuro un ruolo importante lo continuerà a svolgere Downing Street, dove il nuovo inquilino, Keir Starmer, è ora un rappresentante del Partito Laburista. Il governo ha già iniziato questo processo di revisione delle proprie linee guida ambientali, che saranno rese pubbliche in primavera. Fino ad allora, Shell ed Equinor potranno continuare a condurre i lavori preparatori sugli impianti, ma dovranno presentare nuovamente la richiesta di autorizzazione che includa anche una stima delle emissioni scope 3 e attenderne l’esito prima di poter iniziare le estrazioni vere e proprie. Insomma, i tempi si allungano e di sicuro i dati più completi sulle emissioni associate al progetto alimenteranno nuove critiche da parte del mondo ambientalista. Molto probabilmente porteranno il governo inglese a “far saltare” i suoi obiettivi di riduzione delle emissioni dannose per il clima.

Si attende, quindi, un altro passaggio cruciale, nella speranza che l’attuale esecutivo dia un segnale di discontinuità rispetto al recente passato. Certo è che già l’aver rinunciato alla difesa davanti alla corte scozzese potrebbe essere un segnale importante su una possibile inversione di marcia da parte di Starmer. Tuttavia un governo che è pronto a finanziare gli incerti progetti di Eni in altri siti del Regno Unito finalizzati alla cattura e allo stoccaggio della CO₂ con miliardi di sterline in sussidi pubblici non si può di sicuro ritenere così “lontano” dagli interessi delle multinazionali fossili. Staremo a vedere.

Luca Manes, ReCommon

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